martedì 9 settembre 2014

Alternatim: una pratica antica per un contesto moderno

Propriamente parlando, la locuzione alternatim significa "alternativamente". 
Ai più il nome dice poco. A chi, invece, sa qualcosa di musica sacra -specialmente se si parla con gli organisti- verrà in mente la prassi della messa pre-conciliare, quando un canto/inno/salmo veniva cantato dal coro per una parte e suonato all'organo per l'altra.
L'alternatim si sviluppa profondamente nel Basso Medioevo all'interno della Messa. Ciò che, fino a quel tempo, era equamente distribuito fra due cori che cantavano alla stessa maniera (avviene qualcosa di simile nelle chiese in cui i salmi dei Vespri vengono recitati/cantati ora da una parte dell'assemblea ora dall'altra), comincia a differenziarsi: alla monodia del primo coro (forse non è più il popolo) risponde la polifonia del secondo coro. 

Nel video qui sotto si può vedere il Credo eseguito in alternatim all'antichissima maniera dei due cori che s'alternano in canto monodico; all'Et incarnatus est -però- abbiamo un saggio dell'alternatim medioevale, ossia una polifonia che risponde a una monodia.


In epoca successiva, però, le cose si complicano e alla polifonia del coro subentra la polifonia dello strumento polifonico per eccellenza, l'organo. In buona sostanza, col progredir dei secoli, il coro "polifonico" smette di cantare, il testo da cantare è semplicemente letto e poi suona l'organo, fino a quando si arriverà al momento in cui il testo -addirittura- non sarà più letto e "canterà" solo l'organo.

Questo è quanto si legge nel Caerimoniale Episcoporum del 1600 (il primo post-tridentino): §6 [...] Ma si dovrà badare che ogni volta che qualcosa viene supplito dall'organo o venga da esso eseguito alternatim come negli inni e nei cantici, da qualcuno del coro venga pronunciato con voce intellegibile ciò che non viene cantato a causa dell'organo. Sarebbe anzi cosa lodevole che qualche cantore insieme all'organo e con voce chiara cantasse la stessa cosa.

Lo stesso cerimoniale vietava l'alternatim coro-organo solo per il Credo, ma sappiamo bene tutti che questa pratica ha tirato avanti per secoli!!! Quindi dobbiamo chiederci quanto di ciò che veniva raccomandato fosse poi eseguito. 

Qui linko un video esemplare di come si presentava la situazione alle soglie del movimento ceciliano e della riforma liturgica (non ho messo i Fiori di Frescobaldi perché molto noti: questi video vogliono essere un invito a vedere cose anche poco note)

Insomma, comunque la si voglia mettere, si era arrivati a un vero e proprio abominio liturgico: si sacrificava il testo della celebrazione per fare della musica. Fu così che la pratica fu disincentivata (non è vero che Pio X la abolì: chi lo dice, ha letto male la Inter sollicitudines) tanto che piano piano morì. O meglio: sulla scia della bella e fausta riforma del canto sacro, tutti si proiettarono in avanti e si lasciarono il passato alle spalle (anche se nella "Divini cultus sanctitatem" di Pio XI, del 1928, si accenna a certi ostruzionismi e persino a prosecuzione di vecchi stilemi, alternatim organistico forse incluso).

Alla luce di quanto detto, vista poi l'esperienza comune di canto in chiesa, parrebbe di dover considerare superata la modalità dell'alternatim tout court. Ma non è così.
Che abbia ragione io, lo si può evincere dal primo video (una registrazione recente di una messa in forma ordinaria nella cattedrale cattolica di Londra), dove la modalità dell'alternatim (antico e medioevale) è messa in pratica. I fondamenti legali sono essenzialmente quelli espressi da Musicam sacram

§34. I canti che costituiscono l’Ordinario della Messa, se sono cantati su composizioni musicali a più voci, possono essere eseguiti dalla «schola» nel modo tradizionale, cioè o « a cappella» o con accompagnamento, purché, tuttavia, il popolo non sia totalmente escluso dalla partecipazione al canto. Negli altri casi, i canti dell’Ordinario della Messa possono essere distribuiti tra la «schola» e il popolo, o anche tra due cori del popolo stesso, in modo cioè che la divisione sia fatta a versetti alternati [in latino: versibus alternis], o in altro modo più conveniente, che tenga conto di sezioni più ampie del testo.

Qui si fa riferimento all'Ordinario ma -la stessa cosa- può pure valere per il Proprio. Qual è la ragione che ha spinto a questa formulazione: anzitutto non perdere un'antica (e bella) prassi, quella cioè dell'alternanza fra schola e popolo; in secondo luogo, non dimenticare il patrimonio liturgico-musicale. Tutto ciò è detto abbondantemente nello stesso documento, non è una mia invenzione.
I vantaggi dell'alternatim (escluso ovviamente quello di tipo a organo solo) sono molteplici: favorire la varietà nel rito; far percepire i ruoli differenti ma complementari di schola e popolo; fornire un tessuto liturgico-musicale di partecipazione attiva ma anche contemplativa; comunicare antichi patrimoni musicali etc. Questi sono solo alcuni, scritti come mi sono venuti in mente...

Un altro importante motivo è quello di non far percepire la Chiesa come appiattita al basso, vogliosa solo di materiale di bassa lega, alla portata esecutiva di chiunque, incapace di comunicare un bello frutto d'impegno e arte. Gli "artisti" -è inutile negarlo- rimangono spesso sconcertati di fronte non tanto alla sciatteria ma alla mancanza d'ammissione di colpa di chi di dovere. E in una Chiesa aperta a tutti è preciso dovere morale stare a sentire tutti, altrimenti quel "aperta a tutti" è una presa per il culo bella e buona. Certo è che gli "artisti" non possono fare come vogliono, in barba alle leggi della stessa Chiesa (spesso la loro ignoranza è agghiacciante). L'unica soluzione è andare di pari passo: la Chiesa deve guidare gli artisti ma anche fidarsi e affidarsi a loro, altrimenti risulterà ridicola e boriosa. Insomma, ci vuole la sana via cattolica, quella dell'et-et.

In quest'ottica qui, l'alternatim ha ancora molto da dire, sia se si riprendono in mano brani di repertorio sia se se ne scrivono di nuovi. Anzi, è proprio qui, in questa seconda opportunità, che si potrebbe tentare di coniugare persino la via dell'alternatim a voce con quello a organo, magari (siamo nel campo delle ipotesi musicali, non liturgiche) indulgendo di più nell'uso dello strumento a solo, facendo sì che la polifonia possa risultare una specie di duetto brevissimo fra coro polifonico e organo. Ma visto che i rischi di questa operazione sono molti e tutti si possono riassumere nell'espressione "farsi prendere la mano", converrà che una cosa simile sia oggetto di indagine e attuazione di limitate realtà ecclesiali. Per noi comuni mortali basta il resto.


sabato 23 agosto 2014

Una lezione col M° De Marzi

Carissimi,
voglio condividere con tutti questo filmato trovato su YouTube in cui il noto M° De Marzi parla dei salmi tradotti da padre Turoldo e musicati da lui stesso assieme a Passoni.
Non condivido tutto quel dice, specie di liturgia, ma ci sono buone idee e una visione chiara che -seppur io rifiuti qualche aspetto- non può che attirare l'attenzione e far meditare.
Buona visione e buon ascolto.

Link al video

martedì 15 ottobre 2013

Senti, senti la perpetua...

Un caro saluto a tutti i lettori. 
Torno a scrivere dopo un periodo caratterizzato da una deduzione allo studio non musicale quasi...da carcerato; torno, però, lieto. Ecco il perché.
Pochi giorni fa mi sono recato in una chiesa della mia zona, quasi per caso. Volevo studiare all'organo della mia parrocchia ma, giunto al luogo, trovo che si celebrava un funerale. Dispiaciuto per la sorte del defunto ma al contempo scocciato perché il suo funerale costituiva un contrattempo per quel che mi riguardava (sono di carne pure io, abbiate pietà), torno in macchina e decido di fare una giratina. Dopo un po' mi viene in mente che potrei andare a provare l'organo di una chiesa che conosco (organo che avevo sentito suonare in maniera pessima) e che mi era descritta "inaccessibile". Per farla breve, vado lì e nel giro di qualche minuto sono alla consolle, col permesso del parroco.
Pochi minuti dopo mi vedo spuntare da dietro la donnina cui avevo chiesto dove fosse il parroco ché avrei voluto chiedergli di poter suonare all'organo; la signora, a dire il vero, non troppo anziana, prima se ne sta un po' in silenzio e poi comincia a dirmi quello che sembrava uno sfogo da tempo covato. 
Si scagliava contro quelli che lì suonavano con le chitarre elettriche, i bonghi e altri perché "fanno chiasso, urlano e strepitano, tanto che gli [a loro] ho chiesto se ci posso pure portare la mi' gatta quando urla a squarciagola", soprattutto perché "suonano quello che garba a loro, ma in chiesa si deve suonare per elevare le anime e non per far baccano". 
Beh, anzitutto mi fa piacere che la critica sia motivata. Spesso, infatti, chi ha ragione purtroppo passa dalla parte del torto quando o non argomenta o fornisce argomenti che sono forti solo da un punto di vista soggettivo. 
In secondo luogo sono rimasto piacevolmente colpito dal nocciolo duro della critica della signora: "fanno musica che piace a loro". A conferma di questo punto mi diceva che molti, specie fra gli anziani, se sentivano completamente fuori luogo rispetto a quel contesto liturgico. Visto che il dialogo è vero e ciò che ne è sorto è frutto della spontaneità e non dell'artificiosità (nessuno si è messo d'accordo con nessuno su cosa dire e come farlo), visto il contesto di assoluta franchezza (spesso manca la sana parrhesia evangelica nelle nostre parrocchie), queste parole hanno confermato quanto detto da me più volte: non ha senso dividere l'assemblea a seguito dei desideri di una categoria sociale, anzi è dannoso. Non so quanto i parroci sappiano ciò e vogliano saperlo (meglio un vecchio brontolone o un giovane scontento? nell'indecisione si sceglie di sacrificare i pochi anni rimanenti del primo per scommettere tutto sul secondo), tuttavia ciò dimostra il fallimento di certa pastorale, quella sì che è una vecchia da abbandonare in un cantuccio del focolare alle nostalgie dei suo anni verdi.
In buona sostanza, quelle parole di una normale signore di una normale parrocchia a me sono sembrate le più profetiche che possano esserci. La signora, infatti, mi ha anche detto che la "loro musica" riusciva ai più estranea perché...estranea a tutti gli effetti. E come darle torto? L'andazzo musicale delle liturgie più giovanilistiche cambia sempre con le mode, tanto che una generazione non si riconosce più in un'altra: e così i canti degli anni '70 e '80 sono bollati già come "vecchi", quelli degli anni '90 invece sono "sempre i soliti"...ovviamente poi ogni generazione si barrica nell'insicurezza del luogo comune ("quando io ero ragazzino, tutti cantavano e la musica era bella, mica questo troiaio). Non sto facendo riferimento a uno scontro generazionale fra sessantenni e ventenni, ma a un'effettiva inconciliabile visione che abbraccia ogni generazione, a partire dal "basso" sino agli attuali quarantenni. E non parlo nemmeno per sentito dire, ma perché più volte mi sono trovato inserito in queste discussioni.
E, infine, bisogna aggiungere il caso dei giovani-vecchi: giovani che si avviano all'età adulta che pretendono di dire quali siano i gusti della gioventù, quando non si rendono conto che la gioventù non sono più loro e questa è sempre più lontana dalla capacità media di comprensione (le nuove generazioni sono -volente o nolente- qualcosa di ignoto, completamente sconosciuto all'esperienza che tutti noi abbiamo avuto, soprattutto a casa dell'impatto delle nuove tecnologie su di esse fin dalla nascita). 
In conclusione, l'episodio della "perpetua" mia ha spinto ad approfondire la ricerca di un autentico canto popolare che possa inserirsi nella liturgia: già da tempo sto indagando su questo settore e, quando potrò, fornirò un'attenta disamina della situazione. Tutto questo perché? Perché, Signori, volente o nolente, c'è stata una riforma liturgica e, se non siamo noi organisti/maestri di cappella e altri (tutti amanti della vera tradizione, sia quella liturgica sia quella culturale) a proporre un modello positivo, sarà qualcun altro (di solito a noi ostile) a svolgere questo compito e a questo punto lamentarsi non servirà a nulla. Ritirarsi sull'Aventino è sciocco perché è inutile.

Un saluto e a presto!

venerdì 10 maggio 2013

Un canto doppiamente utile

Cari amici, 
stasera voglio condividere con voi un bel brano di musica sacra: The Lord bless you and keep you, del britannico J. Rutter. Proprio qui sotto vi offro la possibilità di ascoltare il brano eseguito da quei cori di tradizione anglicana -così adamantini e puliti- per cui è stato pensato:






Non mi interessa spendere molte parole su Rutter: alcuni detrattori lo accusano di esser commerciale, ma le persone con un minimo di sale in zucca dicono un bel "chissenefrega" e guardano al resto. Per quel che conosco, la sua produzione sacra -del resto qui non curiamocene- riesce sì a muoversi su più trame (andando dallo schema della tipica musica sacra corale a quello più pop dei gruppi vocalici), tuttavia l'amalgama è sempre dignitoso e perennemente contrassegnato da un'atmosfera di sacralità che si porta volutamente dietro. E ci credo: lo stesso compositore ha detto che quando compone pensa sempre al gregoriano, perché modello della musica sacra (cfr. intervista). 
La bellezza del brano, però, è legata all'inglese, che non è la nostra lingua nazionale. Ebbene, qualche santa persona ci ha fatto l'enorme regalo di tradurre a modo (cioè rispettando l'andamento degli accenti del testo originale e la traduzione del testo biblico); il regalo è veramente doppio quando, poi, si ha a disposizione una registrazione così ben riuscita (tanti complimenti alla Scuola Corale della cattedrale di Lugano):






Dove sarebbe la doppia utilità del canto? beh, alla fine del brano viene intonato un amen veramente potente, che pare abbia le ali e stia per volare al cielo. La mia proposta è quello di riutilizzare questa sezione per la dossologia (ossia l'amen dopo il "per Cristo, con Cristo e in Cristo..."), un momento veramente solenne della liturgia che -quando si può- conviene sottolineare per porre non solo la differenza fra quell'amen e gli altri che lo hanno preceduto ma anche per chiudere degnamente la prece eucaristica (quel semplice amen è una vera e propria professione di fede!). Alla fine dell'esecuzione il clima spirituale sarà realmente volato in alto!


Sperando di esservi stato utile, vi saluto e vi auguro di poter eseguire questo pezzo il prima possibile!



L'Organista Liturgico


P.S. Esistono due versioni, quella a 4 voci (SATB) e quella a 2 voci (SA). quest'ultima -in fa- si sposa benissimo con la parte della dossologia propria del sacerdote, poiché anch'essa è solitamente in fa.



domenica 28 aprile 2013

For my foreign followers

Dear readers,
after writing a post, I usually see the statistics (how many visitors in a day, where they come from, which browser they use etc.) of my blog. So, I'm always pleasantly surprised to see many followers of my blog are in USA. I'm so happy that this little, very little thing that is my blog can fly over the seas and the mountains, so far away from me. I think these persons are all italian, because I write of the liturgical music service in the italian parishes. So, if this argument is just about the Italian peninsula, it may not interest to readers from USA unless they are Italians who are abroad, I think.
Then, why I'm writing in english if I see that my post -all in italian- are read? Because I belive these can be a sign of closeness, of friendship.
So, all readers from USA, thank you so much for your "fidelity" to my blog.

See you soon,

by L'Organista Liturgico

P.S. Sorry for my english: it's very scholastic. I hope to emprove!

mercoledì 24 aprile 2013

Con Pietro e non con Giuda: lascio per rimanere (e varie riflessioni in merito)



Cari lettori,vi saluto con affetto nell'occasione di tornare a scrivere su questo mio blog. Questo post nasce dall'intervento  di un lettore del blog (che si firma AY) all'ultimo post da me pubblicato, quello che vi rendeva noto della mia rinuncia a organista della mia parrocchia. Ebbene, AY è intervenuto con un commenti in cui ritrovo molto di me, per cui ho ritenuto giusto "appropriarmene". Per facilitare la lettura al testo pubblicherò l'intervento in corsivo, così da distinguerlo al meglio dal mio commento. Buona lettura!

Ciao, mi dispiace molto che tu sia stato portato a questa decisione. Non credo che sia però un limite delle parrocchie, quanto in generale un impoverimento della sensibilità della gente, che si abitua ad ascoltare musica commerciale e fa sempre più fatica a discernere sfumature più delicate. 


Sì, hai pienamente ragione per due motivi:
1) Il problema della musica sacra è anzitutto un problema d'ordine culturale, non solo a livello di cultura musicale tout-court, ma anche proprio per quel che riguarda il livello medio di cultura. Il nostro sistema educativo non riesce a diffondere semi di Bello, non riesce a dare gli strumenti per potersi orientare in maniera seria, riesce solo a dare nozioni. Ovviamente, se ci fermiamo al livello nozionistico, senza far ragionare sul perché (anzi sul Perché), la cultura sarà solo una dispensa composta da quello che più piace a prima vista, un luogo isolato, privato, intimo e fondato sul "mi piace perché mi piace", un luogo di estrema superficialità. Perché? perché mancando -scusate il bisticcio- il "Perché" la cultura perde la ragion d'essere, la ricerca, per cui diventa nozionismo. Una sorta di Ipod umano. E tutti sappiamo che non esiste playlist di Ipod che sia oggettivamente bella e perfetta in sé ma dipende solo dalle scelte di ciascuno.
2) Non tutte le parrocchie sono uguali. Infatti si va da estremo ad estremo, da "gregorianisti" puri ai peggiori rockettari...C'è anche chi fa per bene, ma spesso dipende dal buon gusto di chi si occupa della parte musicale, tuttavia tutto gli sforzi fatti nel tempo rischiano di vanificarsi alla prima occasione poiché -se manca il messaggio che ogni scelta è ponderata e fatta in base a precisi criteri liturgico-pastorali (altrimenti detto: se manca una chiara visione catechetica) ma è condotta dal gusto di chi dirige- passa il messaggio che "è questione di gusti" anche la musica sacra. Ma non in senso alto (scegliamo Palestrina o Lauridsen per la Messa di Natale?), in senso terra-terra (facciamo il canto ritmato che mi piace tanto oppure quello che sanno i vecchi?).


Premetto che non sono in Italia ma in in paese nord-europeo. Ho preso parte ad alcune celebrazioni della S. Messa che assomigliavano terribilmente ad un karaoke. Era difficilissimo concentrarsi sulla sacralità dell'evento. Però devo dire che ho notato un clima molto distratto anche in molte altre persone e che quindi non a caso certi tipi di musica vengono dichiarati "inadatti" alla liturgia (ovvero non si tratta di isolare ed eliminare al più presto i pochi "conservatori" che preferiscono certi generi nella liturgia, bensì di capire l'effetto naturale che la musica ha sulla psiche umana - effetto di aiuto o di ostacolo alla contemplazione). C'era un'aria da rinfresco di matrimonio, con gente che accennava a balletti, altri che guardavano il proprio smartphone. Dal punto di vista numerico era un successo. Età media 26 anni, forse. Ma cosa resta dentro il cuore


Io non ci sono dentro i cuori e nemmeno voglio starci. Provo, però, a fare un discorso che non guardi alla fede altrui, ma alla persona, alla sua dignità di cristiano. Constato che c'è un perché alle parole vergate nei documenti di Magistero, sarà da cristiani adulti riflettere su questi o fare discorsi di blando estetismo? Il difetto di chi riesce a scorgere la strada giusta è quella di imporre la verità a costo della Verità: per evitare un abuso si rischia di mandare a quel paese diversa gente, facendo sì che non solo non mettiamo in pratica il Vangelo ma facciamo apparire odioso quanto diciamo (proprietà transitiva: l'odio che attiriamo su di noi passa alle cose che facciamo e in cui crediamo; bisognerebbe riflettere di più su questa legge matematica e psicologica per tracciare meglio la strada e puntare tutto sull'amore!). Non possiamo sapere che cosa sia la fede altrui (certo, dalle messe concerto -di qualsiasi genere musicale sia il concerto- non mi aspetto di vedere nutrita a piene mani la fede...), si tratta di impegnarsi costantemente in una massima: "Ama il fratello ma non abbandonare la Verità". Bisogna far capire, parlare, dialogare, catechizzare e mettere da parte qualsiasi atteggiamento di superiorità. Bisogna saper venire incontro alle persone, non alle idee, perché  se le idee possono esser sbagliate e destinate a rimanere tali, le persone non sono mai "sbagliate" e immuni dal cambiamento. Bisogna far aprire gli occhi.

Occorre riportare l'attenzione sul senso della musica in una celebrazione liturgica. Attualmente la musica nella quotidianità serve da sottofondo e intrattenimento. Non viene neppure "ascoltata". E' un riempitivo passeggero che genera qualche emozione. Diverso è il senso della musica in generale e della musica sacra in particolare. Dovremmo prima di tutto riappropriarci del valore dell'ascolto e del silenzio. La musica che aiuta un clima di pace e contemplazione è la più adatta a portarci a questo "silenzio". La S.Messa non è una "festa" ma un sacramento che richiede un atteggiamento contemplativo. Si fa molta confusione su questo perché è stato posto molto accento sulla necessità di essere gioiosi e quindi si ritiene che la S. Messa debba essere una specie di festicciola tra amici. Ma se crediamo veramente sappiamo che nella Messa riviviamo la passione di Gesù e la sua resurrezione, insieme alla nostra passione e resurrezione. Saremo in grado di prendere "sul serio" questo? Le scelte musicali spesso riflettono il grado di "serietà" con cui Cristo è considerato dai suoi fedeli. 



Per quanto spesso i miei interventi possano sembrare quelli d'un 
laudator temporis acti, stavolta sarò proprio chiaro: la musica ha sempre avuto la funzione "da sottofondo e intrattenimento". Da musicista ti dico che gran parte di quello che studiamo è, appunto, in questa categoria. E' solo col '900 che nasce "l'idea" e la musica diventa fine a sé stessa. Comunque sia, andando fuori tema, vediamo sì che la funzione ludica ha sempre avuto due livelli, uno alto -che veicolava gli ideali più nobili e di crescita: la patina ludica serviva a veicolare l'ottica del compositore- e uno basso -a uso e consumo del popolo, fatta per "fare ambiente". Ai giorni nostri la seconda categoria è ben presente, ma la prima? Francamente non so ancora rispondere. 
Invece, per il resto sono d'accordo con te e rimando a quanto detto da me sopra. Attenzione, però, a non fraintendere certe scelte, poiché spesso la scelta dei canti è affidata all'improvvisazione, senza troppa colpa di chi sceglie. Tutto questo perché la musica sacra non è più sentita sacra, ma musica e basta. E alla fine, gira e rigira, si torna allo stesso punto: se si parla di musica tout court, tutti i problemi si riducono a questioni di gusto. 
I veri colpevoli della vicenda sono quanti non sentono la necessità di elevare il popolo, ma di abbassare tutto al livello dei popolani più popolani. Ovviamente i più semplici non faranno fatica a muoversi in un "mondo" creato a uso e consumo loro, gli altri -quelli più educati- invece potranno provare disagio in questa condotta pastorale, quella del livellamento al ribasso. La Chiesa di Cristo è per tutti, ignoranti e intelligenti. Purtroppo, spesso vediamo messo in pratica la "caccia ai neuroni" e l'intelligenza viene trattata come superbia. Ovviamente fa più comodo avere dei pecoroni fra le mani...ma questi son altri discorsi.La frattura fra Chiesa e artisti è avvenuta quando si è chiesto a questi di abbassarsi a livelli infimi, a dispetto di tutta la storia dell'arte sacra. L'arte è entrata nelle chiese per spiegare e far elevare spiegando. Quando le si chiede di non edificare più, allora, le si chiede di suicidarsi. Non c'è più arte sacra, ma qualcosa di informe, generalmente partorito da artistucoli che mangiano vivendo attaccati alle sottane di qualche chierico che ne ha pietà.


Spero - e prego - che tu torni in contatto con la parrocchia, che altrimenti perde un'occasione preziosa di riflettere sul senso e la profondità della propria fede.


Non credo, francamente, di poter tornare sui miei passi (e qui entriamo nella parte personale del post). I motivi sono molti, ma posso riassumere tutto in poche parole: l'esperienza che ho tratto e che ho cercato di esporre in queste pagine virtuali è stata ottenuta al prezzo di numerosi sbagli e oramai la situazione è compromessa. Ci vorrebbe uno scossone, ma questo non è in mio potere. Ora come ora -visto che il mio studio è molto intenso- la situazione mi torna persino utile, tuttavia lo sconforto c'è. Ho notato, poi, d'avere gran bisogno di libertà per svolgere al meglio il mio libero servizio. In una situazione di contratto di lavoro, uno può pure turarsi il naso e fare ciò che gli puzza (ma questo solo se la pancia rumoreggia per la fame); in altri contesti, almeno per me, è necessaria la piena libertà (non intendo l'anarchia), e questa è data da più fattori. Purtroppo, quasi tutti questi fattori mancano nella mia parrocchia. Per ora sto studiando per conto mio, sperando di poter metterlo in pratica entro un tempo ragionevole. Dove? dove soffia lo Spirito!


Un saluto a tutti,

L'organista liturgico

sabato 30 marzo 2013

Un arrivederci che non è un addio

Sicuramente molti dei "miei" lettori si saranno chiesti perché non sia intervenuto mai per parlare di questo periodo importantissimo: la Settimana Santa e  l'inizio del Tempo di Pasqua. Ebbene, vari eventi si sono succeduti -sia chiaro che non sono cose gravi- ma tali da farmi aprire gli occhi sulla situazione che mi circondava. Tutto questo mi ha portato a presentare le mie dimissioni da organista (che poi "organista" è riduttivo) della mia parrocchia. Peccato.
Prima di cominciare con le geremiadi, voglio solo dire che questo arrivederci non è un addio: non ho intenzione di chiudere con l'organo, la musica sacra, la partecipazione a un servizio etc. Tuttavia mi son reso conto che non aver creato un clima umano, cioè di vere e sincere relazioni umane, ha portato a percepire tutto il lavoro fatto come una sorta di insieme di decreti di un podestà imposto, norme che vengono puntualmente meno quando manca il suddetto podestà. Allora ho fatto come il Papa: conscio che ognuno fa come vuole, ho preso e -dopo attenta riflessione- ho rinunciato al mio ministero. Perché? perché vuol dire che non ho seminato bene nel cuore di chi mi circondava. E di questo il primo colpevole è il sottoscritto: sono stato troppo aspro nel porre avanti la complessa macchina di restaurazione liturgico-musicale, sono sembrato una sorta di principe della Chiesa sceso a corregger con la spada gli errori altrui.
Ciononostante, porto a casa come risultato importante quello di aver abituato l'assemblea alla presenza dell'organo, alla considerazione di questo come strumento atto ad accompagnare  i fedeli e alla pratica di cantare salmo responsoriale e antifona (questa sconosciuta!), o di ingresso o di comunione. Beh, non è poco; se qualcuno verrà dopo di me non troverà facce ostili fra i parrocchiani e questo è già un notevole punto di partenza.
E del blog che ne sarà? ovviamente continuerò! Un re non è da meno senza la corona e un pittore senza pennelli e tele rimane sempre lo stesso! Non crediate che me ne starò in panciolle: finora mi è toccato operare senza un coro e tutto quello che facevo era pensato perché fossi in grado di eseguirlo io stesso mentre suonavo, ora -invece- ho l'opportunità di concentrarmi sul repertorio corale e studiarlo bene e a fondo (per non parlare del repertorio fondamentale: pure quello manca e sarà oggetto di studio).
In attesa di una nuova chiamata, proseguo la mia opera, orbo ma non cieco!
Vi saluto e vi auguro una pasqua di pace e serenità.

mercoledì 27 febbraio 2013

Una doverosa puntualizzazione


In riferimento all'ultimo post, catechesi musicale (II), ho da riportare una doverosa puntualizzazione a cura di un "amico telematico" che ha avuto modo di leggere l'intervento.
Gustate la semplicità e la lucidità d'esposizione.

Bravo, però…



I documenti della Chiesa non parlano mai di “polifonia romana” ma di “polifonia” più in generale oppure – con maggior precisione - di “polifonia classica”, ovvero musica polifonica delle varie scuole (romana, fiamminga, anglosassone…) dell’epoca rinascimentale, come chiarito dalla “Musicae sacrae disciplina” di Pio XII. E non potrebbe altrimenti: perché Palestrina, Festa, Pitoni, Anerio e Giovannelli dovrebbero avere più diritto di cittadinanza nelle nostre chiese che non Victoria, Lasso, Gabrieli o Viadana?

Va aggiunto poi che la polifonia classica non si caratterizza per l’“alta costruzione armonica” (il concetto stesso di “armonia” è posteriore), ma semmai per la perfezione contrappuntistica e il senso di equilibrio. È cioè un linguaggio in cui conta più il “come si dice” del “cosa si dice”.
Circa il gregoriano bisogerebbe chiarire una volta per tutte un nervo scoperto: perché è ritenuto il canto “proprio della chiesa romana” (SC 116)? I documenti– a parte l’enciclica di Pio XII al paragrafo III e il Motu proprio di Pio X ai paragrafi I e II – poco o nulla dicono in proposito. Certamente c’è il fattore tradizione, ma non basta. A mio parere le sue caratteristiche fondamentali sono due: la modalità e l’aderenza alle forme e ai testi della liturgia. Il canto gregoriano si sviluppa nel sistema modale, piuttosto lontano dal sistema tonale e da tutti i suoi cliché, cui siamo tanto abituati. Per cui si potrebbe dire che il gregoriano ha un potere altamente “evocativo”: il solo ascolto di una frase promana un’atmosfera altamente spirituale, eco di quel “canto nuovo” di cui parla il Salmo 46. “Nuovo” proprio perché nulla riprende dei linguaggi musicali correnti.
Ma nemmeno questo basta: del resto è una considerazione più estetica che sostanziale. 
È invece basilare il fatto che il gregoriano sia connesso con il rito in maniera incredibilmente stretta (SC 112): l’ampiezza dell’epoca di composizione del repertorio gregoriano fa sì che per ogni testo liturgico da cantare, esista la corrispondente (o più di una) melodia gregoriana che interpreta - più evocandolo che descrivendolo - il significato del testo stesso. Altrettanto importante è il preciso inquadramento formale di ogni singolo pezzo (antifona, responsorio, graduale…) che risponde pienamente alla necessità liturgica del momento e contempla l’esecuzione da parte di ben precisi “attori musicali” (celebrante, solo, coro, popolo).

Ma da qui a dire che il gregoriano abbia “tutte le carte in regola per essere il vero canto dell'assemblea” ce ne passa… O meglio: può anche essere vero, ma bisogna precisare qualche cosa.
Tacendo del mai chiarito “ceteris paribus” (MS 50), che comunque si applica solo “nelle azioni liturgiche in canto celebrate in lingua latina” (ibidem), va evidenziato che il repertorio gregoriano è molto eterogeneo anche dal punto di vista della difficoltà esecutiva. Non tutti i brani hanno “movimenti piuttosto semplici, intervalli non esagerati fra tono e tono (nota e nota) e un'estensione non troppo estesa” (cito dal tuo post), così da essere adatti ad una qualunque assemblea: basterebbe sfogliare i graduali e i tratti, brani solistici per eccellenza con i loro ampi melismi (esemplari i tratti del venerdì santo), del “Graduale romanum” per rendersene conto. Ma anche i brani “corali” come antifone e responsori (ma spesso anche l’Ordinarium) non erano affatto popolari perché eseguite esclusivamente dai monaci, e quindi da cantori comunque specializzati e non da un coro di popolo. 
Altra cosa è il gregoriano “popolare” perché tardo – ci sono addirittura pezzi sei-settecenteschi come l’arcinota “Salve Regina” di V modo – alcune messe del Kyriale e il vasto repertorio del “Graduale simplex”, che invece possono essere felicemente eseguiti anche da assemblee modeste.
Il resto del repertorio “dovrà dunque restituirsi largamente nelle funzioni del culto” (Inter sollicitudines II, 3), ma a patto che lo faccia un coro ben preparato, cosa che è richiesta dal repertorio stesso. Il gregoriano non è più facile della polifonia solo perché monodico, anzi…
Gregoriano e/o polifonia… va bene, ma sono generi primariamente corali. E il canto sacro popolare (MS 4b, SC 118)?
Del resto, guardiamoci in faccia: quando mai un coro polifonico o monodico - posto che esista in ogni chiesa - può essere presente a tutte le messe festive e feriali? E quando anche sia presente, l'assemblea ha il diritto-dovere di intonare i canti che le spettano su musiche che siano davvero degne di una chiesa. E chi frequenta le messe feriali, le tante e simpatiche "vecchiette" che popolano le nostre chiese, non hanno il diritto di cantare un repertorio semplice e accessibile, ma che sia vera musica?
È quindi necessario che quei compositori contemporanei di cui parli ci diano anzitutto canti per il popolo (i cori hanno già moltissimo) che siano un prodotto davvero degno dell’arte (SC 121), che tengano in considerazione limitazioni e necessità di un’assemblea media e che non si riducano ad essere dei tristi “passepartout” (caratteristica di gran parte del repertorio popolare nuovo) ma penetrino in profondità ogni testo e tempo liturgico. 
Che poi è proprio quello che ci insegna il gregoriano.


Faccio seguire un mio appunto: come detto sopra, non ho voluto condurre un'argomentazione basata su un qualsiasi documento, per cui -nel mare magnum delle norme- m'è sfuggito qualcosa e qualcosa è stata detta male. L'intento è quello di stabilire una approccio catechetico con chi parla di musica sacra ma presenta almeno una di queste caratteristiche:
-non sa suonare nemmeno uno strumento;
-non ha una cultura musicale decente (Gigi d'Alessio o i GEN non sono cultura musicale);
-non conosce le norme;
-non ha interesse a conoscere le norme;
-non ha interesse a far qualcosa di utile e catechetico ma si basa sul proprio gusto personale;
-non conosce la liturgia;
-non ha intenzione di conoscere la liturgia.

A una persona che presenta magari anche solo 3 di queste caratteristiche si parla con il codice delle norme alla mano oppure si parla con l'intento di far capire perché esistano le norme, cosa dicano e perché siano buone norme?

 Ringrazio ancora l'amico telematico Davide.

Catechesi musicale (II)

Premetto che, come in tutti i post intitolati "catechesi musicale", manterrò un linguaggio colloquiale, il più possibile lontano da citazioni puntuali.
Ebbene, dopo la necessaria premesse, è arrivato il tempo di confrontarsi con l'annoso problema: canti vecchi o canti nuovi?
Anzitutto bisogna chiedersi qual è l'idea di canto che la Chiesa ha "in testa": dai documenti conciliari e dal Magistero dei papi, si ricava che il primo posto è riservato al canto gregoriano e alla polifonia romana. Questo non vuol dire che bisogna fare solo il gregoriano e Palestrina, per intenderci. No, non è così. Purtroppo, invece, notiamo come due categorie distinte diano la stessa lettura delle medesime disposizioni: i conservatori estremisti (che si chiudono in un repertorio fisso basato su 2/3 autori morti da secoli) e i progressisti (che, sostenendo l'impossibilità -per le parrocchie- di dar seguito alle direttive ufficiali, in nome delle ragioni pastorali evitano direttamente il gregoriano e la polifonia romana). 
Cosa dobbiamo intendere, allora? Anzitutto, il primato conferito ai due generi è un primato d'onore e non strettamente vincolate. In secondo luogo, il primato è dato per ben precise ragioni e tanto più un qualsiasi canto si avvicinerà a queste, tanto più sarà vicino al gregoriano e alla polifonia romana e, necessariamente, alla musica sacra. In buona sostanza, come accennato precedentemente, se comprendiamo il vero spirito liturgico comprendiamo veramente la norma e non sembrerà che queste norme costituiscano una riduzione di libertà. 

  1. Perché il canto gregoriano? Perché ha movimenti piuttosto semplici, intervalli non esagerati fra tono e tono (nota e nota) e un'estensione non troppo estesa, ma nemmeno limitata in maniera banale. In teoria, quindi, il gregoriano ha tutte le carte in regola per essere il vero canto dell'assemblea, almeno se guardiamo solo all'armonia musicale. Il discorso cambia per quel che riguarda la tecnica d'esecuzione. A questo punto però bisogna fare una precisazione: non possiamo pretendere che un organista di chiesa sia un concertista e quindi non possiamo pretendere che il gregoriano dell'assemblea sia quello più filologicamente corretto (per cantarlo così ci vogliono anni di buono studio!). Un gregoriano discreto sarà comunque in grado di fare in modo ottimo il suo lavoro: elevare gli spiriti dei fedeli in maniera sacrale. Infine bisogna ricordare che la Chiesa promuove il gregoriano in quanto canto proprio e primo della liturgia cattolica di rito latino (romano; per l'ambrosiano, il mozarabico etc abbiamo altre antiche e nobilissime tradizioni musicali, affini -comunque- alla gregoriana); sarebbe impensabile che il canto proprio della liturgia non venisse ricordato come modello del canto delle nostre liturgie e come prima alternativa da considerare
  2. Perché la polifonia romana? Perché è la forma polifonica che meglio unisce alta costruzione armonica a chiara comprensione del testo. Altre polifonie son permesse? beh, certo. Ma quando il testo diventa incomprensibile o ineseguibile per la difficoltà del canto, siamo sicuri di voler fare lo stesso quel pezzo? quanto ha di egoistico la cosa? e quanto di educativo e formativo per l'assemblea? Inoltre, leggendo qua e là, ho trovato scritto (prometto di approfondire l'argomento) che pure il gregoriano era polifonico. Quindi la Chiesa si è sempre avvalsa dell'uso dia della monodia sia della polifonia, fin dai primi secoli e sostenere che la polifonia è una forma deviata del canto liturgico (come qualcuno si ostina a ripetere per addurre una presunta ragione "ragionevole" al divieto soggettivo e opinabile di intonarla in chiesa) è sostenere una falsità. La polifonia ha un suo perché: la ricchezza armonica del canto vuol essere sia un omaggio a Dio sia un simbolo della musica celestiale, poiché essa sarebbe intonata in armonia dai cori angelici (notare l'uso non casuale dei termini). Vale lo stesso discorso di sopra: non si richiede alla corale parrocchiale un esecuzione concertistica. Tuttavia è necessaria una precisazione: rispetto al gregoriano, la polifonia romana non è semplice, anzi. Solo una corale ben rodata e formata può intraprendere lo studio e l'esecuzione di brani non troppo difficili.
A questo punto bisogna fare una precisazione. La polifonia romana era scritta per cori di professionisti, il gregoriano no, era il canto di ogni monaco. Ovviamente, quindi, la prima è oggettivamente di più difficile esecuzione del secondo. Visto che, come sempre detto, le cose -in liturgia- o si fanno bene o non si fanno affatto (sant'Agostino invitava al silenzio chi non sapeva cantare!), è meglio non intraprendere la via della polifonia romana se non si ha una corale ben formata e conviene concentrarsi sullo studio del gregoriano, che -se fatto ottimamente- dà soddisfazione infinita a chi lo canta e innalza vertiginosamente il clima di sacralità della liturgia celebrata; d'altronde, per quanto possa apparire semplice, il bel canto (gregoriano) richiede sempre studio e dedizione. 

Dunque, fatto il punto della situazione, non ci resta che rispondere al primo quesito: canti vecchi o canti nuovi?

Alla luce di quanto detto detto, non esistono canti vecchi e canti nuovi, ma canti adatti e canti inadatti. Un melenso brano tardo ottocentesco dal testo poco comprensibile è da rifiutare così come un modernissimo e giovanilistico pezzo ritmato con un testo da deficienti (tipo quello che parla degli aeroplani). Il Regno dei Cieli, dice il Signore, è simile a un padrone di casa che estrae cose vecchie e cose nuove. Se, dunque, le nostre liturgie vogliono portare in Terra quell'atmosfera celestiale, ciò avviene anche attraverso il saggio impiego di cose vecchie e cose nuove, dove però entrambe le cose aderiscono pienamente allo spirito liturgico autentico. Una pletora di autori moderni e contemporanei ha scritto e scrive per noi, per offrirci le cose nuove. Basta saper scegliere. Altrettanto dicasi per quelli del passato. Sì, basta saper scegliere. 
Ma in base a cosa scegliamo? Anzitutto bisogna considerare le norme (o meglio: le ragioni alla base delle norme), in secondo luogo non possiamo non pensare alla Bellezza (quella con la maiuscola, quella che educa al Bello e porta al sacro), in terzo ma non ultimo luogo bisogna pensare all'effettiva eseguibilità del brano d parte o del coro o dell'assemblea.
Possiamo pure stilare una lista di criteri quando pensiamo a un'esecuzione per l'assemblea, per spostarci sul piano della pratica:

  • che il canto sia effettivamente sacro (o religioso, se proprio non si può fare diversamente);
  • che il canto e il testo siano belli, ossia dignitosi, misurati e lontani da qualsiasi eccesso (troppo difficile perché troppo concettuale, troppo banale perché troppo pop);
  • che il canto sia eseguibile dall'assemblea, ovviamente non in maniera ottimale sin da subito (ma che questo traguardo non risulti una meta nemmeno lontanamente irraggiungibile);
  • che il canto sia formativo e funzionale a quello che viene celebrato.
Concludendo, la frase "cantate a Dio un canto nuovo" non vuol dire buttare alle ortiche tutto ciò che di bello è stato prodotto. Lo stesso canto più e più volte fatto può risultare nuovo quando lo si valorizzi in ogni sua componente, ossia quando lo si esegua bene e nel giusto momento celebrativo. Non è tanto l'oggetto che deve esser nuovo, ma l'intento: a Dio si intona il canto nuovo perché la novità citata dal salmista rappresenta il meglio (qualcosa mai eseguito per nessun altro e pensato solo per Dio, qualcosa che rappresenta il massimo della perizia musicale in virtù della propria esperienza). Ergo, "cantate a Dio un canto nuovo" è da leggersi come "cantate a Dio con cuore rinnovato, come se ogni volta fosse la prima volta, ossia offrendo il meglio e dando il massimo". E' in quest'ottica che vediamo come il concetto di novità si ampii in maniera smisurata. D'improvviso vediamo come non sia la moda (la novità) che raggiunge il Bello, ma la voglia di mantenersi in eterna novità, in eterno primo incontro. E come ci comportiamo per un primo appuntamento, ossia curando tutto al meglio, così dobbiamo fare ogni volta. 
Ciò che è stato Bello sarà sempre Bello. E' per questo che l'autentica novità passa dalla conoscenza di quanto un tempo è stato novità (degna di attenzione), perché si riconosce che il Bello sempre c'è stato e ha preceduto la nostra misera opera. 
E dunque? in soldoni? In soldoni, vecchio e nuovo si incontrano nella misura in cui sono effettivamente pensati per il sacro. E quando entrambi raggiungono l'obbiettivo, non esiste più nuovo e vecchio, ma un unico insieme di Bello che si dipana nella storia. perciò non bisogna mai porre veti, ma sforzarsi di battere ogni strada per vedere se quella porta a Dio o no. Non bisogna chiudere la porta a prescindere (ah, dopo il Palestrina per me non esiste musica sacra, si può sentir dire), perché questo è un atteggiamento pauroso e timoroso, che rifiuta la novità, la stessa novità che il Signore mai ha condannato. E non bisogna aver paura a interrogarsi su quanto ci ha preceduto: sbarrare la strada al passato vuol dire non capire il presente e avere una versione distorta della realtà, una visione molto egocentrica (e vediamo così che chiudere le porte, in generale, è un atteggiamento pauroso).

lunedì 28 gennaio 2013

Le percussioni nella liturgia


E' lecito suonare i bonghi? Possiamo utilizzare i timpani? Le grancasse sono vietate? Queste sono alcune domande che abbiamo sentito o potremmo sentire. Possiamo subito abbozzare una risposta sommaria: in linea generale, non è possibile suonare le percussioni all'interno della liturgia. Il perché è rintracciabile su due piani: a livello normativo e a livello liturgico, dove -logicamente- il secondo determina e fonda il primo. Partiamo proprio dall'aspetto legale della faccenda. Torno a citare la "trinità": Sacrosanctum ConciliumMusicam sacram e Inter sollicitudines (citerò il Motu proprio di San Pio X solo da ultimo, infatti la legge successiva ha sì accolto le linee generali ma ha riveduto parzialmente alcune disposizione specifiche).

Sacrosanctum Concilium, §120:
Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l'organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti. Altri strumenti, poi, si possono ammettere nel culto divino, a giudizio e con il consenso della competente autorità ecclesiastica territoriale, a norma degli articoli 22-2, 37 e 40, purché siano adatti all'uso sacro o vi si possano adattare, convengano alla dignità del tempio e favoriscano veramente l'edificazione dei fedeli.

Musicam sacram, §63:
Nel permettere l’uso degli strumenti musicali e nella loro utilizzazione si deve tener conto dell’indole e delle tradizioni dei singoli popoli. Tuttavia gli strumenti che, secondo il giudizio e l’uso comune, sono propri della musica profana, siano tenuti completamente al di fuori di ogni azione liturgica e dai pii e sacri esercizi. Tutti gli strumenti musicali, ammessi al culto divino, si usino in modo da rispondere alle esigenze dell’azione sacra e servire al decoro del culto divino e alla edificazione dei fedeli.


Analizzando i documenti in vista della pubblicazione di quest'articolo, mi sono imbattuto in questo apparente impasse, ossia la contraddizione fra i documenti citati nei punti da me sottolineati. Ebbene, visto che il primo documento -per quanto autorevole- è del '62 e traccia a grandi linee cosa rimarrà e cosa andrà riformato, mentre il secondo è del '67 e parla in modo specifico della musica sacra (ossia di quello che ci interessa), possiamo dire con sicurezza che, stante l'autorevole indicazione della Congregazione dei Riti (Musicam sacram), è fatto divieto assoluto usare strumenti propri della musica profana all'interno di ogni azione liturgica e dei pii esercizi.
Beh, potevamo notare che questa direzione era chiara pure alla mente di San Pio X, quando -all'interno del suo motu proprio- si esprime così:

5. La Chiesa ha sempre riconosciuto e favorito il progresso delle arti, ammettendo a servizio del culto tutto ciò che il genio ha saputo trovare di buono e di bello nel corso dei secoli, salve però sempre le leggi liturgiche. Per conseguenza la musica più moderna è pure ammessa in chiesa, offrendo anch’essa composizioni di tale bontà, serietà e gravità, che non sono per nulla indegne delle funzioni liturgiche.

Nondimeno, siccome la musica moderna è sorta precipuamente a servigio profano, si dovrà attendere con maggior cura, perché le composizioni musicali di stile moderno, che si ammettono in chiesa, nulla contengano di profano, non abbiano reminiscenze di motivi adoperati in teatro, e non siano foggiate neppure nelle loro forme esterne sull’andamento dei pezzi profani.

Ed è proprio per questo che papa Sarto, più oltre, fornirà una norma categorica:

19. È proibito in chiesa l’uso del pianoforte, come pure quello degli strumenti fragorosi o leggeri, quali sono il tamburo, la grancassa, i piatti, i campanelli e simili.

20. È rigorosamente proibito alle cosiddette bande musicali di suonare in chiesa; e solo in qualche caso speciale, posto il consenso dell’Ordinario, sarà permesso di ammettere una scelta limitata, giudiziosa e proporzionata all’ambiente, di strumenti a fiato, purché la composizione e l’accompagnamento da eseguirsi sia scritto in stile grave, conveniente e simile in tutto a quello proprio dell’organo.


Anche se l'ho già scritto, conviene che mi ripeta. L'unico strumento riconosciuto come liturgico in senso stretto è l'organo (e questo ce lo dice pure la laicissima storia della musica). Pio X, pertanto, volendo ritornare a mettere al centro della musica suonata in chiesa la liturgia, sfronda la musica allora "sacra" di tutto ciò che non fosse liturgico e sacro. In quest'ottica, è permesso tutto ciò che maggiormente aderisce all'organo. Ecco perché vengono banditi strumenti come il pianoforte e tamburo e grancassa, perché non sono strumenti nati per la liturgia.
Come scritto all'inizio, c'è però da considerare se la legge particolare emanata da Pio X sia abolita o meno. In linea generale, tutti i pontefici successivi non hanno lasciato traccia, nel loro Magistero, di una conferma esplicita dei singoli divieti. Nel merito sono intervenuti Pio XII, Paolo VI, Giovanni Paolo II (cito soltanto quelli che hanno lasciato documenti celebri per la normazione della musica sacra), eppure nessuno, nel citare papa Sarto, ha detto esplicitamente di riconfermarne i divieti, tutti si sono limitati a riconfermarne -invece- l'analisi. Quindi, qualche divieto è considerato decaduto. Faccio un esempio chiaro: il pianoforte è oramai permesso. Nella percezione attuale,  questo strumento non è più associato all'immagine di donnine svestite che cantano alla rivista, ma ha assunto un ruolo nobile nell'immaginario comune, è considerato anzitutto come strumento serio. Ergo, per quanto sia "profano" non lo è nel significato di "popolare" ed è per questo che sono sempre di più i cori che, in chiesa, si fanno accompagnare da un pianista. Certo, avrà avuto il suo peso pure il mondo protestante: negli ultimi anni è la norma trovare organo e pianoforte all'interno delle chiese riformate, specie in quelle evangeliche (ma dobbiamo ricordare che lì è entrato il pianoforte proprio perché strumento simbolo dell'accompagnamento al canto profano!). Comunque sia, io per prudenza continuo a ritenere validi i divieti di San Pio X, in attesa di pronunciamenti ufficiali.
Se, però, non esistesse un divieto esplicito circa le percussioni all'interno della liturgia, dovremmo comunque esser noi a trarre comunque la conclusione che non è permesso un loro uso durante le azioni sacre (e qui siamo all'aspetto liturgico dell'affaire). Gli strumenti, come scritto nei documenti citati, devono sostenere il canto dei fedeli altrimenti non servono a nulla. Un tamburo, un bongo, un putipù come sostiene il canto? non può farlo. A livello tecnico, sostenere il canto vuol dire fornire note (o la melodia del canto o un accompagnamento armonico tale da sostenere la melodia) e ritmo. Un qualsiasi strumento, quando suona, fornisce entrambi gli elementi . Ciò non avviene per le percussioni, poiché non riescono a produrre un accompagnamento armonico tale da sostenere il canto (al limite viene data la fondamentale, ma in maniera così grave e secca che il suono percepito è quello di un generico boato, quindi di gran lunga vicino al rumore). E uno strumento che fornisce solo ritmo non fa musica: pensate a martello che batte in maniera costante -ritmica-; direte che fa musica o rumore? Persino la tecnica, quindi, conferma il fatto che le percussioni non siano in grado di sostenere il canto.
Alla luce di quanto detto possiamo concludere che è vietato suonare le percussioni durante la liturgia, tuttavia c'è l'eccezione che conferma la regola: l'orchestra. L'orchestra,infatti, prevede al proprio interno le percussioni e sarebbe impensabile senza. Ma l'orchestra non è "profana"? Non del tutto: la storia ci insegna che formazioni strumentali simili alle moderne orchestre sono sempre state presenti -fin dall'età moderna- nei riti celebrati con maggior sfarzo del solito e, pure ai giorni nostri, la natura semi-sacra dell'orchestra è confermata dal suo utilizzo da parte di Mons. Frisina (utilizzo che è stato ben visibile durante il pontificato di Giovanni Paolo II); la stessa celeberrima Messa da Requiem di Mozart è composta per orchestra (con l'eventuale utilizzo dell'organo).  Nei casi in cui, allora, suoni un'orchestra, ovviamente il divieto alle percussioni decade, anche perché le formazioni orchestrali non sono da vedersi come un insieme di più strumenti, ma un unico strumento formato da numerosi strumenti.
Una nota in chiusura di articolo. Potremmo sentirci obiettare "Ma in Africa il tamburo viene suonato a Messa". Allora, tagliamo la testa al toro: nella tradizione dei riti latini non esiste una percussione legata prevalentemente all'uso liturgico (a parte la campana), da altre parti esiste (non so se pure nei riti orientali). Tuttavia, noi siamo in Italia e dobbiamo pensare alla nostra tradizione musicale, non alle tradizioni degli altri (a casa loro si farà come è costume loro, a casa nostra facciamo come è costume nostro...altrimenti dov'è il bello della diversità?). A tal proposito mi espressi già nel lontano 2010 con quest'articolo (Ripartire dall'inizio): non scrissi una sciocchezza, perché proprio lo scorso novembre (2012) così si esprimeva il Pontefice regnante ai partecipanti all'incontro promosso dall'Associazione Italiana Santa Cecilia:

Il secondo aspetto che propongo alla vostra riflessione è il rapporto tra il canto sacro e la nuova evangelizzazione. La Costituzione conciliare sulla liturgia ricorda l’importanza della musica sacra nella missione ad gentes ed esorta a valorizzare le tradizioni musicali dei popoli (cfr n. 119). Ma anche proprio nei Paesi di antica evangelizzazione, come l’Italia, la musica sacra - con la sua grande tradizione che è propria, che è cultura nostra, occidentale - può avere e di fatto ha un compito rilevante, per favorire la riscoperta di Dio, un rinnovato accostamento al messaggio cristiano e ai misteri della fede. (link)

Ossia: se bisogna guardare alle tradizioni dei popoli, cominciamo pure noi a farlo nei confronti della nostra, non foss'altro perché siamo anche noi terra di missioni di evangelizzazione. Sinceramente, quando lessi il discorso, quasi cascai dalla sedia: non solo avevo scritto cose che avrebbe detto il Papa in persona, ma lo feci due anni prima di lui, senza che nessuno mi dicesse nulla (speriamo che sia stato, invece, un suggeritore: lo Spirito Santo).

Finita la disquisizione, vi saluto e vi aspetto ancora su questa piazza virtuale.

P.S. Ho ricevuto mail e commenti che mi hanno fatto molto piacere, tuttavia ho dato spazio pure a chi è caduto nel turpiloquio, ma non credo che sarò così indulgente le prossime volte con chi ricorre all'offesa gratuita. A tutti gli altri, invece, rivolgo i miei ringraziamenti e dico di pazientare: purtroppo sono molto impegnato e spesso non riesco a rispondere a tempo a mail e commenti.
Un saluto.






domenica 9 dicembre 2012

Fasce o cuscini sonori: corbellerie (abusive)!

Il tempo ed io abbiamo un cattivo rapporto. Diciamo pessimo. Ecco perché mesi fa, quando finii di leggere L'organista liturgico (Tannoia, Stilo Editrice), misi segnalibri nei punti che avevano stimolato una mia riflessione, perché sapevo che non sarei riuscito a fare ciò a ridosso della lettura del libro. Stasera, dopo molto tempo, sono tornato a sfogliare il volumetto e non ho potuto fare a meno di non ripensare a un punto che mi aveva particolarmente colpito (in negativo): le fasce o cuscini sonori.

Partiamo con quanto ci dice l'Autore alla nota n. 20 di pag. 53 (l'argomento glossato è il suono dell'organo che accompagni la meditazione dopo l'ascolto della Parola o dell'omelia):
"Il prof. Rainoldi accenna alla possibilità -tutta da sperimentare- di creare un sottofondo anche alla parola del celebrante: Fasce o cuscini sonori, giocati con scelta variata di opportuni strumenti, che entrerebbero in campo o come musica d'ambiente (udita più che ascoltata) o come componente significativa di una gestualità più ampia del comunicare (F. RAINOLDI, Il recitativo liturgico in lingua viva: gesto musicale, generi testuali, dialogo ministri/assemblea, in Atti del 3° Convegno nazionale degli incaricati diocesani per la musica sacra, Collevalenza i Todi, 15-18 novembre 1993, p. 54)."

Anzitutto, c'è un verbo che mette i brividi: sperimentare. Beh, visto lo stato attuale della liturgia, stato riassumibile nell'espressione "se mi pare, delle regole me ne fotto", direi che sarebbe sensato e prudente parlare di queste cose a porte chiuse e avere a cuore che non trapeli nulla all'esterno, tanto meno in un libercolo facilmente reperibile come quello del Tannoia: così eviteremmo di alimentare le fantasie liturgiche di certi consacrati che non accettano proprio di non esser il Papa di turno per sfogare il proprio estro artistico nell'ennesima riforma dei riti. Purtroppo, nello stesso errore incappa il Tannoia: non si può scrivere un paragrafo intitolato Meditazione dopo l'ascolto, o dopo l'omelia quando l'Ordinamento Generale del Messale Romano (mica Topolino) così dice al punto n. 56:

Il silenzio
56. La Liturgia della Parola deve essere celebrata in modo da favorire la meditazione; quindi si deve assolutamente evitare ogni forma di fretta che impedisca il raccoglimento. In essa sono opportuni anche brevi momenti di silenzio, adatti all’assemblea radunata, per mezzo dei quali, con l’aiuto dello Spirito Santo, la parola di Dio venga accolta nel cuore e si prepari la risposta con la preghiera. Questi momenti di silenzio si possono osservare, ad esempio, prima che inizi la stessa Liturgia della Parola, dopo la prima e la seconda lettura, e terminata l’omelia.


N. B. Non si parla di silenzio dopo la Lettura del Vangelo perché è data facoltà di ripetere l'Acclamazione al Vangelo (francamente la trovo una possibilità sciocca, perché la natura dell'acclamazione è quella di precedere -e non di seguire- e così facendo si confondono i momenti, dando l'idea di un grande music-all). 



Se ci spingiamo al cuore del problema dovremmo sapere bene cosa voglia veramente dire il discorso del prof. Rainoldi. Ho cercato sul web l'intera argomentazione del '93 ma non ho trovato nulla. Tuttavia, mi sento di dire che quanto scritto è contro le norme liturgiche non solo perché sì ignora -più o meno volutamente- la norma ma anche perché non si capisce l'autentico spirito liturgico delle parti della Messa, e questo è forse più grave: pure io non mi ricordo tutte le norme, ma ringrazio Iddio per aver creato Google, tuttavia -appena letto il passo incriminato- sapevo che tutto il testo era contro l'autentico spirito liturgico (quindi uno, se ha ben presente questo, saprà regolarsi da solo senza consultare OGMR, fidatevi: capito il meccanismo è impossibile -o quasi- sbagliare).

Dal punto di vista strettamente "legale" tutto l'ambaradàn del prof. Rainoldi confligge con almeno un punto dell'Istruzione Musicam Sacram (1967):


64. L’uso di strumenti musicali per accompagnare il canto, può sostenere le voci, facilitare la partecipazione e rendere più profonda dell’assemblea. Tuttavia il loro suono non deve coprire le voci,rendendo difficile la comprensione del testo; anzi gli strumenti musicali tacciano quando il sacerdote celebrante o un ministro, nell’esercizio del loro ufficio, proferiscono ad alta voce un testo loro proprio.


Ebbene, stando così le cose, l'organo (come qualsiasi altro strumento o voce) dovrebbe tacere durante l'omelia solo se riuscissimo a dimostrare che l'omelia è un testo proprio del celebrante. Beh, parrebbe proprio che sia così, almeno stando a OGMR:


L’omelia
65. L’omelia fa parte della liturgia ed è vivamente raccomandata[63]: è infatti necessaria per alimentare la vita cristiana. Essa deve consistere nella spiegazione o di qualche aspetto delle letture della sacra Scrittura, o di un altro testo dell’Ordinario o del Proprio della Messa del giorno, tenuto conto sia del mistero che viene celebrato, sia delle particolari necessità di chi ascolta[64].
66. L’omelia di solito sia tenuta personalmente dal sacerdote celebrante. Talvolta, potrà essere da lui affidata a un sacerdote concelebrante e, secondo l’opportunità, anche al diacono; mai però a un laico[65]. In casi particolari e per un giusto motivo l’omelia può essere tenuta anche dal Vescovo o da un presbitero che partecipa alla celebrazione anche se non può concelebrare.
Nelle domeniche e nelle feste di precetto l’omelia si deve tenere e non può essere omessa se non per un grave motivo in tutte le Messe con partecipazione di popolo. Negli altri giorni è raccomandata, specialmente nelle ferie di Avvento, di Quaresima e del tempo pasquale; così pure nelle altre feste e circostanze nelle quali è più numeroso il concorso del popolo alla chiesa[66].
È opportuno, dopo l’omelia, osservare un breve momento di silenzio.

N. B. Notare come l'ultimo punto renda inutile la presenza del paragrafo Meditazione dopo l'ascolto, o dopo l'omelia in un libro che si intitola L'organista liturgico (ma di che liturgia stiamo parlando? di quella di Narnia?).

Riassumendo: quanto ipotizzato è irrealizzabile a livello normativo. Sperimentare vuol dire -in questo caso- compiere deliberatamente un abuso. 
Proviamo però ad andare oltre la supercazzola del prof. Rainoldi (sì, scusatemi, ma "udita più che ascoltata" e "componente significativa di una gestualità più ampia del comunicare" sono proprio un bell'esempio di terapia tapioca come se fosse antani, con lo scappellamento a destra, ché piace tanto ai convegni), proviamo a porci in un ottica a-legale e totalmente rivolta allo spirito della liturgia: l'omelia rappresenta la parte più strettamente catechetica della Messa; tutta la sua forza consiste nella mondezza, nella chiarezza del linguaggio; tanto più chiara essa è, tanto è meglio fatta. Come possiamo allora creare "disturbo" (a livello comunicativo, due linguaggi che vengono messi in atto al contempo creano quello che si chiama disturbo) con la musica? Come possiamo ritenere che il di più sia d'aiuto quando rischiamo di non far comprendere le parole del celebrante? Per voler far qualcosa di assolutamente superfluo rischiamo di fare un danno, ossia di non far comprendere la parte della catechesi: un'assemblea che non ha spazio di cantare non ha un danno pari a un'assemblea che viene privata dell'omelia solo per fare un po' di musica. 
Inoltre, alla base di questa proposta assolutamente errata, è la concezione della musica all'interno della liturgia come riempitivo, per dirla in parole semplici, o come un linguaggio evocativo ma non esaustivo. La musica all'interno della liturgia deve elevare gli animi -e non lo dico io ma 2000 anni di Chiesa- non creare l'atmosfera: creare l'atmosfera è una cosa che si fa ai vernissage o ai caffé letterari, non in chiesa! L'unica atmosfera data è quella che offre l'antifona d'introito, che introduce allo spirito della celebrazione del momento. 
In terzo luogo, poi, se un'uditorio ha bisogno della musica per lasciarsi catturare dall'omelia, non voglio immaginare a che cosa pensi l'assemblea alla Proclamazione del Vangelo, dal momento che essa non è cantata per la gran parte dell'anno!

A questo proposito riferisco un'interpretazione raccapricciante del passo del prof. Rainoldi: con "alla parola del celebrante" si intenderebbe pure la Proclamazione del Vangelo. Non è farina del mio sacco, ma -mi par di ricordare- di una persona che si diverte a scrivere prefazioni inutili ai repertori nazionali di musica per la liturgia (chi vo' capir capisca). Una cosa del genere è francamente aberrante: da "proclamazione" si passerebbe a "lettura teatrale", da "canto/lettura" a "recitazione". La Proclamazione del Vangelo non è mai stata sporcata da sottofondi musicali, MAI: o si canta o si legge, non ci sono vie di mezzo. E questo avviene in tutte le confessioni cristiane che io conosca, riformate o meno che siano (sappiamo che i riformati siano melomani, ma non fino a questo punto). Sarebbe ancora più "contro-natura" avere una Messa in cui si suona alla Proclamazione ma non all'Elevazione perché è più logico il contrario: infatti, prima della riforma liturgica del Concilio Vaticano II l'Elevazione poteva esser accompagnata dal suono dell'organo (e la pratica è pienamente legale nella Forma Straordinaria del Rito Romano), nella forma Ordinaria del Rito Romano, invece, questo abuso, ma sarebbe lieve cosa perché ci si potrebbe giustificare con l'argomento del precedente storico secolare -se proprio uno smania per suonare quando le norme non lo consentono (ma perché uno deve compiere gli abusi liturgici senza necessità?) 

Alla fine di questa lunga discussione credo che abbiamo appreso che il paragrafo Meditazione dopo l'ascolto, o dopo l'omelia è da cancellare (è inutile fare le discussioni sul sesso degli angeli, tanto le norme vietano tutto quello che c'è scritto) e che i liturgisti alla moda, che accusano di teatralità la messa in forma Straordinaria, dovrebbero tapparsi la bocca e guardare in casa propria: questo discorso ha messo in luce come sia ancora ben presente una concezione teatrale della musica all'interno della liturgia; la musica allieta, evoca, sottolinea, fa l'ambiente...tutte espressioni adatte ai concerti profani, non alla Messa.






lunedì 1 ottobre 2012

La posizione dell'organo (Parte 4a)

Ebbene, alla luce del percorso storico, direi che la posizione della CEI è giusta e sbagliata al contempo: 500 anni di storia non si cancellano se si è intelligenti e, quindi, tarpare le ali ad altre collocazioni da quella indicata è sciocco, non fosse altro per il noto (cioè noto ai lettori di questo lungo argomento) che bisogna regolarsi in base alle caratteristiche di ogni singola chiesa; tuttavia la posizione è giusta perché non ci si inventa nulla di sana piana ma si parla di una collocazione del coro nel DNA della liturgia latina.
Ebbene, da una CEI che aborrisce le balaustre, non posso aspettarmi uno sdoganamento dello jubé (per quanto ci sarebbe da lavorarci, perché l'idea non è malvagia se pensata in chiave moderna), ma posso attendermi un atteggiamento aperto: col rientro di diversi anglicani nella Chiesa Cattolica, il patrimonio culturale anglicano, volente o nolente, è entrato nella nostra Chiesa; per di più questo patrimonio non era nemmeno loro, ma nostro e conservato presso di loro! In buona sostanza, invece che vedere i cori a lato della navata o nascosti nel transetto, credo che sarebbe meglio porli nelle prime file, quasi a costituire un "coro" simile a quello di Santa Maria in Cosmedin privo dei parapetti. Allora sì che si evidenzierebbe la funzione del coro, un trait-d'union fra sacerdote e popolo, fra spazio sacro e navata. 
C'è solo un rischio: le spalle dei cantori date ai fedeli nella navata. Se proprio qualcuno ha gli attacchi di cuore a una simile vista, si potrebbe ruotare i cantori di 90° e farli disporre con la schiena alla parete (vedi filmato di Westminster postato nella parte terza del thread). 
A tutto ciò si aggiunga che rimane ancora valida l'edificazione di cantorie facilmente accessibili e prive di grate, da costruirsi dove il suono possa meglio propagarsi. Del resto, non è una cantoria a svilire il ruolo del cantore, ma gli insulsi canti che sono patrocinati da chi scrive i documenti-capestro riportati (e non faccio riferimento al Magistero).


Se tutto questo riguarda la schola, dove mettiamo l'organo? La risposta è stata già detta e ridetta: dove suona meglio. C'è un piccolo dettaglio: la CEI parla di preferire l'organo meccanico. Ebbene, a meno di non fare improbabili catenacciature del tipo di Sant'Alessandro a Bergamo, il corpo d'organo non può stare dove sta il coro se rischia di produrre un suono percepito poi in maniera disomogenea. Per quanto io stesso abbia suggerito già di preferire un organo meccanico a uno a trasmissione elettrica o digitale, tuttavia non me la sento di imporre dogmi che lasciano il tempo che trovano. L'organo è uno strumento, deve funzionare: il resto son chiacchiere. Visti i progressi della tecnica, non bisogna aver paura ad acquistare uno strumento a canne (e non un cesso digitale) a trasmissione non meccanica: l'organo, però, sia di una ditta affidabile e seria, perché uno strumento simile ha problemi potenzialmente più gravi del meccanico.

La posizione dell'organo (Parte 3a)

All'inizio di questa terza parte reputo necessario fare un riassunto delle "puntate precedenti" per illuminare quanto abbiamo percorso e quanto dobbiamo ancora percorrere.

-Partendo dalla lettura di Tannoia abbiamo riflettuto sulla giusta posizione dell'organo: siamo arrivati alla conclusione che ciò non si può stabilire a priori sulla carta ma si deve operare una scelta in base alle caratteristiche di ogni singolo caso.
-Abbiamo visto che il Magistero non dà indicazioni puntuali e la CEI, invece, sì; abbiamo avuto modo di vedere come le interpretazioni della CEI siano arbitrarie, manchino di senso pratico (perché si scontrano con quanto detto già per Tannoia) e siano una lettura opinabile dei documenti conciliari e magisteriali. 
-Ciononostante, è possibile leggere il diktat CEI come un recupero dell'originale posizione del coro; rimane però da specificare se si tratta di archeologismo e se siamo in grado di stabilire con certezza la storia della collocazione del coro.

Premetto che non mi è riuscito trovare un'opera specifica sull'argomento, per cui la ricostruzione che do è passibile d'errore e di correzione; di conseguenza, ciò che andrò a scrivere si colloca più sul campo della probabilità che dell'oggettività. Chiedo scusa sin da ora.
Per quel che ho potuto vedere, fin dall'inizio il coro s'è posto fra assemblea e presbiterio, nelle forme codificate dalla disposizione interna delle chiese bizantine, come possiamo vedere qui sotto:


Si veda il n. 14: lì infatti è il "coro" bizantino, ossia il luogo dove vengono intonati i canti dai consacrati (con gli ordini minori).
Successivamente siamo passati a una situazione in cui il coro, formato da consacrati, è stato distinto dal resto della navata: si veda l'esempio di Santa Maria in Cosmedin a Roma.



Dalle immagini (e se non vedete bene, vi invito a cercare su WikiCommons) si vede che il coro ora sta non più ai lati, ma al centro della navata, separato dal resto della navata da un recinto che però non ostruisce la vista come l'iconostasi o la pergula (quest'ultimo divisorio è quello più tipicamente occidentale, presente -come vedete- in Santa Maria in Cosmedin e nella Sistina, giusto per citare un esempio noto a tutti).
Successivamente, il coro è stato avvertito come spazio continuo con l'abside soprattutto perché sede dei consacrati: ecco che l'iconostasi/pergula non delimita più lo spazio del Santuario in senso stretto (utilizzo la terminologia bizantina) ma quello dei consacrati, pertanto si sposta e ingloba il coro al suo interno, separandolo definitivamente dalla navata; da questa pergula spostata nascerà lo jubé.



Bisogna specificare che ormai il termine "coro" risulta ambiguo: la schola cantorum, infatti, si collocava oramai sullo stesso jubé (che da semplice pergula divenne vera e propria cantoria, talvolta con dimensioni quasi da piattaforma, che poteva pure costituire un monumentale ambone), tanto che in spagnolo lo si chiama coro alto; e quello che ora si definisce "coro" è l'insieme dei sacerdoti, che nelle cattedrali o nelle chiese più importanti è il il cosiddetto coro dei canonici. 
Con il Concilio di Trento è rimasta sì la distinzione fisica -affidata a elementi architettonici- fra navata e presbiterio (notare che nel presbiterio, da questo momento in poi, rientra pure il coro) ma, in nome di una maggior visibilità dei riti, le pergule e gli jubé sono sostituite dalle balaustre (anche se sopravvivono eccezioni, e  una di queste è proprio nel cuore della cristianità, ossia nella Cappella Sistina). 
Chi, invece, ha mantenuto questo elemento -anzi, nell'800 è tornato a fiorire- è la Chiesa Anglicana, che lo chiama rood screen (inserisco il link perché la voce inglese di Wikipedia è interessante anche per quanto riguarda la genesi dell'elemento e il confronto con la situazione tridentina). Nelle celebrazioni che si tengono nelle chiese anglicane munite o di jubé o di rood screen il coro prende posto al di là di esso.




E nel mondo cattolico? Non ho conoscenza di un documento preciso che indichi dove debba collocarsi il coro, però possiamo ragionare partendo da una foto della chiesa-simbolo della Controriforma, la Chiesa del Gesù a Roma.

La foto fa riferimento all'organo di sinistra, ma la situazione è speculare a quella che si trova a destra. Notiamo che l'organo è sospeso su una cantoria fuori del presbiterio e che una piccola cantoria si trova aggettante sull'abside. Dalle informazione che posseggo, so per certo che la piccola cantoria era riservata ai coristi: sembra che questa disposizione sia nata nelle chiese che servivano i monasteri di clausura per far sì che le monache partecipassero alla liturgia e al canto senza esser viste. Le cantorie non sono nuove, del resto: nascono a seguito di un'esigenza molto umana, far sentire la voce a tutti; mancando i microfoni, l'unico sistema è portare in alto chi canta. Per lo stesso motivo venivano erette piattaforme lignee al pari delle cantorie quando si chiamava a cantare un discreto numero di cantori in occasioni delle solennità (so della fondatezza di questa opzione almeno per l'Annunziata di Firenze).
Ciononostante, la schola si collocherà ovunque, senza una regola fissa ed è così che la ritroviamo fino ai documenti della CEI.

Poiché il post è ricco di immagine e abbastanza "carico" rimando le conclusioni finali ad un quarto (e spero ultimo) post.