domenica 9 dicembre 2012

Fasce o cuscini sonori: corbellerie (abusive)!

Il tempo ed io abbiamo un cattivo rapporto. Diciamo pessimo. Ecco perché mesi fa, quando finii di leggere L'organista liturgico (Tannoia, Stilo Editrice), misi segnalibri nei punti che avevano stimolato una mia riflessione, perché sapevo che non sarei riuscito a fare ciò a ridosso della lettura del libro. Stasera, dopo molto tempo, sono tornato a sfogliare il volumetto e non ho potuto fare a meno di non ripensare a un punto che mi aveva particolarmente colpito (in negativo): le fasce o cuscini sonori.

Partiamo con quanto ci dice l'Autore alla nota n. 20 di pag. 53 (l'argomento glossato è il suono dell'organo che accompagni la meditazione dopo l'ascolto della Parola o dell'omelia):
"Il prof. Rainoldi accenna alla possibilità -tutta da sperimentare- di creare un sottofondo anche alla parola del celebrante: Fasce o cuscini sonori, giocati con scelta variata di opportuni strumenti, che entrerebbero in campo o come musica d'ambiente (udita più che ascoltata) o come componente significativa di una gestualità più ampia del comunicare (F. RAINOLDI, Il recitativo liturgico in lingua viva: gesto musicale, generi testuali, dialogo ministri/assemblea, in Atti del 3° Convegno nazionale degli incaricati diocesani per la musica sacra, Collevalenza i Todi, 15-18 novembre 1993, p. 54)."

Anzitutto, c'è un verbo che mette i brividi: sperimentare. Beh, visto lo stato attuale della liturgia, stato riassumibile nell'espressione "se mi pare, delle regole me ne fotto", direi che sarebbe sensato e prudente parlare di queste cose a porte chiuse e avere a cuore che non trapeli nulla all'esterno, tanto meno in un libercolo facilmente reperibile come quello del Tannoia: così eviteremmo di alimentare le fantasie liturgiche di certi consacrati che non accettano proprio di non esser il Papa di turno per sfogare il proprio estro artistico nell'ennesima riforma dei riti. Purtroppo, nello stesso errore incappa il Tannoia: non si può scrivere un paragrafo intitolato Meditazione dopo l'ascolto, o dopo l'omelia quando l'Ordinamento Generale del Messale Romano (mica Topolino) così dice al punto n. 56:

Il silenzio
56. La Liturgia della Parola deve essere celebrata in modo da favorire la meditazione; quindi si deve assolutamente evitare ogni forma di fretta che impedisca il raccoglimento. In essa sono opportuni anche brevi momenti di silenzio, adatti all’assemblea radunata, per mezzo dei quali, con l’aiuto dello Spirito Santo, la parola di Dio venga accolta nel cuore e si prepari la risposta con la preghiera. Questi momenti di silenzio si possono osservare, ad esempio, prima che inizi la stessa Liturgia della Parola, dopo la prima e la seconda lettura, e terminata l’omelia.


N. B. Non si parla di silenzio dopo la Lettura del Vangelo perché è data facoltà di ripetere l'Acclamazione al Vangelo (francamente la trovo una possibilità sciocca, perché la natura dell'acclamazione è quella di precedere -e non di seguire- e così facendo si confondono i momenti, dando l'idea di un grande music-all). 



Se ci spingiamo al cuore del problema dovremmo sapere bene cosa voglia veramente dire il discorso del prof. Rainoldi. Ho cercato sul web l'intera argomentazione del '93 ma non ho trovato nulla. Tuttavia, mi sento di dire che quanto scritto è contro le norme liturgiche non solo perché sì ignora -più o meno volutamente- la norma ma anche perché non si capisce l'autentico spirito liturgico delle parti della Messa, e questo è forse più grave: pure io non mi ricordo tutte le norme, ma ringrazio Iddio per aver creato Google, tuttavia -appena letto il passo incriminato- sapevo che tutto il testo era contro l'autentico spirito liturgico (quindi uno, se ha ben presente questo, saprà regolarsi da solo senza consultare OGMR, fidatevi: capito il meccanismo è impossibile -o quasi- sbagliare).

Dal punto di vista strettamente "legale" tutto l'ambaradàn del prof. Rainoldi confligge con almeno un punto dell'Istruzione Musicam Sacram (1967):


64. L’uso di strumenti musicali per accompagnare il canto, può sostenere le voci, facilitare la partecipazione e rendere più profonda dell’assemblea. Tuttavia il loro suono non deve coprire le voci,rendendo difficile la comprensione del testo; anzi gli strumenti musicali tacciano quando il sacerdote celebrante o un ministro, nell’esercizio del loro ufficio, proferiscono ad alta voce un testo loro proprio.


Ebbene, stando così le cose, l'organo (come qualsiasi altro strumento o voce) dovrebbe tacere durante l'omelia solo se riuscissimo a dimostrare che l'omelia è un testo proprio del celebrante. Beh, parrebbe proprio che sia così, almeno stando a OGMR:


L’omelia
65. L’omelia fa parte della liturgia ed è vivamente raccomandata[63]: è infatti necessaria per alimentare la vita cristiana. Essa deve consistere nella spiegazione o di qualche aspetto delle letture della sacra Scrittura, o di un altro testo dell’Ordinario o del Proprio della Messa del giorno, tenuto conto sia del mistero che viene celebrato, sia delle particolari necessità di chi ascolta[64].
66. L’omelia di solito sia tenuta personalmente dal sacerdote celebrante. Talvolta, potrà essere da lui affidata a un sacerdote concelebrante e, secondo l’opportunità, anche al diacono; mai però a un laico[65]. In casi particolari e per un giusto motivo l’omelia può essere tenuta anche dal Vescovo o da un presbitero che partecipa alla celebrazione anche se non può concelebrare.
Nelle domeniche e nelle feste di precetto l’omelia si deve tenere e non può essere omessa se non per un grave motivo in tutte le Messe con partecipazione di popolo. Negli altri giorni è raccomandata, specialmente nelle ferie di Avvento, di Quaresima e del tempo pasquale; così pure nelle altre feste e circostanze nelle quali è più numeroso il concorso del popolo alla chiesa[66].
È opportuno, dopo l’omelia, osservare un breve momento di silenzio.

N. B. Notare come l'ultimo punto renda inutile la presenza del paragrafo Meditazione dopo l'ascolto, o dopo l'omelia in un libro che si intitola L'organista liturgico (ma di che liturgia stiamo parlando? di quella di Narnia?).

Riassumendo: quanto ipotizzato è irrealizzabile a livello normativo. Sperimentare vuol dire -in questo caso- compiere deliberatamente un abuso. 
Proviamo però ad andare oltre la supercazzola del prof. Rainoldi (sì, scusatemi, ma "udita più che ascoltata" e "componente significativa di una gestualità più ampia del comunicare" sono proprio un bell'esempio di terapia tapioca come se fosse antani, con lo scappellamento a destra, ché piace tanto ai convegni), proviamo a porci in un ottica a-legale e totalmente rivolta allo spirito della liturgia: l'omelia rappresenta la parte più strettamente catechetica della Messa; tutta la sua forza consiste nella mondezza, nella chiarezza del linguaggio; tanto più chiara essa è, tanto è meglio fatta. Come possiamo allora creare "disturbo" (a livello comunicativo, due linguaggi che vengono messi in atto al contempo creano quello che si chiama disturbo) con la musica? Come possiamo ritenere che il di più sia d'aiuto quando rischiamo di non far comprendere le parole del celebrante? Per voler far qualcosa di assolutamente superfluo rischiamo di fare un danno, ossia di non far comprendere la parte della catechesi: un'assemblea che non ha spazio di cantare non ha un danno pari a un'assemblea che viene privata dell'omelia solo per fare un po' di musica. 
Inoltre, alla base di questa proposta assolutamente errata, è la concezione della musica all'interno della liturgia come riempitivo, per dirla in parole semplici, o come un linguaggio evocativo ma non esaustivo. La musica all'interno della liturgia deve elevare gli animi -e non lo dico io ma 2000 anni di Chiesa- non creare l'atmosfera: creare l'atmosfera è una cosa che si fa ai vernissage o ai caffé letterari, non in chiesa! L'unica atmosfera data è quella che offre l'antifona d'introito, che introduce allo spirito della celebrazione del momento. 
In terzo luogo, poi, se un'uditorio ha bisogno della musica per lasciarsi catturare dall'omelia, non voglio immaginare a che cosa pensi l'assemblea alla Proclamazione del Vangelo, dal momento che essa non è cantata per la gran parte dell'anno!

A questo proposito riferisco un'interpretazione raccapricciante del passo del prof. Rainoldi: con "alla parola del celebrante" si intenderebbe pure la Proclamazione del Vangelo. Non è farina del mio sacco, ma -mi par di ricordare- di una persona che si diverte a scrivere prefazioni inutili ai repertori nazionali di musica per la liturgia (chi vo' capir capisca). Una cosa del genere è francamente aberrante: da "proclamazione" si passerebbe a "lettura teatrale", da "canto/lettura" a "recitazione". La Proclamazione del Vangelo non è mai stata sporcata da sottofondi musicali, MAI: o si canta o si legge, non ci sono vie di mezzo. E questo avviene in tutte le confessioni cristiane che io conosca, riformate o meno che siano (sappiamo che i riformati siano melomani, ma non fino a questo punto). Sarebbe ancora più "contro-natura" avere una Messa in cui si suona alla Proclamazione ma non all'Elevazione perché è più logico il contrario: infatti, prima della riforma liturgica del Concilio Vaticano II l'Elevazione poteva esser accompagnata dal suono dell'organo (e la pratica è pienamente legale nella Forma Straordinaria del Rito Romano), nella forma Ordinaria del Rito Romano, invece, questo abuso, ma sarebbe lieve cosa perché ci si potrebbe giustificare con l'argomento del precedente storico secolare -se proprio uno smania per suonare quando le norme non lo consentono (ma perché uno deve compiere gli abusi liturgici senza necessità?) 

Alla fine di questa lunga discussione credo che abbiamo appreso che il paragrafo Meditazione dopo l'ascolto, o dopo l'omelia è da cancellare (è inutile fare le discussioni sul sesso degli angeli, tanto le norme vietano tutto quello che c'è scritto) e che i liturgisti alla moda, che accusano di teatralità la messa in forma Straordinaria, dovrebbero tapparsi la bocca e guardare in casa propria: questo discorso ha messo in luce come sia ancora ben presente una concezione teatrale della musica all'interno della liturgia; la musica allieta, evoca, sottolinea, fa l'ambiente...tutte espressioni adatte ai concerti profani, non alla Messa.






lunedì 1 ottobre 2012

La posizione dell'organo (Parte 4a)

Ebbene, alla luce del percorso storico, direi che la posizione della CEI è giusta e sbagliata al contempo: 500 anni di storia non si cancellano se si è intelligenti e, quindi, tarpare le ali ad altre collocazioni da quella indicata è sciocco, non fosse altro per il noto (cioè noto ai lettori di questo lungo argomento) che bisogna regolarsi in base alle caratteristiche di ogni singola chiesa; tuttavia la posizione è giusta perché non ci si inventa nulla di sana piana ma si parla di una collocazione del coro nel DNA della liturgia latina.
Ebbene, da una CEI che aborrisce le balaustre, non posso aspettarmi uno sdoganamento dello jubé (per quanto ci sarebbe da lavorarci, perché l'idea non è malvagia se pensata in chiave moderna), ma posso attendermi un atteggiamento aperto: col rientro di diversi anglicani nella Chiesa Cattolica, il patrimonio culturale anglicano, volente o nolente, è entrato nella nostra Chiesa; per di più questo patrimonio non era nemmeno loro, ma nostro e conservato presso di loro! In buona sostanza, invece che vedere i cori a lato della navata o nascosti nel transetto, credo che sarebbe meglio porli nelle prime file, quasi a costituire un "coro" simile a quello di Santa Maria in Cosmedin privo dei parapetti. Allora sì che si evidenzierebbe la funzione del coro, un trait-d'union fra sacerdote e popolo, fra spazio sacro e navata. 
C'è solo un rischio: le spalle dei cantori date ai fedeli nella navata. Se proprio qualcuno ha gli attacchi di cuore a una simile vista, si potrebbe ruotare i cantori di 90° e farli disporre con la schiena alla parete (vedi filmato di Westminster postato nella parte terza del thread). 
A tutto ciò si aggiunga che rimane ancora valida l'edificazione di cantorie facilmente accessibili e prive di grate, da costruirsi dove il suono possa meglio propagarsi. Del resto, non è una cantoria a svilire il ruolo del cantore, ma gli insulsi canti che sono patrocinati da chi scrive i documenti-capestro riportati (e non faccio riferimento al Magistero).


Se tutto questo riguarda la schola, dove mettiamo l'organo? La risposta è stata già detta e ridetta: dove suona meglio. C'è un piccolo dettaglio: la CEI parla di preferire l'organo meccanico. Ebbene, a meno di non fare improbabili catenacciature del tipo di Sant'Alessandro a Bergamo, il corpo d'organo non può stare dove sta il coro se rischia di produrre un suono percepito poi in maniera disomogenea. Per quanto io stesso abbia suggerito già di preferire un organo meccanico a uno a trasmissione elettrica o digitale, tuttavia non me la sento di imporre dogmi che lasciano il tempo che trovano. L'organo è uno strumento, deve funzionare: il resto son chiacchiere. Visti i progressi della tecnica, non bisogna aver paura ad acquistare uno strumento a canne (e non un cesso digitale) a trasmissione non meccanica: l'organo, però, sia di una ditta affidabile e seria, perché uno strumento simile ha problemi potenzialmente più gravi del meccanico.

La posizione dell'organo (Parte 3a)

All'inizio di questa terza parte reputo necessario fare un riassunto delle "puntate precedenti" per illuminare quanto abbiamo percorso e quanto dobbiamo ancora percorrere.

-Partendo dalla lettura di Tannoia abbiamo riflettuto sulla giusta posizione dell'organo: siamo arrivati alla conclusione che ciò non si può stabilire a priori sulla carta ma si deve operare una scelta in base alle caratteristiche di ogni singolo caso.
-Abbiamo visto che il Magistero non dà indicazioni puntuali e la CEI, invece, sì; abbiamo avuto modo di vedere come le interpretazioni della CEI siano arbitrarie, manchino di senso pratico (perché si scontrano con quanto detto già per Tannoia) e siano una lettura opinabile dei documenti conciliari e magisteriali. 
-Ciononostante, è possibile leggere il diktat CEI come un recupero dell'originale posizione del coro; rimane però da specificare se si tratta di archeologismo e se siamo in grado di stabilire con certezza la storia della collocazione del coro.

Premetto che non mi è riuscito trovare un'opera specifica sull'argomento, per cui la ricostruzione che do è passibile d'errore e di correzione; di conseguenza, ciò che andrò a scrivere si colloca più sul campo della probabilità che dell'oggettività. Chiedo scusa sin da ora.
Per quel che ho potuto vedere, fin dall'inizio il coro s'è posto fra assemblea e presbiterio, nelle forme codificate dalla disposizione interna delle chiese bizantine, come possiamo vedere qui sotto:


Si veda il n. 14: lì infatti è il "coro" bizantino, ossia il luogo dove vengono intonati i canti dai consacrati (con gli ordini minori).
Successivamente siamo passati a una situazione in cui il coro, formato da consacrati, è stato distinto dal resto della navata: si veda l'esempio di Santa Maria in Cosmedin a Roma.



Dalle immagini (e se non vedete bene, vi invito a cercare su WikiCommons) si vede che il coro ora sta non più ai lati, ma al centro della navata, separato dal resto della navata da un recinto che però non ostruisce la vista come l'iconostasi o la pergula (quest'ultimo divisorio è quello più tipicamente occidentale, presente -come vedete- in Santa Maria in Cosmedin e nella Sistina, giusto per citare un esempio noto a tutti).
Successivamente, il coro è stato avvertito come spazio continuo con l'abside soprattutto perché sede dei consacrati: ecco che l'iconostasi/pergula non delimita più lo spazio del Santuario in senso stretto (utilizzo la terminologia bizantina) ma quello dei consacrati, pertanto si sposta e ingloba il coro al suo interno, separandolo definitivamente dalla navata; da questa pergula spostata nascerà lo jubé.



Bisogna specificare che ormai il termine "coro" risulta ambiguo: la schola cantorum, infatti, si collocava oramai sullo stesso jubé (che da semplice pergula divenne vera e propria cantoria, talvolta con dimensioni quasi da piattaforma, che poteva pure costituire un monumentale ambone), tanto che in spagnolo lo si chiama coro alto; e quello che ora si definisce "coro" è l'insieme dei sacerdoti, che nelle cattedrali o nelle chiese più importanti è il il cosiddetto coro dei canonici. 
Con il Concilio di Trento è rimasta sì la distinzione fisica -affidata a elementi architettonici- fra navata e presbiterio (notare che nel presbiterio, da questo momento in poi, rientra pure il coro) ma, in nome di una maggior visibilità dei riti, le pergule e gli jubé sono sostituite dalle balaustre (anche se sopravvivono eccezioni, e  una di queste è proprio nel cuore della cristianità, ossia nella Cappella Sistina). 
Chi, invece, ha mantenuto questo elemento -anzi, nell'800 è tornato a fiorire- è la Chiesa Anglicana, che lo chiama rood screen (inserisco il link perché la voce inglese di Wikipedia è interessante anche per quanto riguarda la genesi dell'elemento e il confronto con la situazione tridentina). Nelle celebrazioni che si tengono nelle chiese anglicane munite o di jubé o di rood screen il coro prende posto al di là di esso.




E nel mondo cattolico? Non ho conoscenza di un documento preciso che indichi dove debba collocarsi il coro, però possiamo ragionare partendo da una foto della chiesa-simbolo della Controriforma, la Chiesa del Gesù a Roma.

La foto fa riferimento all'organo di sinistra, ma la situazione è speculare a quella che si trova a destra. Notiamo che l'organo è sospeso su una cantoria fuori del presbiterio e che una piccola cantoria si trova aggettante sull'abside. Dalle informazione che posseggo, so per certo che la piccola cantoria era riservata ai coristi: sembra che questa disposizione sia nata nelle chiese che servivano i monasteri di clausura per far sì che le monache partecipassero alla liturgia e al canto senza esser viste. Le cantorie non sono nuove, del resto: nascono a seguito di un'esigenza molto umana, far sentire la voce a tutti; mancando i microfoni, l'unico sistema è portare in alto chi canta. Per lo stesso motivo venivano erette piattaforme lignee al pari delle cantorie quando si chiamava a cantare un discreto numero di cantori in occasioni delle solennità (so della fondatezza di questa opzione almeno per l'Annunziata di Firenze).
Ciononostante, la schola si collocherà ovunque, senza una regola fissa ed è così che la ritroviamo fino ai documenti della CEI.

Poiché il post è ricco di immagine e abbastanza "carico" rimando le conclusioni finali ad un quarto (e spero ultimo) post.

domenica 30 settembre 2012

La posizione dell'organo (Parte 2a)


In questa seconda parte intendo passare in rassegna le critiche che avanzo alle direttive date dalla CEI. L'atteggiamento non vuol esser distruttivo, ma vuole far notare che le norme richiedono una revisione per far sì che si renda un giusto servigio alla Chiesa.

Partiamo con quanto dice ACRL:

21. Il posto del coro e dell'organo

Il coro è parte integrante dell'assemblea e deve essere collocato nell'aula, tra il presbiterio e l'assemblea; in ogni caso la posizione del coro deve essere tale da consentire ai suoi membri di partecipare alle azioni liturgiche e di guidare il canto dell'assemblea1. È bene prevedere anche un luogo specifico per l'animatore del canto dell'assemblea.

Per un miglior rispetto dei ruoli celebrativi, è bene che il coro non si collochi alle spalle del celebrante presidente, né sui gradini dell'altare antico.

Nelle chiese in cui esiste una "cantoria" di interesse storico e artistico, collocata in controfacciata o sul lati del presbiterio, essa va conservata e restaurata con la massima cura, anche se di norma non risulta idonea al servizio del coro.

Gli organi monumentali di interesse storico, specialmente quelli a trasmissione meccanica, vanno conservati, restaurati con ogni cura e utilizzati con competenza a servizio delle celebrazioni liturgiche.

Il problema...(vedi sopra).

Laddove risulti utile, si può ricorrere a un secondo organo... (vedi sopra).
Nella scelta di nuovi organi a canne, laddove è possibile, si preferiscano gli strumenti a trasmissione meccanica. Anche in questo caso, il criterio determinante per la collocazione è quello del servizio al canto liturgico dell'assemblea e del coro.


Aggiungo, per completezza altri due passaggi fondamentali, il primo proveniente da Musicam sacram e il secondo da OGMR.

22. La «schola cantorum», secondo le legittime consuetudini dei vari paesi e le diverse situazioni concrete, può esser composta sia di uomini e ragazzi, sia di soli uomini o di soli ragazzi, sia di uomini e donne, ed anche, dove il caso veramente lo richieda, di sole donne.
23. La «schola cantorum», tenendo conto della disposizione di ogni chiesa, sia collocata in modo che:
a)    chiaramente appaia la sua natura: che essa cioè fa parte dell’assemblea dei fedeli e svolge un suo particolare ufficio;
b) sia facilitata l’esecuzione del suo ministero liturgico[20];
c) sia assicurata a ciascuno dei suoi membri la comodità di partecipare alla Messa nel modo più pieno, cioè attraverso la partecipazione sacramentale.
Quando poi la «schola cantorum» comprenda anche donne, sia posta fuori del presbiterio.




312. La schola cantorum, tenuto conto della disposizione di ogni chiesa, sia collocata in modo da mettere chiaramente in risalto la sua natura: che essa cioè è parte della comunità dei fedeli e svolge un suo particolare ufficio; sia agevolato perciò il compimento del suo ministero liturgico e sia facilitata a ciascuno dei membri della schola la partecipazione sacramentale piena alla Messa.

Anzitutto partiamo col dire che non possiamo parlare di organo senza far riferimento alla schola cantorum poiché è l'organo che deve fare da appoggio ad essa e all'assemblea.  Dunque, per parlare della posizione dell'organo bisogna anzitutto trattare della posizione del coro. 
Anzitutto, possiamo escludere che il presbiterio accolga coro e organo: lo dice in nuce (cioè non esprimendosi troppo, dando per scontato molto) OGMR, lo afferma in parte MS (in parte perché si deduce che quando la schola è interamente maschile il presbiterio è accessibile), lo proclama ACRL.
Ebbene, perché non adeguarsi a quanto dice proprio l'ultimo documento e accettare che il coro è parte integrante dell'assemblea e deve essere collocato nell'aula, tra il presbiterio e l'assemblea; in ogni caso la posizione del coro deve essere tale da consentire ai suoi membri di partecipare alle azioni liturgiche e di guidare il canto dell'assemblea? Perché i documenti precedenti non dicono niente di tutto ciò. E se la CEI medesima, nelle persone dei suoi vescovi, compiono adeguamenti liturgici  in palese contrasto con quanto è scritto nel presente documento (se andate sul forum Cattoliciromani.it potrete vederlo coi vostri occhi), non vedo perché io dovrei piegare il collo e accettare bovinamente un giogo di profonda sciocchezza. Il testo della CEI presenta una notevole forzatura rispetto a quanto detto dagli altri più autorevoli documenti e ne fa una lettura superficiale. 
Se ci basiamo su OMGR e MS pensiamo che i Padri sì pensavano a una disposizione come quella ora data obbligatoria dalla CEI ma, al contempo, aprivano la porta a ad altri interventi come:
-rimozione delle grate dalle cantorie (peraltro rese obbligatorie in tempi non troppo oscuri);
-realizzazione di cantorie facilmente accessibili o esecuzione di interventi di stessa portata su quelle presenti.

Né OGMR né MS stabiliscono divieti, proprio perché dipende dalle situazioni e una soluzione non è migliore di un'altra a priori. Se prendiamo il caso delle cantorie, è ovvio che il modello non dovrà essere quello delle minuscole chiese di paese. Si realizzino cantorie larghe e spaziose, su cui chi canta sia ben visibile da parte dei fedeli, solo laddove c'è il posto, altrimenti c'è il rischio di mettere tutto davanti all'assemblea e i creare un "cuscinetto" umano senza motivo. Debbo ricordare d'aver visto che una larga cantoria di controfacciata si trova anche nelle chiese cattoliche di recente costruzione di area germanica. Ciò non fa altro che confermare le mie riserve sull'operato delle Conferenze Episcopali.
Volendo tirare una prima conclusione, si potrebbe dire che il Magistero ha detto che il coro deve mostrarsi come parte dell'assemblea e, quindi, poter partecipare agevolmente alla liturgia. Non ha dato -a ben vedere- soluzioni pratiche proprio per lo stesso motivo espresso nella prima parte di questo post, perché ogni chiesa è un mondo a parte.
La CEI invece pone un diktat, che possiamo leggere in "La progettazione di nuove chiese-nota pastorale":

15. Il posto del coro e dell'organo


Il coro fa parte dell'assemblea e deve essere collocato nell'aula dei fedeli; deve comunque trovarsi in posizione e con arredo tali da permettere ai suoi membri l'adempimento del compito proprio, la partecipazione alle azioni liturgiche e la guida del canto dell'assemblea. 
 Per ragioni foniche e funzionali, la collocazione dell'organo a canne sia studiata e progettata attentamente fin dall'inizio, tenendo conto del suo naturale collegamento con il coro e con l'assemblea.

Fatta la legge, trovato l'inganno: la cantoria è nell'aula. Sfido io a dire il contrario. Non si dice: "deve esser collocato nell'aula, tra i fedeli", ma: "deve esser collocato nell'aula dei fedeli." Quindi, se un valente architetto progetta una bella e accessibile cantoria, bisognerebbe costruirla.
Ciononostante, la CEI sembra suggerire un recupero dell'originale posizione del coro, ossia collocato nella navata proprio dinanzi al presbiterio.
Tuttavia, dovendo tracciare la storia della posizione del coro (perché -ricordiamolo- là dove c'è il coro si trova l'organo), ritengo necessario spostare tutto in una terza parte.

sabato 29 settembre 2012

La posizione dell'organo (Parte 1a)

Traggo le riflessioni che oggi espongo dalla lettura di Gian Vito Tannoia, L'organista liturgico, Stilo Editrice, Modugno 2006.
A pagina 42, alla sezione 3.3 (la posizione dell'organo, appunto), possiamo leggere quanto segue:

"313. L’organo e gli altri strumenti musicali legittimamente ammessi siano collocati in luogo adatto, in modo da poter essere di appoggio sia alla schola sia al popolo che canta e, se vengono suonati da soli, possano essere facilmente ascoltati da tutti (OGMR n. 313).

Il suono viene percepito in maniera non uniforme quando le canne dell'organo sono situate sul portone d'ingresso, più o meno lontane dal presbiterio o comunque dal luogo dove si trovano animatori e corale. La migliore intesa, anche visiva, si ottiene -ovviamente- quando il corpo d'organo è nei pressi della schola e magari dell'assemblea.
Domanda: come adattare la forma e la posizione dell'organo in rapporto al nuovo modo di concepire gli edifici del culto alla luce delle esigenze della liturgia rinnovata? La nota pastorale della Commissione episcopale per la liturgia della CEI* offre spunti preziosi per la tutela degli strumenti, soprattutto quelli storici, troppo facilmente adattati e mutilati irreparabilmente in modo maldestro e superficiale:

Il problema della distanza dell'organista dal coro e dal direttore può essere risolto facendo ricorso ad opportuni accorgimenti tecnici, quali ad esempio un sistema di specchi, una telecamera a circuito chiuso, ecc. (ACRL n. 21).

E' anche possibile, quando necessario, ricorrere:

a un secondo organo di minori dimensioni, collocato in posizione utile al coro e all'assemblea, non in sostituzione ma ad integrazione dell'organo monumentale (ACRL n. 21).


*CEI, L'adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica, Edizioni Paoline, Roma 1996"

Anzitutto è necessaria una premessa: la mia riflessione intende muoversi su due direttrici: la critica al Tannoia e quella al documento della CEI.

Parte I: critica al M° Tannoia.

Nella parte sopra riportata, le considerazioni del musicista pugliese non mi trovano affatto d'accordo perché non le ritengo veritiere in linea generale. Non è possibile fare un discorso generico perché ogni situazione è particolare e merita una riflessione specifica: tutto, infatti, dipende dalla grandezza e dalla ripartizione interna di ogni singola chiesa. La nostra età, infatti, non vede un unico stile architettonico di chiesa, per cui risulta impossibile a priori dove stia meglio l'organo, poiché varia il numero delle navate, l'altezza del soffitto,  la forma della chiesa e del presbiterio. Insomma, ogni chiesa è un caso specifico. Possiamo solo dire che la migliore posizione dell'organo è quella dove lo strumento rende meglio e può esser suonato come indicato nelle direttive.
Ne consegue che il parere del M° Tannoia è valido solo se parliamo di una chiesa medio grande, col presbiterio assai distanziato dall'organo; in questa situazione, però, non si hanno problemi quando la chiesa risulta piena dal momento che non si creano squilibri (spazi vuoti e spazi pieni) all'interno della navata.
Volendo essere onesti, se vogliamo parlare di dove bisogna posizionare l'organo, bisogna solo dare indicazioni e mai divieti, ossia non possiamo stabilire a priori il luogo migliore ma demandare ai parroci e ai tecnici la scelta del luogo migliore per ogni singola chiesa; possiamo solo dare queste indicazioni:
-il suono dell'organo deve esser percepito in modo uniforme anche nelle messe con pochi fedeli;
-intorno alla consolle deve esserci spazio sufficiente perché prenda posto una schola cantorum.

Fatte queste precisazioni, possiamo vedere che non esiste una posizione migliore ma una soluzione migliore: per esempio, in una chiesa grande l'organo sarà preferibilmente posto nella navata, o in cornu Epistolae o in cornu Evangelii, in posizione avanzata; in una chiesa piccola, invece, può andare più che bene la controfacciata. 
Inoltre, come fa giustamente notare Tannoia, si può pensare alla costruzione di un secondo organo per i casi proprio più disperati oppure per evitare di costruire strumenti giganteschi che stridono con l'ambiente: meglio costruire due corpi d'organo (possibilmente muniti ciascuno di una propria consolle) da usarsi a seconda del numero dei fedeli a Messa.

Concludo la prima parte criticando anche la decisione di collocare il corpo d'organo presso l'assemblea e il coro. Se sommiamo tutte le direttive e facciamo il conto di quanto deve stare presso l'assemblea noteremo che non avremo più una navata con un popolo di fedeli ma un mercato del bestiame. Sembra che sia percepita solo la dimensione orizzontale, con la completa perdita di quella verticale, cosa che è una sciocchezza, prima che liturgica, architettonica: bisogna usare tutti gli spazi e le dimensioni, non bisogna sprecare nulla. Inoltre, è vero che troppe volte strumenti storici sono stati mutilati, ma bisogna pur fare una distinzione fra strumenti di prestigio e no e non bisogna chiudere il discorso: invece di intervento sulla fonica dello strumento, perché non parliamo di integrazione di nuovi corpi fonici con gli strumenti storici? Il discorso deve rimanere aperto e non morire per colpa di qualche sciocca teoria artistica.
Inoltre, non si capisce perché il corpo d'organo debba esser vicino all'organista dal momento che la trasmissione elettrica permette di distanziarlo. Mi correggo: si capisce benissimo poiché, se si va a guardare ACRL, si noterà che è da preferirsi l'organo a trasmissione meccanica. Insomma, dal momento che queste ultime direttive non sono farina di Tannoia ma della CEI, conviene affrontare il discorso in maniera separata, per meglio approfondire una questione così delicata.


mercoledì 12 settembre 2012

Catechesi musicale (I)

Dopo attenta riflessione, mi son deciso a cominciare una serie di post intitolata "Catechesi musicale", dove tenterò di spiegare quel che dice la Chiesa e quel che pensa il sottoscritto circa la musica all'interno della liturgia. Perché "catechesi" e non un altro titolo? Perché, malgrado abbia intenzione di inserire alcune mie personali idee, mi sono accorto che spesso le persone si fanno un'idea della musica sacra basata su pareri personali, talvolta risibili, e sulla mancanza di preparazione culturale (musicale, storica, religiosa) e dunque bisogna ripartire dalle basi, da un linguaggio veramente catechetico. Poiché mi sta a cuore (I care) fare chiarezza sulla materia e credo di avere competenze sufficienti da condividere, ho avvertito la stringente necessità di parlare, di comunicare, di aiutare gli altri a conoscere aspetti che sfuggono al grande pubblico; al contempo, c'è la necessità di non esprimersi come avvocati, ossia citando in continuazione documenti, articoli etc. (con buona pace della mia formazione accademica), dacché spesso un tale atteggiamento dai più è percepito come o manifestazione di spocchia o argomentazione noiosa e fumosa oppure come discorso malevolo, che costruisce una muraglia invalicabile di codicilli e latinorum per fregare gli altri: è tempo, pertanto, di usare un linguaggio "da omelia", cioè chiaro, semplice ma non insulso, di modo che tutti possano comprendere ciò che si dice in maniera chiara e limpida. Sta poi all'individuo liberamente scegliere che pensare.

Lutero era solito dire: "Non bisogna lasciare la bella musica al diavolo." Così egli esponeva la ragione per cui nella Chiesa Riformata trovava accoglimento la musica profana; a tutt'oggi, fra i riformati la frase è citata a fondamento delle loro scelte musicali.
L'eretico tedesco ha ragione nel non voler lasciare la bella musica al diavolo, tuttavia non dice quale sia la bella musica: è qui che crolla tutta la costruzione. Quante volte, infatti, abbiamo provato disgusto per una melodia che all'inizio ci pareva bella ma poi ci viene resa odiosa dall'ascoltarla più e più volte? Da dove nasce allora questa sorta di illusione? Perché ci pare che un certo pezzo sia bello per poi riscoprirlo, tempo dopo, orrendo o ridicolo? Tutto ciò avviene perché quella che ci si para davanti è sì bellezza, ma è effimera: dura poco, è fragile, deperisce presto.
Se, pertanto, come ricordano i liturgisti, la Messa è la proclamazione di lode del Signore da parte dell'assemblea dei fedeli riuniti del Suo nome e se questa "attua" la lode donando quanto ha di meglio (esattamente come quando viene a trovarci un caro amico o parente, noi lo riveriamo con quanto di meglio abbiamo), allora come possiamo fare un dono che deperisce subito?come possiamo proclamare una lode effimera, che nemmeno fa in tempo a raggiungere le orecchie del Padre ch'essa è già con le ali spezzate?
A meno di non considerare il Signore come un padre che deve subire l'egoismo dei figli e le loro scelte autoreferenziali, senza esser minimamente considerato per quel che è ma sempre e solo in funzione dei figli stessi, è evidente che così non può andare: a dircelo non è tanto la ragione, quanto il cuore.
Come fare, quindi, a distinguere la musica profana da quella sacra?  Anzitutto dobbiamo partire dall'etimologia perché solo il significato autentico delle parole e la loro genesi possono chiarire quello che ormai può risultare un termine logoro, dal valore fumoso, come in questo caso la parola "profano". Etimologicamente parlando, "profano" vuol dire "[che sta] davanti al tempio": di conseguenza, la musica profana è quella che, pur essendo noi fisicamente nel tempio del Signore, spinge la nostra mente e il nostro cuore al di fuori di esso; di contro, "sacro" è ciò che tiene avvinti alla divinità. Se, allora, ne traiamo le estreme conseguenze, la lode al Padre viene inficiata, annullata, nel momento in cui mente e cuore, anziché esser rivolti a Lui, sono rivolti a qualcosa che sta fuori del tempio, ossia a qualcosa di profano.
Sorge, logicamente, una domanda: come deve esser scritta la musica sacra? Certamente non seguendo gli stili profani, e i motivi del "divieto" ormai li conosciamo bene. Però ci viene mossa sovente la madre delle obiezioni: questo tipo di musica è brutto, bisogna fare qualcosa che piaccia alla gente. Anzitutto dobbiamo chiarire che l'antico adagio "non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace" si conferma veritiero. Non potrà mai esistere, se non per casi eccezionali -e sappiamo che l'eccezione conferma la regola-, unanimità di consensi per le forme artistiche e la musica, che ne è una manifestazione, non esula da tutto ciò. Essendo, quindi, il bello/brutto e il piacere/dispiacere concetti soggettivi, ne consegue che fondare, per esempio, un repertorio parrocchiale solo su questi cardini è totalmente sbagliato; bisogna però aggiungere che siamo uomini e quindi siamo portati a semplificare la percezione del mondo che ci circonda e a porci sempre in primo piano, non mettendoci nei panni altrui, per cui il bello e il piacere ci seducono sempre. 
A dire il vero questo dovrebbe essere un problema che coinvolge gli specialisti, ossia chi compone musica; chi si limita a suonare/cantare a Messa, magari privo di formazione sia musicale sia liturgica, dovrebbe seguire le norme e affidarsi ai canzonieri approvati dalle autorità ecclesiastiche. Purtroppo, però, vediamo o figure "non professionali" che ardiscono a giudicare forme e stili musicali, senza spesso conoscerle bene e fanno cantare all'assemblea cose assolutamente profane "perché piacciono" (sì, a loro) e di stampo giovanilistico (sulla cui musicalità "giovane" ci sarebbe molto da dire) o persone con una certa cultura che, per difesa e reazione, si arroccano su pozioni uguali e contrarie, ossia sulla scelta di due/tre autori, il cui unico pregio è l'esser morti. Come può esserci, allora, unione nel popolo dei fedeli se coloro che dovrebbero dare l'esempio si fanno la guerra? Come possono aver qualcosa da insegnare le persone di cultura se esse compiono i medesimi errori di quelli non acculturati?
Anzitutto, la divisione non va mai bene, ma bisogna valutare caso per caso; è, però, pure vero che lo scontro  ha una sua ragion d'essere solo quando giuste sono le sue fondamenta, ossia l'applicazione di tutte quelle norme che regolano la presenza del canto nella liturgia e parlano di musica sacra. Se, da un lato, il dialogo deve esser sempre perseguito -e, con chi ragiona "di pancia", per meglio raggiunger l'obbiettivo di solito conviene non citare leggi e leggine, ma esporre il motivo a base delle leggi- è comunque fuor di dubbio che bisogna arrivare a un risultato, sennò quello che chiamiamo dialogo è in verità un prendersi in giro. Solo se la persona con cui si dialoga si dimostra intransigente, allora uno scontro potrebbe apparire giustificabile, ma che guadagneremmo? L'unica arma è la perseveranza oppure, se proprio siamo esasperati, andare via ma senza far rumore.
Fermiamoci brevemente su quest'ultima frase: andare via ma senza far rumore. Quante persone non vediamo più nella nostra parrocchia perché, a causa di dissidi, se ne sono andate? Quante se ne vanno sentendosi escluse poiché tutto viene scelto a piacimento di pochi? Come evitare di sbagliare anche noi? La Chiesa s'è rivelata assai saggia: parlando di musica sacra ha tagliato la testa al toro, ossia ha detto che in chiesa, per evitare le divisioni causate dai diversi gusti, si faccia solo un tipo di musica, che sia oggettivamente diversa da quella "mondana", e che come tale sia percepita. E' in questa diversità che spinge l'uomo a concentrarsi tutto su Dio che risiede l'autentica bellezza: solo quando tempo e spazio sembrano annullarsi poiché sostituiti dalla dimensione della lode al Padre (e non vogliamo far altro che stare tutti insieme lì a cantare, pieni di Spirito), allora siamo dinanzi a vera musica sacra, a vera musica bella Solo ricorrendo alla musica sacra, infatti, l'assemblea percepisce che in chiesa non c'è posto per i soggettivismi imperanti di alcuni, ma siamo tutti uniti; ovviamente poi la musica sacra non è tutta uguale, omogenea, dal momento che pure essa risente di stili e mode, ma queste -in tutta franchezza- son finezze che potranno esser acquisite col tempo e su cui, ora come ora, non vale la pena dilungarci.
In conclusione, chi ha compiti che hanno che vedere con la musica nella liturgia, deve anzitutto far uso di tre doti: umiltà, fiducia, pazienza. Umiltà verso chi, pur essendo di diverso parere, spende tempo per la chiesa (magari da più tempo) e verso chi prova a dare mano, malgrado i risultati; fiducia verso il Magistero e i repertori approvati dai vescovi (anche se non sono il massimo sono un buon inizio) poiché ambedue i termini non sono malevoli ma parlano per il bene dei fedeli; pazienza verso chi mette i bastoni fra le ruote e si oppone fortemente a quest'opera di restaurazione liturgica.


venerdì 7 settembre 2012

Avviso

Ho deciso di cancellare il post "Quei soldi andavan mandati in Africa": ha causato sofferenza e quindi risulta solo nocivo. Ho, però, intenzione di recuperarne al più presto la tematica di fondo, ossia se sia giusto o meno recuperare un organo che -difatti- torna a suonare solo in occasione di concerti e non all'interno della liturgia.

martedì 4 settembre 2012

Il peso delle azioni


In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non giudicate, per non essere giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? O come dirai al tuo fratello: “Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio”, mentre nel tuo occhio c’è la trave? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello». (Matteo VII, 1-5)



Chi è avvezzo a partecipare alla Messa cattolica ben si ricorda la versione 
italiana del Confiteor, che presente la frase: "ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni".
Orbene, non è che mi sono trasformato in web-predicatore e per questo ho deciso di riportare quanto sopra: questo post, infatti, vuole essere una pubblica dichiarazione di scuse.
Con l'ultimo articoletto (Quei soldi andavan mandati in Africa!) ho fatto un gran minestrone, buglione, polpettone di elementi; purtroppo, il sapore di quelli sani è stato inevitabilmente compromesso da quelli avariati. Rivendico come obiezione sensata pensare, quando si parla del restauro di un organo, al futuro e reale utilizzo che si farà dello strumento. Forse, avanzo un'idea, in questi casi bisognerebbe rovesciare il motto cavouriano e fare prima gli italiani e poi l'Italia, ossia prima creare l'ambiente più adatto per il dialogo con lo strumento e poi restaurare lo strumento. E qui è riassunta la pars costruens (seppur presentata come destruens). L'ingrediente avariato, invece, è il ricamo ad personam costruito intorno a un argomento che, di per sé, è autonomo e sa reggersi in piedi senza che lo si puntelli con l'Accusa ed il Discredito.
Qualcuno potrebbe dire che nell'ambiente del web i toni si esasperano facilmente perché inconsciamente ci rendiamo conto che non affrontiamo  faccia a faccia le cose, ma ci pariamo dietro uno schermo luminoso e -pertanto- sarei in parte giustificato. No, mi spiace, rinuncio a tale attenuante, ne va della mia intelligenza (almeno fino ad oggi ritenevo d'averne, non da vendere, ma in maniera sufficiente).
Perché allora ho scritto un pamphlet così acido e velenoso? Anzitutto perché ho uno "spirto guerrier ch'entro mi rugge" e poi perché ho contravvenuto alla regola aurea: non giudicare (Gesù a parte, se tutto il pianeta lo facesse si starebbe tre volte meglio). La coppia è veramente terribile, Bonnie e Clyde non son nulla a confronto e fanno meno danni. In riferimento a una sola persona, mi son permesso di giudicarne i trascorsi, la psiche, il comportamento e la moralità. Chi scrive non è allora un uomo presuntuoso, ma un padreterno malevolo! Il tutto è ancora più infamante dacché la persona in questione non ha la possibilità di offrire una replica altrettanto incisiva come un articolo, per quanto questo blog sia volutamente privo dell'approvazione per i commenti. 
Mi potrei beccare una querela? Nomi non ne ho fatti, ma a me questo non interessa. Diciamo che se uno si preoccupa solo delle querele è un coglione. Sì, perché non si rende conto che alla base di una probabile e futuribile querela c'è un rapporto chiuso, spezzato.
Nei momenti di rabbia è facile, almeno per me, sbagliare "in pensieri, parole, opere". Sbaglio così bene che non ometto nulla! Il problema è che, quando uno ha sbollito la rabbia, si rende conto che 2/3 di quanto pensato detto fatto sia stato un totale annubilamento della ragione, frutto di una coscienza che non s'apre al confronto ma si chiude su sé stessa, e più si chiude più partorisce pensieri involuti e questi fanno sì che la cosa continui per diverso tempo.
Se allora questa è la mia vicenda, al lettore che gliene cale? beh, col senno di poi posso solo dire che l'organista deve esser sempre musicista, ossia deve mostrare la qualità principe di chi suona: l'onestà, senza la quale non si può ambire a credibilità e fiducia. Meglio calare tutti le carte che fare sempre buon viso a cattivo gioco e tenersi un fegato ingrossato che produce solo bile (per la metafora ringraziate Persio). Avere fiducia è una scommessa con il Nulla, ma è la stessa che tutti noi facciamo quando ci sediamo a suonare: speriamo che vada tutto bene, speriamo che non si rompa un tirante all'improvviso, che non salti l'alimentazione dell'elettroventola, che non rimangano incantati i registri etc.
Concludo rinnovando la mia richiesta di scuse al diretto interessato, a quel convitato di pietra sempre qui mai nominato ma che non ha un cuore di pietra e che pertanto è un uomo esattamente come me, un uomo che gioisce, soffre, sbaglia, agisce rettamente. Un uomo. 

P.S. Il famoso libro più volte accennato è


Il corale. Nello stile di Heinrich Schütz e Johann Sebastian Bach 
Ulrich Kaiser (Autore), G. Fanutti (Redattore), A. Piani (Redattore), E. Dandolo (Traduttore)


Non mi risulta disponibile da nessuna parte. Non avevo scritto il nome per paura che qualcuno si assicurasse l'unica copia a disposizione.
Ho recentemente finito di leggere (bastano sì e no 120 minuti per farlo)

G. V. Tannoia, L'organista liturgico, Stilo editrice 2009

un libro interessante perché dà consigli pratici. Specie per chi è alle prime armi è una manna dal cielo; l'unico difetto è che il sig. Tannoia scrive avendo sotto le mani un organo a 2 tastiere con pedaliera autonoma, senza considerare che l'Italia ha una cosina che si chiama "organo italiano" che fa saltare la gran parte dei suggerimenti dati. Vedremo di rimediare.


P. P. S.Perché non eliminare l'articoletto incriminato? Perché "quel che è fatto è fatto" e questa voglio che sia la filosofia del blog. Non deve essere perfetto, deve esser vissuto. Tuttavia, come ben si comprende, dati i motivi su indicati, qualora mi venisse chiesto, non potrei non procedere alla cancellazione del post.

giovedì 5 luglio 2012

Pronti. Via! (ovvero come cominciare a suonare a Messa)



Complice un esame di letteratura latina che proprio non mi riesce preparare (luglio non è un mese proverbialmente adatto allo studio) ho deciso di condividere coi miei 4/5 aficionados una riflessione post-prandiale di poco peso.
Il povero organista che capita in una parrocchia dove sull'altare a destra c'è il Messale e sulla sinistra il Capitale come può fare a convincere il compagno-presidente del soviet (alias parroco) a impiegare l'organo nella liturgia?
Anzitutto si scordi di parlare di gregoriano, polifonia e organo principe della musica sacra, magari citando i documenti conciliari: l'attenderebbero o un posto al cimitero o l'eterna sfiducia del compagno-presbitero.
Se il nostro povero amico organista volenteroso vuole prestare servizio, anzitutto, da bravo guerriero vietcong (sì, per sconfiggere un comunista ci vuole un comunista) osservi il territorio e i suoi abitatori con fare circospetto, senza dare nell'occhio. 
Nel 99% dei casi si troverà in un Santa Messa che di santo ha poco, ma sembra molto dis-messa. Canti insulsi a ogni piè sospinto, abusi fatti a cuor leggero e clima da centro commerciale. Per esempio, sicuramente, vedrà e sentirà cantare "alla pace", ma non durante l'Agnus Dei.
O uno si mette le mani nei capelli fugge di chiesa urlando o resiste. Il Nostro è un sano vietcong, per cui resta a combattere la dura battaglia.
Dov'è il punto debole della Grande Muraglia Progressista? Il canto del salmo. 
Tutti, e dico tutti, anche fra i peggiori teorici del progressismo programmatico, sono concordi nel sottolineare come anzitutto il salmo trovi il suo compimento nell'esecuzione cantata: se non  è possibile cantarlo tutto, è raccomandato almeno il canto del responsorio.
 Quasi tutti usano il foglietto "La Domenica", su cui vi sono riportate note e accordi, pure per la chitarra, del responsorio. Eppure non si sente mai una nota. La domanda allora sorge spontanea: perché, allora, di solito non vien suonato? Perché gli strimpellatori di turno non sanno minimamente come fa la melodia in quanto non sono in grado di legger le note, e quindi per fare quel piccolo responsorio che un organista esegue anche a prima vista lo strimpellatore dovrebbe impiegare molto tempo (rintracciare la melodia, magari su web, impararla, fare l'accompagnamento, e rimparare la melodia ché tanto stona). E se pure una simile fatica si fa per Pasqua e Natale, per le altre domeniche il gentil musico fa il gesto dell'ombrello al parroco e al salmo cantato.
Ecco allora che si apre un varco per il nostro organista guerriero: offrirsi per eseguire almeno il salmo. Non si abbia l'ardire di proporre di suonarlo tutto; no, si parta solo col responsorio. Si abbia cura di usare registri morbidi, delicati, di modo da non coprire il popolo che ripete il responsorio (altrimenti il prete rompe, dice che l'organo fa casino e mette fine a tutto).
Ok, non è il massimo della vita suonare 5 secondi e basta, ma tra 0 e 5 di questi benedetti secondi passa la differenza fra il deserto e l'oasi. Il prete poi vi chiederà di fare tutto il salmo. E poi, magari, chi suona (se non è  un cretino pieno di pregiudizi) si avvicinerà e vi chiederà di fare qualcosa, magari di fare il canto finale (tanto non lo canta nessuno...) e così via.
Quello che importa è la presenza, farsi vedere: finché ci sarà un organo che suona ci sarà la possibilità che niente vada perduto. Magari a qualcuno, infatti, l'organo potrebbe piacere e andare dal parroco a chiedere che venga usato di più, magari dal parroco si presenta più di uno di questi sig. Qualcuno. Magari, magari, magari...sì, forse sono troppi, ma bisogna esser positivi: seminiamo per raccogliere. E la nostra semenza è buona.

P.S. Tra non molto tempo affronterò una questione anticipata tempo addietro già qui, su questo blog. Anticipazione: il corale, ecumensimo e pragmatismo d'arte per la Messa.

lunedì 2 luglio 2012

L'assurda mutazione genetica dell'Offertorio

E' da tempo che, ogniqualvolta devo scegliere un Offertorio, mi si para di fronte un dilemma: la diversità tra Offertorio pre- e Offertorio post-conciliare affonda le sue radici in qualche profonda e degnissima ragione teologica o è dovuta al fattore "idiozia umana"?
Ho controllato in Sacrosanctum Concilium e in Musicam Sacram. Sembra proprio che, ancora una volta, ci troviamo dinanzi a un monstrum partorito da un'interpretazione fantasiosa dei dettami conciliari.

Qual è, dunque, questa differenza suddetta? L'innegabile tristezza/mestizia dell'Offertorio attuale. Al 90%, infatti, vengon intonati canti dal sapore triste o quuantomeno palloso.
Eppure il momento non è tale,anzi.
L'Offertorio è tout court la cosiddetta "Preparazione dei doni", ossia "all'inizio della Liturgia eucaristica si portano all'altare i doni, che diventeranno il Corpo e il Sangue di Cristo." (OGMR n. 73). come si può, dunque, esser tristi o mesti dinanzi all'offerta? bah, io non lo so.E infatti, se prendete un qualsiasi offertorio pre-conciliare, la gioia che esso sprizza è manifesta pure ai sordi: talvolta c'è così tanto brio che è persino imbarazzante.

Due esempi.


un classico per ogni organista italiano; la gioia che sprizza è misurata e pacata, ma comunque ben percepibile sin dalla battuta d'inizio;


Non fa piangere, ok. Ma l'incipit è tristissimo e l'andamento è mesto. C'è tutto fuorché gioia. Specie nelle versioni parrocchiali.

Parlano tanto di esser gioiosi, ma quando si tratta di esserlo per davvero sono così rincoglioniti da non capirlo. 

Prima sfida dell'organista liturgico: eliminare la tristezza dall'Offertorio. Non garantisco il paradiso, ma la coerenza liturgica sì.

martedì 26 giugno 2012

Organista per passione (nel senso truce del termine)



"Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua."(Mt XVI, 24).
Questo dovrebbe essere il motto di ogni cristiano, certo è che -allo stato attuale dell'arte- trattasi del motto d'ogni organista, un'indelebile frase scritta nelle carni da umiliazioni continue e, sembra, infinite.
Anzitutto bisogna fare una premessa: chi suona l'organo in chiesa non è necessariamente organista. E non lo dico con tono sprezzante di chi studia per diventarlo. Penso, infatti, che quello che distingue un organista (musicista) da un pesta-tasti sia un solo fattore: il quid artistico.
Cos'è il quid artistico? E' la capacità di sentire la musica, di percepire un estro artistico che non sia fine a sé stesso (la vera arte serve gli altri: quando serve chi la "crea" ci troviamo dinanzi a una sega, una masturbazione, d'artista e nulla di più). Se uno ha questo quid va in tasca a tutti e riesce pure laddove non abbia una cultura musicale, con grande fatica, ma ci riuscirà.
Quando ci troviamo dinanzi a queste persone, bisogna inchinarci e render omaggio.
La realtà vuole, ahinoi, che il quid sia oggetto di soventi ricerche presso Chi l'ha visto? (il noto programma televisivo) dacché è piuttosto refrattario nel palesarsi.
Laddove manchi il suddetto quid interviene il fattore culturale a farla da padrone. E finché quest'ultimo sia ancora ben conservato, la mancanza di un artista non si avverte come pressante questione da affrontare. Un buon pesta-tasti è quello che ha una buona cultura musicale.
Ma quando manca pure la cultura musicale? Lino Banfi direbbe che sono "uccelli per diabetici" (la metafora è ovvia). Si dà il caso che la temperie culturale che si respira nella maggior parte delle sagrestie italiche sia questa. Il male è che a dar man forte all'ignoranza vengano l'arroganza e la saccenteria. Un ignorante saccente e ignorante è la peggior cosa (il suo stato di abbrutimento mentale gli fa percorrere a ritroso la catena dell'evoluzione fino a portarlo allo stato di composto chimico e stop) che un organista possa trovare. E visto che certi seminari hanno sfornato questo tipo di figure...beh, c'è da mettersi le mani nei capelli.
Le soluzioni al problema sono due: o fuggire o rimanere. Tertium non datur. 
Queste persone, in realtà, sono da compatire. Non riescono a contemplare il Bello (attributo di Dio) perché si sono fatti un idolo e se lo sono messo davanti agli occhi, un idolo chiamato ora "spirito del concilio" ora "segno dei tempo". Non sentirete mai, da queste persone, una frase come "ho sbagliato" o "potremmo fare diversamente". No, nella migliore ottica di diplomazia curiale, non si può mai sottolineare discontinuità col passato, altrimenti sarebbe sottintesto che alcune scelte sono state clamorosamente toppate.
Confesso che la via della fuga è quella più rilassante, più "giusta" verso di noi. Ma se noi ce ne andiamo, chi crescerà le nuove generazioni? che possibilità reali di cambiamento ci sono? Punte, o forse quasi nessuna. Se noi, invece, lottiamo e ingoiamo bocconi amari come il fiele possiamo sempre sperare di far migliorare la situazione a passi piccolissimi ma inevitabili. 
Il Creatore ripagherà noi poiché ci saremo così presi cura del suo gregge che, per amor di questo, non ce ne verrà altro che patimenti e dolori e, al contempo, saprà debitamente (lo spero vivamente) ripagare degnamente chi s'è creato l'idolo (le proprie irrinunciabili convinzioni personali) e se l'è messo innanzi agli occhi.
Essere santi combattenti (e non combattenti santi) sia l'imperativo di ciascun organista maltrattato, di ciascun direttore di coro cui tarpano le ali, di ciascun musicista che GRATIS spende del tempo e non ne ricava altro che malumore.


Piccola postilla conclusiva.
Alcuni miei amici mi hanno dato un consiglio prezioso: non poter fare qualcosa non deve precludervi dal non saperlo. Se al vostro parroco non va che suoniate, per esempio, Symbolum '77 ciò non vuol dire che voi non lo sappiate. Mai regolare il proprio repertorio in base all'hic et nunc. I preti, e meno male, passano, è il popolo che resta (e si spera pure noi e il nostro ricordo, e cioè pure cosa abbiamo insegnato).


Forza, dobbiamo resistere. Passerà tutto questo.