mercoledì 27 febbraio 2013

Una doverosa puntualizzazione


In riferimento all'ultimo post, catechesi musicale (II), ho da riportare una doverosa puntualizzazione a cura di un "amico telematico" che ha avuto modo di leggere l'intervento.
Gustate la semplicità e la lucidità d'esposizione.

Bravo, però…



I documenti della Chiesa non parlano mai di “polifonia romana” ma di “polifonia” più in generale oppure – con maggior precisione - di “polifonia classica”, ovvero musica polifonica delle varie scuole (romana, fiamminga, anglosassone…) dell’epoca rinascimentale, come chiarito dalla “Musicae sacrae disciplina” di Pio XII. E non potrebbe altrimenti: perché Palestrina, Festa, Pitoni, Anerio e Giovannelli dovrebbero avere più diritto di cittadinanza nelle nostre chiese che non Victoria, Lasso, Gabrieli o Viadana?

Va aggiunto poi che la polifonia classica non si caratterizza per l’“alta costruzione armonica” (il concetto stesso di “armonia” è posteriore), ma semmai per la perfezione contrappuntistica e il senso di equilibrio. È cioè un linguaggio in cui conta più il “come si dice” del “cosa si dice”.
Circa il gregoriano bisogerebbe chiarire una volta per tutte un nervo scoperto: perché è ritenuto il canto “proprio della chiesa romana” (SC 116)? I documenti– a parte l’enciclica di Pio XII al paragrafo III e il Motu proprio di Pio X ai paragrafi I e II – poco o nulla dicono in proposito. Certamente c’è il fattore tradizione, ma non basta. A mio parere le sue caratteristiche fondamentali sono due: la modalità e l’aderenza alle forme e ai testi della liturgia. Il canto gregoriano si sviluppa nel sistema modale, piuttosto lontano dal sistema tonale e da tutti i suoi cliché, cui siamo tanto abituati. Per cui si potrebbe dire che il gregoriano ha un potere altamente “evocativo”: il solo ascolto di una frase promana un’atmosfera altamente spirituale, eco di quel “canto nuovo” di cui parla il Salmo 46. “Nuovo” proprio perché nulla riprende dei linguaggi musicali correnti.
Ma nemmeno questo basta: del resto è una considerazione più estetica che sostanziale. 
È invece basilare il fatto che il gregoriano sia connesso con il rito in maniera incredibilmente stretta (SC 112): l’ampiezza dell’epoca di composizione del repertorio gregoriano fa sì che per ogni testo liturgico da cantare, esista la corrispondente (o più di una) melodia gregoriana che interpreta - più evocandolo che descrivendolo - il significato del testo stesso. Altrettanto importante è il preciso inquadramento formale di ogni singolo pezzo (antifona, responsorio, graduale…) che risponde pienamente alla necessità liturgica del momento e contempla l’esecuzione da parte di ben precisi “attori musicali” (celebrante, solo, coro, popolo).

Ma da qui a dire che il gregoriano abbia “tutte le carte in regola per essere il vero canto dell'assemblea” ce ne passa… O meglio: può anche essere vero, ma bisogna precisare qualche cosa.
Tacendo del mai chiarito “ceteris paribus” (MS 50), che comunque si applica solo “nelle azioni liturgiche in canto celebrate in lingua latina” (ibidem), va evidenziato che il repertorio gregoriano è molto eterogeneo anche dal punto di vista della difficoltà esecutiva. Non tutti i brani hanno “movimenti piuttosto semplici, intervalli non esagerati fra tono e tono (nota e nota) e un'estensione non troppo estesa” (cito dal tuo post), così da essere adatti ad una qualunque assemblea: basterebbe sfogliare i graduali e i tratti, brani solistici per eccellenza con i loro ampi melismi (esemplari i tratti del venerdì santo), del “Graduale romanum” per rendersene conto. Ma anche i brani “corali” come antifone e responsori (ma spesso anche l’Ordinarium) non erano affatto popolari perché eseguite esclusivamente dai monaci, e quindi da cantori comunque specializzati e non da un coro di popolo. 
Altra cosa è il gregoriano “popolare” perché tardo – ci sono addirittura pezzi sei-settecenteschi come l’arcinota “Salve Regina” di V modo – alcune messe del Kyriale e il vasto repertorio del “Graduale simplex”, che invece possono essere felicemente eseguiti anche da assemblee modeste.
Il resto del repertorio “dovrà dunque restituirsi largamente nelle funzioni del culto” (Inter sollicitudines II, 3), ma a patto che lo faccia un coro ben preparato, cosa che è richiesta dal repertorio stesso. Il gregoriano non è più facile della polifonia solo perché monodico, anzi…
Gregoriano e/o polifonia… va bene, ma sono generi primariamente corali. E il canto sacro popolare (MS 4b, SC 118)?
Del resto, guardiamoci in faccia: quando mai un coro polifonico o monodico - posto che esista in ogni chiesa - può essere presente a tutte le messe festive e feriali? E quando anche sia presente, l'assemblea ha il diritto-dovere di intonare i canti che le spettano su musiche che siano davvero degne di una chiesa. E chi frequenta le messe feriali, le tante e simpatiche "vecchiette" che popolano le nostre chiese, non hanno il diritto di cantare un repertorio semplice e accessibile, ma che sia vera musica?
È quindi necessario che quei compositori contemporanei di cui parli ci diano anzitutto canti per il popolo (i cori hanno già moltissimo) che siano un prodotto davvero degno dell’arte (SC 121), che tengano in considerazione limitazioni e necessità di un’assemblea media e che non si riducano ad essere dei tristi “passepartout” (caratteristica di gran parte del repertorio popolare nuovo) ma penetrino in profondità ogni testo e tempo liturgico. 
Che poi è proprio quello che ci insegna il gregoriano.


Faccio seguire un mio appunto: come detto sopra, non ho voluto condurre un'argomentazione basata su un qualsiasi documento, per cui -nel mare magnum delle norme- m'è sfuggito qualcosa e qualcosa è stata detta male. L'intento è quello di stabilire una approccio catechetico con chi parla di musica sacra ma presenta almeno una di queste caratteristiche:
-non sa suonare nemmeno uno strumento;
-non ha una cultura musicale decente (Gigi d'Alessio o i GEN non sono cultura musicale);
-non conosce le norme;
-non ha interesse a conoscere le norme;
-non ha interesse a far qualcosa di utile e catechetico ma si basa sul proprio gusto personale;
-non conosce la liturgia;
-non ha intenzione di conoscere la liturgia.

A una persona che presenta magari anche solo 3 di queste caratteristiche si parla con il codice delle norme alla mano oppure si parla con l'intento di far capire perché esistano le norme, cosa dicano e perché siano buone norme?

 Ringrazio ancora l'amico telematico Davide.

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