sabato 5 febbraio 2011

Circa i clavicembalisti all'organo

Con questo articoletto, vorrei esporre i motivi che mi convincono ad eseguire certa musica da clavicembalo sull'organo. Anzitutto, è doverosa una premessa: è chiaro che questo genere di musica non sia in primo luogo sacra e, dunque, è anche chiaro che i momenti per tali "incursioni" clavicembalistiche cadano negli spazi già indicati precedentemente (leggasi il penultimo articolo).
E' innegabile. però, che certi componimenti siano veramente "belli", nel senso che sono capaci dare molto malgrado la diversità dell'occasione dell'esecuzione e dello strumento per cui sono state scritte. Il periodo aureo barocco, quello di Bach e Zipoli, vede una continua osmosi fra organo e clavicembalo: quasi identica è la tecnica per ambedue e l'andamento di certi brani.

Oltre a ciò, dobbiamo anche fare un'altra considerazione, un po' più terra-terra. Sappiamo bene che il clavicembalo necessita di esecuzioni veloci/sostenute e che l'organo, per converso, sa esprimere meglio la propria grandezza su velocità più moderate. Ma non è detto che l'organo non possa sostenere certe velocità (basti pensare alla "Toccata e fuga in re minore" di Bach). Allora, come fare a coniugare questi due aspetti all'insegna del momento liturgico cui facciamo sempre riferimento? Semplicemente "mettendo il pepe"(ossia la velocità) nei momenti d'inizio e di fine, quando c'è il confine fra tempo mondano e tempo liturgico. Lì tutto va bene, altrimenti tutto diventa un po' complicato. Certo è complicato per chi si trova a suonare all'interno di una celebrazione ordinaria (detta Novus Ordo), dove il momento dell'organo solista è limitato. Non è così per chi, invece, partecipa ad una celebrazione liturgica straordinaria (detta Vetus Ordo), dove completamente diverso è l'assetto musicale.

Non ultimo è il fatto che a strumenti diversi corrispondano generi diversi. Tuttavia, ripeto, certe volte possiamo scambiare gli strumenti, consapevoli, certamente, di re-interpretare un pezzo e quindi accettando anche le critiche del caso.

Organo e gregoriano: licet?

Da un po' di tempo medito su una vexata quaestio (questione complessa e controversa): l'accompagnamento organistico del gregoriano.
Anzitutto debbo fare una piccola digressione: il canto gregoriano è necessario e doveroso all'interno delle celebrazioni cattoliche. Tanti archeologi liturgici, che hanno amputato qui e là la liturgia cattolica tridentina in nome di una fantomatica purezza originaria, non si sono resi conto che il gregoriano è stato il primo canto dei Padri della Chiesa. Non si sono resi conto che il gregoriano è fratello dei canti bizantini che si riallacciano alla tradizione orientale. Non si sono resi conto che i canti orientali attali sono così vicini al gregoriano perché queste due tipologie sono imparentate (diciamocelo: non si sono resi conto di una beata mazza!).
Ebbene, stando così le cose, l'organista liturgico deve necessariamente scontrarsi con questo annoso problema dell'accompagnamento al gregoriano.
Chiariamo subito che il gregoriano puro e filologico va contro le basilari nozioni musicali del musicista moderno (p.e. non ha un tempo fisso rispettato, tutto si basa sulla metrica delle parole) e quindi dovrebbe essere impossibile accompagnarlo. Tuttavia, già da tempo il gregoriano viene scritto nelle chiavi moderne, con la notazione moderna (note e tempo) e così cresce la nostra tentazione di accompagnarlo.
Questo, allora, è quello che penso:
1) in presenza di religiosi o laici capaci (=che sappiano cantare) in sufficiente numero da poter dividersi in due voci - una per il solista e una per il responsorio- non si deve assolutamente accompagnare;
2) in presenza di religiosi o laici capaci (=che sappiano cantare) in numero scarso, far fare la voce del solista ai competenti e accompagnare una guida che diriga l'assemblea nei responsori;
3) durante le messe molto affollate, però, pur essendo presenti cantori capaci, è bene però accompagnare i responsori, perché la maggior parte dell'assemblea non li conosce e/o non sa cantare;
4) in presenza di religiosi o laici incapaci (=che non sappiano cantare) accompagnare sempre, ma con leggerezza, con registri dolci, tali da costituire una voce sussurrata che sia in grado di suggerire ma non di primeggiare.

N.B. La purezza del gregoriano primitivo non potrà mai più essere raggiunta. Chi cantava nei primi secoli dell'era cristiana aveva in mente una cultura musicale vicina a quella del modus gregoriano, perciò aveva una naturalezza d'esecuzione che noi, influenzati da secoli di storia musicale, non potremo mai più avere.
Se qualcuno la pensa di versamente accetto critiche...