lunedì 12 settembre 2011

Una recensione a don Enrico Finotti

Cari Lettori,
voglio qui proporre una breve riflessione che trae origine dalla gentilezza di un cyber-amico (D.S.), che mi ha inviato l'articolo sottostante che condivido con Voi tutti.
Sottolineo in nero ciò che è interessante.
Sottolineo in rosso ciò che non condivido.


La musica sacra e il canto liturgico nel Vaticano II


di don Enrico Finotti



Oggi occorre ritornare alle sorgenti autentiche della riforma liturgica promossa dal Concilio Vaticano II. Si devono però superare molti pregiudizi, invalsi negli anni postconciliari e oggi ancora persistenti, che hanno oscurato i principi basilari sui quali l’edificio liturgico rinnovato doveva poggiare.
  Su interpretazioni riduttive si è sviluppata una pastorale liturgica mancante e difforme da ciò che il Vaticano II intendeva promuovere. Anche il settore della musica sacra è certamente segnato dai danni di una scorretta e parziale applicazione dei principi ispiratori. Per questo è necessario ritornare a rileggere le inequivocabili indicazioni della Costituzione liturgica

Sacrosanctum Concilium:

n. 116: La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana: perciò, nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli sia riservato il posto principale.
Gli altri generi di Musica sacra, e specialmente la polifonia, non si escludono affatto dalla celebrazione dei divini Uffici, purché rispondano allo spirito dell’azione liturgica, a norma dell’art. 30.

n. 117: Si conduca a termine l’edizione tipica dei libri di canto gregoriano; anzi, si prepari un’edizione più critica dei libri già editi dopo la riforma di san Pio X. Conviene inoltre che si prepari una edizione che contenga melodie più semplici, ad uso delle chiese minori.

n. 118: Si promuova con impegno il canto popolare religioso, in modo che nei pii e sacri esercizi, come pure nelle stesse azioni liturgiche, secondo le norme e i precetti delle rubriche, possano risuonare le voci dei fedeli.

Nell’arco degli anni post-concilari possiamo osservare che, nel campo della musica e del canto sacro, si sono delineati due fenomeni ben definiti: [PARTE CORROTTA]
  E'stato fatto e continua ancora uno sforzo notevole di creazione di canti in lingua parlata per l’uso liturgico. I vari repertori ne sono eloquente testimonianza. Tuttavia, dopo un primo inizio di fedele applicazione secondo i criteri liturgici e in comunione con la Chiesa, si è intrapresa la via di una creatività continua, talvolta eccessiva, senza più considerazione dei principi liturgici e della necessaria verifica e approvazione dell’autorità della Chiesa. In tal modo sembra che oggi chiunque possa comporre musica e testi per la liturgia e ogni comunità e gruppo esegue un ventaglio incontrollabile di canti, che, sia per la palese inabilità del testo o della musica o della loro funzione rituale, sia per la mancanza di un esplicito riconoscimento e assunzione da parte dell’autorità della Chiesa, non possono dirsi propriamente liturgici. Così le celebrazioni subiscono una larga invasione quasi ovunque di testi e musiche di composizione privata, che non godono perciò della grazia specifica della liturgia e non possono quindi mirare pienamente al fine della Musica sacra, che è la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli(SC 112).
  Mentre l’eucologia, il lezionario e le sequenze rituali sono ancora fissate dalla Chiesa, i canti sono per lo più alla mercé di compositori, maestri di coro, gruppi o singoli fedeli committenti. In tal modo il settore del canto non soggiace più al controllo della Chiesa, né può dirsi espressione della sua preghiera, essendo ormai diventato appannaggio di un comunità o di una spiritualità sociologicamente più o meno estesa. In questo stato di cose i fedeli rischiano di non riconoscere più quali siano i canti liturgici, propri della Chiesa, ed essere, in questo settore, travolti dai gusti e dai contenuti di alcuni, di quelli cioè che volta a volta gestiscono le liturgie. Si deve pure constatare che è prevalsa la tendenza a ‘cantare nella liturgia’ anziché ‘cantare la liturgia’. Questa scelta, infatti, offre maggior libertà creativa. E' evidente che a queste condizioni non può affermarsi e aver stabilità una raccolta valida di canti liturgici, comune al popolo di Dio nella sua globalità, né possono risuonare le voci dei fedeli (SC 118). Anche il repertorio nazionale diluisce nella concessione di poter ricorrere agli altri repertori, regionali, diocesani, parrocchiali, ecc.
  Su questa strada si può arrivare alla situazione dell’antica gnosi, quando si fece la scelta radicale di eliminare dalla liturgia ogni composizione umana, inficiata di concetti gnostici, e di usare soltanto il salterio, quale testo sicuro per il canto liturgico. Tale situazione dopo una ulteriore riduzione di sequenze e tropi in eccesso all’epoca del Concilio Tridentino è giunta fino al Vaticano II.  Vi è poi un secondo versante. Nella ‘pastorale’ liturgica postconciliare si è operata di fatto una scelta di parte: si è considerato solo il canto popolare religioso (SC 118) tacendo quasi totalmente sul canto gregoriano e sulla polifonia classica (SC 116). Anche la pubblicazione del Graduale simplex, ad uso delle chiese minori (SC 117) “allo scopo di ottenere più efficacemente una partecipazione attiva di tutto il popolo nelle sacre azioni celebrate in canto” (SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Graduale semplice ad uso delle chiese minori, 3 settembre 1967, in Enchiridion Vaticanum, EDB, vol. 2°, n. 1677), - libro liturgico di nuova creazione - non ha sortito nessun significativo e stabile ricorso all’uso del canto gregoriano nelle normali assemblee parrocchiali.
  Il silenzio sul gregoriano e la polifonia classica ha privato i riti di un patrimonio liturgico, artistico e spirituale grandioso, ha ristretto negli effimeri confini del presente e ha tagliato le radici con la tradizione dei secoli. Le nuove generazioni si sono così trovate a realizzare il prodotto recente delle ultime ‘trovate’ e il loro orizzonte è costretto all’asfissia dell’istante momentaneo e del locale. La loro stessa creatività, priva dell’ossigeno della Tradizione secolare e universale della Chiesa, ne è rattrappita e si chiude davanti a loro la possibilità di un esercizio musicale a servizio della liturgia di alto profilo artistico e di profonda spiritualità. Non può essere normale, né onorevole per la Chiesa che i giovani scoprano il gregoriano e la grande musica polifonica in ambienti profani, come in scuole e concerti, mentre il grembo originale che ha generato tale esperienza offre un livello ormai basso e sterile. La Chiesa Madre e Maestra avrebbe così perduto la sua capacita di educatrice e di guida verso le alte vette dello spirito?
  Occorre ritornare al Concilio vero e integrale. Una normale corale di parrocchia non può assolvere il suo servizio riducendo le sue prestazioni musicali all’esecuzione della solo musica d’uso in una estenuante girandola di continue variazioni. Essa deve essere capace di proporre all’assemblea cristiana il canto gregoriano nelle sue principali espressioni, sia quello sillabico della cantillatio e dei salmi, sia quello melismatico degli inni e degli altri testi liturgici. Il novus Ordo Missae è stato riformato in totale continuità con l’Ordo precedente. Infatti rimangono inalterati nel testo e nella loro posizione rituale i canti classici dell’ordinario: Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei. Essi quindi possono e devono poter essere riproposti secondo le modalità gregoriane e polifoniche di sempre. Nessuna parte del rito precedente è stata tolta, ma tutto coincide e questo perché nella mente della Chiesa non si doveva in nulla sacrificare il patrimonio musicale dei secoli codificato nel Graduale Romano, che deve essere tenuto “in sommo onore nella Chiesa per le sue meravigliose espressioni d’arte e di pietà” e deve conservare “integro il suo valore” (SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Graduale semplice ad uso delle chiese minori, 3 settembre 1967, in Enchiridion Vaticanum, EDB, vol. 2°, n. 1677). Il Graduale simplex poi offre possibilità più semplici - adatte ai vari tempi liturgici e alle principali solennità e feste e ai comuni dei Santi - per i canti del proprio: ingresso, salmo responsoriale, presentazione delle offerte, comunione. Non è necessario allora ricorrere alla forma precedente del Messale per ricuperare il canto sacro classico, ma esso è in piena conformità col Messale riformato dal Vaticano II. Questo fatto, nonostante i continui richiami del Magistero della Chiesa, è stato disatteso per decenni e ancor oggi con grande sospetto ci si apre a questa prospettiva.
  In questo più vasto orizzonte le Messe gregoriane e quelle polifoniche potranno debitamente continuare a impreziosire la celebrazione liturgica e, da loro formati, i nostri contemporanei potranno procedere ad una autentica creatività, che, fondata sui principi perenni della musica sacra - la santità, la bontà delle forme e l’universalità (Pio X, Motu proprio sulla musica sacra, n. 2) - potrà ancora produrre splendidi frutti e geniali espressioni religiose. La composizione equilibrata tra antico e moderno, dunque, deve ispirare la ricerca e la prassi liturgica, senza elidere alcuno dei due termini.
  Che nella Commemorazione di Tutti Fedeli Defunti (2 nov.) si esegua la Messa da requiem gregoriana nella sua completezza, oppure che in talune feste della Madonna si esegua la Missa cum jubilo e in altre occasioni la Missa de Angelis e in altre ancora si ricorra ad una valida Messa polifonica, non può costituire motivo di meraviglia e di contesa nella comunità cristiana. Se questo succede è perché l’interpretazione distorta del Concilio è diventata mentalità comune. Per le grandi composizioni polifoniche si dovrà tuttavia tener sempre presente il principio: “è da condannare come abuso gravissimo, che nelle funzioni ecclesiastiche la liturgia apparisca secondaria e quasi a servizio della musica, mentre la musica è semplicemente parte della liturgia e sua umile ancella” (Pio X, Motu proprio “Tra le sollecitudini” sulla musica sacra, n. 2 3). Occorre perciò che il solenne principio conciliare - “La Musica sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all’azione liturgica, sia esprimendo più dolcemente la preghiera o favorendo l’unanimità, sia arricchendo di maggior solennità i riti sacri” (SC 112) - sia debitamente osservato. Ma siccome il testo liturgico (soprattutto nelle lingue volgari) potrebbe essere rivestito con una musica inadatta e anche banale, giustificata non in base alla sua qualità musicale, ma soltanto per il fatto che rispetta e assume in modo integro il testo previsto dalla liturgia, ecco che l’indicazione di S. Pio X ritorna sempre attuale: “Il canto gregoriano fu sempre considerato come il supremo modello della musica sacra, potendosi stabilire con ogni ragione la seguente legge generale: tanto una composizione per chiesa è più sacra e liturgica, quanto più grave; nell’andamento, nella ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana, e tanto è meno degna del tempio, quanto più da quel supremo modello si riconosce difforme”(Pio X, Motu proprio “Tra le sollecitudini” sulla musica sacra, II n. 3).
  Alla luce di queste parole il canto gregoriano allora non è soltanto un corpus prezioso di canti accanto ad altri generi di musica sacra, ma, secondo la mente della Chiesa latina, ne è il referente e la base interiore che deve costituire l’anima per ogni musica autenticamente sacra e liturgica. Dobbiamo convenire che oggi nella realtà quotidiana delle nostre parrocchie non è facile impostare questo ragionamento. Tuttavia se si vuole una vera ed efficace verifica nel campo della musica liturgica si deve serenamente affrontare quello che in realtà è il pensiero ufficiale della Chiesa e il tenore dei suoi documenti.



RIFLESSIONI

Non sono d'accordo con ogni singola parte di questo articolo, tuttavia riconosco all'autore quello spirito critico ed estetico che sembra ormai aver abbandonato la gerarchia ecclesiastica.
Cominciamo dall'inizio. Don Finotti parla di " interpretazioni riduttive" su cui "si è sviluppata una pastorale liturgica mancante e difforme da ciò che il Vaticano II intendeva promuovere. Anche il settore della musica sacra è certamente segnato dai danni di una scorretta e parziale applicazione dei principi ispiratori". E come negare l'evidenza di ciò? Forse, e qui esulo dal campo musicale che meglio mi compete, l'errore si cela dietro quel semplice binomio: pastorale liturgica. La pastorale e la liturgia non dovrebbero interagire. L'una riguarda l'uomo, l'altra Dio. Altri -la maggioranza- interpretano la liturgia come l'uomo dinanzi a Dio e quindi suscettibile di mondanità. Comunque, fatto sta che almeno dai documenti conciliari il culto risulta amministrato e regolato more antiquo, tant'è che non si parla di celebrazione versus populum o di messa obbligatoriamente in lingua volgare. Circa  la questione della colpa conciliare, riamando all'ottimo articolo del blog Traditio Liturgica. Mi basta citare un passo che esprime pure il mio pensiero: Il cosiddetto "rito di Paolo VI", invece, introduce dei principi di ordine soggettivistico - che lo si voglia ammettere o no - in nome di convenienze pastorali. Questo tende a creare un permanente sfregio al simbolo e al senso della tradizione, secondo la quale è la liturgia che cambia noi, non noi che cambiamo la liturgia.
  Torniamo allora all'articolo di don Finotti. Quand'egli si lamenta del fatto che oggi larga parte dei canti non ha approvazione ufficiale e che una simile prassi sembra esser quella consueta e doverosa, forse dovrebbe imputare la colpa del misfatto ai sacerdoti, gli stessi che sono molto attivi nell'ambito della fantasia liturgica. Per correttezza, dovrebbero essere gli organisti o i direttori di coro a eseguire un repertorio approvato, purtroppo -come già detto- molte dei brani delle nostre celebrazioni non hanno autorizzazione perché questo è stato un problema che non è stato avvertito come tale. Se poi ormai vige l'anarchia dovrebbe essere il sacerdote a dare una direttiva nel merito dalla questione, ma per fortuna non è così: data la situazione attuale, ossia l'atteggiamento di certi preti, è un bene che spesso siano i "musici" a fare di testa loro.
  Arriviamo, allora, a parlare dell'indipendenza dei musicisti e vediamo quel che dice l'Autore:  le celebrazioni subiscono una larga invasione quasi ovunque di testi e musiche di composizione privata, che non godono perciò della grazia specifica della liturgia e non possono quindi mirare pienamente al fine della Musica sacra, che è la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli. Ecco, qui don Finotti ha detto una sonora corbelleria, ma bella grossa. La composizione privata non è condannata dalla Sacrosanctum Concilium; essa anzi dice al punto 112 -quello citato:
La tradizione musicale della Chiesa costituisce un patrimonio d'inestimabile valore, che eccelle tra le altre espressioni dell'arte, specialmente per il fatto che il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della liturgia solenne. Il canto sacro è stato lodato sia dalla sacra Scrittura [42], sia dai Padri, sia dai romani Pontefici; costoro recentemente, a cominciare da S. Pio X, hanno sottolineato con insistenza il compito ministeriale della musica sacra nel culto divino. Perciò la musica sacra sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all'azione liturgica, sia dando alla preghiera un'espressione più soave e favorendo l'unanimità, sia arricchendo di maggior solennità i riti sacri. La Chiesa poi approva e ammette nel culto divino tutte le forme della vera arte, purché dotate delle qualità necessarie. Perciò il sacro Concilio, conservando le norme e le prescrizioni della disciplina e della tradizione ecclesiastica e considerando il fine della musica sacra, che è la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli, stabilisce quanto segue.
Le caratteristiche, allora, della musica sacra possono bellamente esser apportate pure in ambito di scrittura privata. E peraltro il termine "composizione privata" non vuol dire nulla, dacché non ho mai visto una composizione pubblica e dacché ogni melodia, a partire dal Tantum ergo, è stata composta solo da un individuo. Forse, Finotti si riferisce alla questione dell'autorizzazione ecclesiastica: se così è, allora dovrebbe imparare a scrivere senza ambiguità.
  Più avanti, il prelato afferma che ormai il settore del canto è sfuggito all'autorità. Ebbene, siamo sicuri che solo il canto sia l'unico elemento anarchico? Ripeto: se il pastore della comunità è il primo anarchico, chi non lo seguirà? e chi non seguirà il suo metodo? Purtroppo, sembra che Finotti se la prenda con il soldato invece che con il comandante: del resto, la colpa di aver reso sciatto il culto a Dio è molto grave. 
  In vista, quindi, di una situazione così anarchica sembra ancora come non mai valida questo modus operandi: su questa strada si può arrivare alla situazione dell’antica gnosi, quando si fece la scelta radicale di eliminare dalla liturgia ogni composizione umana, inficiata di concetti gnostici, e di usare soltanto il salterio, quale testo sicuro per il canto liturgico. Tale situazione dopo una ulteriore riduzione di sequenze e tropi in eccesso all’epoca del Concilio Tridentino è giunta fino al Vaticano II. Sì, don Finotti non lo dice ma lo dico io: sì dobbiamo tornare a fare così, proprio come avviene per i canti che vengono eseguiti, almeno da quello che so io, dai Luterani. E' nei salmi che c'è vera dottrina e vera sapienza; è nei salmi che c'è l'uomo e che c'è Dio; è nei salmi che c'è il nostro passato, il nostro presente e il nostro futuro.
  Perché, allora con il Vaticano2° siamo giunti all'anarchia di oggi? Semplice, perché l'anelito alla libertà ha distrutto ogni atteggiamento normativo e cautelativo. In ambito liturgico, la libertà era solo musicale, mentre in ambito extra-liturgico trovava sfogo ogni vena compositiva e creativa (vogliamo ricordare i canti popolari?). Purtroppo, come già ho scritto più volte, abbiamo perso la distinzione fra i due momenti e abbiamo creato un unico tempo che non è né liturgico né extra-liturgico, ma forse para-liturgico.
  Ciononostante, mi trovo pienamente d'accordo con la conclusione cui perviene don Finotti:
il canto gregoriano allora non è soltanto un corpus prezioso di canti accanto ad altri generi di musica sacra, ma, secondo la mente della Chiesa latina, ne è il referente e la base interiore che deve costituire l’anima per ogni musica autenticamente sacra e liturgica. Questa formulazione molto semplice chiarisce quella grande confusione che si viene a creare con la lettura dei fumosi documenti conciliari. Ebbene, sviscerata così la verità, non ci resta altro che applicarla con la dovuta precisazione: il gregoriano non è la musica liturgica, ma il suo modello e, di conseguenza, la libertà di ci compone non è inficiata ma stimolata a fare più e meglio proprio dai doverosi paletti che le vengono imposti. Ogni libertà priva di regole è schiavitù.

lunedì 22 agosto 2011

Basta poco per cominciare. Quel conta è la volontà.

Quest'afa opprimente mi pungola, m'incita a scrivere qualcosa che da tempo ho in testa. A mio avviso, l'organo meccanico è di gran lunga superiore a quello elettrico o elettronico o digitale per vari motivi; proverò a elencarne qualcuno.
1) L'organo meccanico ha una risposta diversa e migliore al tocco delle dita. Il suono esce nel preciso istante in cui il dito sfiora il tasto e addirittura, con una buona tecnica, può essere "dosato".
2) L'organo meccanico ha meccanica eterna: i meccanismi sono sempre gli stessi; e se pur così non fosse più per certi ambiti, l'abile artigiano organaro può sempre ovviare. Grazie a Dio la meccanica è sempre quella!
Così, purtroppo, non si può dire degli altri tipi d'organo. L'elettronica e i sistemi elettrici sono tecnologie sempre in cambiamento. C'è il rischio che un ipotetico restauro del nostro organo elettrico/-onico sia seriamente compromesso; chiarisco il tutto con un esempio banale: poniamo il caso d'avere due organi, l'uno meccanico e l'altro non-meccanico (uso questa dicitura per raggruppare gli elettrici, gli elettronici e i digitali).
In caso di restauro, l'organo meccanico, per quanto distrutto, sarà sempre ricostruibile con una meccanica fedele o quasi all'originale, cosa che forse non può avvenire per il non-meccanico. Se, infatti, consideriamo i progressi della tecnica, sarà difficile avere, tra quarant'anni, gli stessi tipi di cavi elettrici, gli stessi meccanismi di funzionamento. Chissà, forse cambierà persino il voltaggio!
3) Il costo è un argomento interessante da affrontare. All'inizio, per certo, un organo meccanico è molto più costoso del resto. Ma col tempo, a conti fatti, penso proprio che convenga. Infatti, se ben mantenuto -come tutto, del resto!- e puntualmente revisionato e riparato prima d'aspettare che rovinino a terra le canne, il meccanico non ha grosse complicazioni strutturali, anzi non le ha proprio; si tratta solo di spendere poco e "spesso" (=più d'una volta) nell'arco di almeno trent'anni (N.B. le cifre che propongo sono date "a lume di naso" ossia basandomi su quanto so dei vari restauri effettuati).
Pensiamo invece a un organo non-meccanico: di spesa prolungata nel tempo abbiamo solo la manutenzione delle canne e la riparazione di qualche contatto che puntalmente si verifica; oltre a ciò bisogna aggiungere che dopo almeno una decina d'anni bisogna fare un controllo dell'apparato elettrico e in più c'è il serio rischio che, se cominciano a verificarsi sempre più contatti, bisogna rifare l'intero impianto elettrico, opera che certo non può fare il primo elettricista che capita ma una ditta specializzata. Diciamo che, se il non-meccanico si rompe e lo fa per bene, siamo spacciati!
4) Un investimento va sempre fatto bene. Che si tratti di 10.000 o di 30.000 euro, sempre di svariati quattrini si parla. Ebbene, a meno che non ce la faccia a superare varie decadi e diventi -come le automobili- d'epoca, il non-meccanico perde valore. Appena si compra e sempre. Il meccanico, invece, è un'opera artigianale e se abbiamo la fortuna di avere un organaro bravo che ci costruisca lo strumento, beh, possiamo vedere il prezzo di valore non solo essere lo stesso di quello d'acquisto, ma addirittura aumentare!

Ebbene, ora sposto la mia considerazione alle parrocchie, quelle che tutti noi frequentiamo. Non le grandi basiliche o i magnifici santuari, no; quelle piccole chiesine un po' sciatte. Ebbene, l'organo è lo strumento della liturgia, non se ne esce. Bisognerebbe che fosse presente ovunque. Purtroppo, molti parroci acquistano o il non meccanico a canne -oppure se lo ritrovano come effetto di sciagurato restauro post-Vaticano2°- o, quod Deus avertat, quello senza canne (potrebbero comprare allora due pianole della Bontempi, tanto l'effetto è quello). E questi strumenti costano! Ebbene, se i parrocchiani sapessero che quello che la loro parrocchia ha comprato non ha valore ma anzi sarà fonte di spesa, non credo che sarebbero proprio ben lieti di continuare a dare il loro obolo.
Certo, io non dico che tutto sia come ho detto. Ovviamente, se si ha a che fare con un ottimo organaro, persino il non-meccanico può comportarsi come un meccanico. Ma -e sottolineo ma- per avere un buon organaro bisogna pagare e allora siamo punto e a capo.
A mio modesto avviso, per fare un buon lavoro con poca spesa, duraturo e di valore, proporrei, per queste piccole chiese, un organo meccanico di tre registri, con un manuale di estensione di 4 ottave e mezzo (magari 5) con pedale a leggio non unito sempre al manuale. In soldoni, quello che propongo io è il classico organo italiano solo con ottava estesa sia al manuale sia al pedale, con quest'ultimo libero.  Non dico che questo modello è da seguire ovunque, affermo soltanto che fra un "cesso elettronico" e questo, è di gran lunga migliore questo. Certamente scordatevi di fare il repertorio a due manuali, però si tratterebbe pur sempre di un inizio; vero è che, a scopo liturgico, un simile organo è più che sufficiente: pensiamo che un simile organo (anzi messo peggio, ossia si tratta di quello all'italiana) è quello che è stato suonato dagli organisti del Rinascimento, del Barocco e persino del Romanticismo!
Magari, un giorno, potessimo lamentarci della costante presenza di simili organo all'interno delle parrocchie: allora, vorrebbe dire che la musica liturgica avrebbe acquisito nuova dignità!

lunedì 8 agosto 2011

Tenebrae factae sunt

Sì, proprio così: "si fecero le tenebre"! Beh, lo riconosco pure io che non è il miglior modo per tornare a scrivere dopo quattro settimane, però effettivamente è quello che presagisco e vedo formarsi intorno a me. Mi spiego meglio.
Pochi giorni fa il mio parroco, raggiante in volto, mi informa che forse a settembre partirà un corso per "animatore musicale": chi "conseguirà" tale titolo sarà il responsabile parrocchiale della musica. Il ruolo di capoccia gli deriverebbe dall'aver frequentato un corso che prevede formazione musicale e liturgica. Ho sorriso perché volevo piangere: allo stato attuale, infatti, non posso permettermi né di frequentare un ulteriore corso per mancanza di tempo né di spendere altri soldi per scarsità di pecunia. Ma non solo.
Anzitutto non contemplo, all'interno della parrocchia, altra figura di "comando" che non sia il parroco; aggiungo, poi, che schifo e detesto tutti quei laici che, per mistero clericale, diventano piccoli ras parrocchiali. Se il mio parroco ha abolito la figura del sagrestano perché s'è reso conto che è un tipo di personaggio che si atteggia a antipapa (in questo caso anti-parroco), perché io dovrei sottostare ai voleri di un perfetto Sig. Nessuno?
La risposta è sempre lì: suoni per servizio. Purtroppo molte volte ho l'impressione che non ci sia la parità fra i servi, ma uno strano regime: tutti si proclamano eguali, poi però c'è sempre qualcuno che comanda e ti guida dove vuole lui e, se non fai così, quello che passa per individualista e polemico sei sempre te. Altro mistero parrocchiale!
Va be'! Proviamo a pensare che il futuro Capo-musico sia una persona "a modino". Cos'altro potrebbe rovinare l'idillio di una così perfetta-perfettissima figura? Lo scarto fra idea e azione! Anch'io, appena cominciai a suonare alla Messa, avevo tante belle idee, poi però mi trovai a scontrarmi con quelle numerose e piccole difficoltà che,nell'insieme, costituiscono un ostacolo quasi insormontabile. Non voglio dubitare della competenza del Capoccia - figuriamoci! - ma della sua competenza. Infatti, nella mia parrocchia siamo in tre a prenderci cura della musica: due ragazze suonano la chitarra, io l'organo. Se una delle due diventasse il Capoccia, non sarebbe un problema: anche loro si sono rese conto che organo e chitarre sono due mondi a parte e non possiamo fare i medesimi discorsi; ma se un altro fosse il Capo-musico, allora ci troveremmo in seria difficoltà: molti infatti fanno die bei discorsi ma non hanno esperienza. Ecco perché dubito di questa figura.
Arricchisco il piatto della discussione con un ulteriore elemento: la formazione musicale. Se parliamo di musica, come effettivamente stiamo facendo, non è da trascura la formazione musicale. E' qui, forse, che si annida la maggior difficoltà nell'istituire la figura del cosiddetto "animatore musicale". I corsi che si fanno a livello diocesano, infatti, perlopiù non sono di elevata qualità. Questa verità è manifesta a tutti coloro che si intendono di musica e, molte volte, alle stesse diocesi. Purtroppo gli insegnanti sono religiosi scarsamente formati ma imbevuti dell "spirito del Concilio" - ritorno a dire che forse è stato confuso lo Spirito con lo spirito - oppure musicisti esclusi dai conservatori e che, proprio per questo, godono di non chiara fama. Certo è che l'esclusione dal mondo accademico non necessariamente è indizio di bassa statura musicale: è noto che ogni ambiente tende a rafforzare i propri legami interni rampognando gli esclusi. A che mira, dunque, riportare la malevola diceria? A mostrare come si stia sempre più creando una frattura in seno agli organisti: a breve, temo, arriveremo a un vero scontro fra organisti diocesani e organisti accademici. Già ora i primi accusano i secondi di non aver sufficiente formazione liturgica e di essere altro rispetto all'organista di chiesa; i secondi, a loro volta, giudicano insufficiente - se non mancante - la formazione musicale dei primi e la tecnica esecutoria.
Proviamo, allora, ad analizzare questo reciproco scambio di accuse, a costo di andare fuori tema.
L'insufficiente formazione liturgica - con questo termine semplifico il concetto di una formazione che agganci la musica alla liturgia- non è cosa grave: nel giro di poco tempo, anche in maniera empirica, un discreto organista può acquisirla. In fin dei conti, si tratta di mettere la musica a servizio del rito. Ma se a mancare è la musica ( e questo è il punto di vista della maggior parte degli accademici ) allora, a mio avviso, la cosa è ben più grave. La formazione musicale, per quanto possa dispiacere, è frutto di sacrificio e studio. E non tutti possono averla. L'esecuzione, infatti, è proporzionale alla propria formazione ma pure al talento, un elemento che fino ad oggi non è stato possibile mettere in flacone e venderlo!
Qualora, pertanto, fosse questo il nocciolo del problema (formazione musicale accedemica presente o assente) per assurdo non avremmo a che fare con un problema. Da tempo immemore, infatti, nelle nostre parrocchie la competenza ha lasciato il posto al "facciamo-e-come-viene-viene", una filosofia che è positiva (perché spinge al fare costruttivo) ma che è pure negativa (perché non considera l'aspetto finale del risultato). E questa direttiva d'agire il più delle volte si sente uscire dalla bocca del parroco. Ecco perché le scuole diocesane, laddove non siano ben rette, si lasciano andare a un livello medio basso.
Dopo tutte le parole sin qui scritte, voglio ulteriormente chiarire che non mi sento un organista "finito e perfetto". No, anzi, sono appena entrato in Conservatorio...Tuttavia, in un solo anno di studio sono migliorato, a detta di chi mi conosce, e io stesso mi rendo conto di aver acquisito numerose conoscenze.
Pertanto, se divenisse Capoccia un organista "vero" non esiterei a stargli dietro e a imparare!
E in conclusione voglio chiamare nuovamente in causa il termine "servizio": se io VOLONTARIAMENTE servo, lo faccio al meglio delle mie capacità. Non accetto che un altro limiti la qualità del mio servigio perché, in termini stretti, si tratta di un discorso fra me e Dio, con buona pace dei vari capoccia!

domenica 3 luglio 2011

Ecce homo!

Dopo quattro ere geologiche trascorse dall'ultima volta che ho aperto il blog, ne sono capitate di cose. Così tante che non ho più ripreso a scrivere qui per molto tempo. Oggi finalmente la febbre che ho mi costringe a mettere le dita sulla tastiera per riuscire a scrivere -finalmente- qualcosa.
Nell'ultimo articolo avevo promesso aspre critiche all'organo Ciabatti della SS. Annunziata di Firenze. Così farò.
Anzitutto debbo dire che non sono molte le notizie che ho trovato riguardo al Sig. organaro Ciabatti, anzi diciamo nessuna [o, come si dice dalle mie parti, punte]: quindi sospendo il giudizio sulla sua persona per spostarlo su quella della sua (unica) opera che io conosco. Il suo organo, come già detto, si trova "accorpato" all'organo Vegezzi Bossi  in sede di consolle. Ora questo fa sì che l'organista possa suonare contemporaneamente su entrambi gli strumenti. Magari questo non era nelle intenzioni del povero Sig. Ciabatti quando ha costruito il suo strumento, ma sono portato a credere il contrario dal momento che c'è la sua firma sulla consolle mobile che accorpa il Vegezzi-Bossi e il Ciabatti. Se così è, penso proprio che si possa ben dire "c'entra quanto il culo cole Quarant'ore", espressione fiorentina che intende sottolineare l'unione immotivata di cose completamente differenti, diciamo pure agli antipodi.
Il V.B. [Vegezzi-Bossi] è strumento ceciliano, pertanto è calmo, pacato, morbido, dalle sonorità ovattate, pienamente adatto per accompagnare il coro. Invece il C. [Ciabatti] è un'organo della tradizione italiana barocca, squillante, pungente, agile.
Se dunque si voleva dare agilità e potenza di suono al V.B. posso ben dire, dal momento che ho suonato lì, che l'organaro ha fatto una scelta sbagliata. Come si sente nel mio video il cantus firmus prevale troppo sull'accompagnamento. E dire troppo è poco. Aggiungo poi che pure la sistemazione non è una delle più felici: l'organo C. è collocato in una cappella laterale proprio a ridosso di un altare [ergo la cappella non è stata sconsacrata] da cui parte un tubo in gomma che lo unisce alla consolle mobile.
Certo io non sono un organaro e nemmeno un organista diplomato, ma da quel che sentito e visto posso ben dire che l'organo doveva esser rimandato al mittente dal momento che era stato costruito per accompagnare il coro, ma data la sua potenza più che accompagnare copre. E poi, dico io, è mai possibile costruire organi settecenteschi nel terzo millennio? il problema dell'organo italiano sono la presenza di un solo manuale, l'ottava corta sulla tastiera e sulla pedaliera e  l'unione costante della pedaliera al manuale. Alla SS. Annunziata hanno già tre organi con tali caratteristiche, che bisogno c'era di fabbricare un altro simile organo?
Va be', ora smetto di inveire contro l'opera del Sig. Ciabatti anche perché gli ho dato troppa attenzione.
Prima di concludere però voglio informarvi che l'organo Paoli della Cappella dell'Annunziata è stato restaurato dall'ottimo Padre Alessandro, un mio collega di Conservatorio, che è stato così caparbio da andare contro tutto e tutti per rimettere a posto uno strumento che ormai era dato per morto. Bravo Padre Alessandro!
E con questo vi saluto augurandovi una buona giornata!

martedì 26 aprile 2011

In attesa di un nuovo articolo

Cari Lettori, debbo confessare che stasera non ho voglia di scrivere, però sono così buono che voglio dare l'anteprima del prossimo articolo: l'organo Ciabatti della SS. Annunziata di Firenze. Sarò polemico, ma è questo il mio stile.
Un sincero ringraziamento a mia madre che, ammonendomi di non sputar troppo veleno sull'organo suddetto perché "è l'organo dell'Annunziata!", mi ha suggerito un bello spunto di riflessione.

Alla prossima! [spero a breve]

sabato 2 aprile 2011

Concerto d'Organo

Cari lettori, oggi voglio celebrare me stesso. Penso di meritarmelo: ho lottato contro tutto e tutti -persino con la mia famiglia, ECCEZION FATTA PER MIA MADRE- per entrare in conservatorio; e ora che ho partecipato a un concerto della classe di Organo e composizione organistica mi sento al settimo cielo. Chi l'avrebbe mai detto qualche mese fa!

Il video -di bassa qualità, perché amatoriale- che allego offre il momento in cui sono io a esibirmi con il Chorale-Prelude BWV 639 "Ich ruf zu dir, herr Jesu Christ". L'organo su cui ho suonato è a dir poco orrendo, opera di un rimaneggiamento di Paolo Ciabatti del 2002: l'organaro, infatti, ha pensato bene di mettere insieme capra e cavoli poiché ha unito un organo ceciliano -Carlo Vegezzi Bossi 1911 già in loco- con uno di sua fabbricazione more antiquo -organo positivo per coro, opera del Ciabatti, sempre del 2002- peraltro collocato in maniera orribile (il Vegezzi Bossi si trova sotto la cupola, dietro l'altare maggiore, il Ciabatti in una cappella della stessa cupola: uno squilibrio fonico evidente anche a un sordo!).
Le soluzioni per l'esecuzione erano due: o fare tutto sul Vegezzi Bossi o differenziare le parti del corale con l'impiego dei due organi.
In sede di prova abbiamo notato che se, da un lato, l'esecuzione sul solo Vegezzi Bossi risultava migliore per uniformità di suono, dalla'altro lato, pareva piuttosto scadente proprio per la qualità fonica dello strumento -concepito non per essere autonomo, ma solo per accompagnare. Abbiamo quindi optato per la scelta più azzardata, il pastiche organistico.
Devo dire che, per quanto fosse evidente lo squilibrio delle parti -privilegio del canto sul basso- tuttavia è stato meglio così: questo tipo di corale muove al canto per sua natura e non sentire la parte alta del brano sarebbe stato un delitto.

Allego qui un link per chi volesse farsi una cultura sugli organi della Basilica della SS. Annunziata di Firenze (il luogo del concerto).

Buona visione e buon ascolto!

martedì 15 marzo 2011

Una modesta proposta

Sulla scorta di quanto leggevo a giro nella rete (ebbene sì, purtroppo mi sono imbattuto in un articoletto/accio di Mons. Parisi, Sua Musicalità Pontificia) mi son venute in mente un po' di idee. Provo ora a buttarne giù qualcuna.
Anzitutto il prelato si dispiaceva che allo stato attuale non ci sia chiarezza sul repertorio di canti all'interno della liturgia. Prima del Concilio VII tutto era più chiaro -lo afferma lui!- e i canti, per quanto diversi nella melodia, conservavano un'unità di testo comprensibile ovunque giacché la Chiesa usava il latino come lingua universale.
Ora che viviamo l'epoca della Babele liturgico-musicale le cose non possono più tornare se ci basiamo sui tempi andati (andati, ma tanto ritornano). E così han goduto qualche decennio fa nello smantellare l'intero patrimonio musicale cattolico, forgiato dalle mani della fede e dell'abilità di numerosi uomini.
I sapientoni sperimentalisti dello "spirito del concilio" -forse facevano riferimento a quello spirito che si eran bevuti per dire certe corbellerie- si son ammanettati con le loro stesse mani; nello sforzo di buttare giù a colpi di bulldozer e dinamite qualsiasi cosa fosse nata prima del Concilio si son dimenticati di tener fede alla grande volontà che li animava: far nascere, dal concilio stesso, una Chiesa che potesse accogliere (o essere accolta?) dai "fratelli separati" -alias, i riformati/protestanti. Ebbene, i mononeurofori hanno detto una cosa e ne hanno fatta un'altra.
Ok, i protestanti sono dottrinalmente eretici, però non sono stupidi! E' dal '500 che sfornano bella e sana musica cristiana protestante. Loro si son fatti una traduzione, l'hanno tenuta fissa per un bel po' e sopra ci hanno fatto dei signori canti. Diciamo che hanno tradotto l'idea della Chiesa -tridentina- di avere stessi inni con melodie variabili. Noi però siamo più fichi dei cari "fratelli separati", noi "lo famo strano": non abbiamo più gli inni, abbiamo canzonette da asilo nido con melodie deficienti e peraltro variabili. A noi piace assai che la gente non sappia cantare un'acca se cambia parrocchia, perchè, in fin dei conti, il chitarrista/menestrello di turno (poveraccio, il più delle volte è vittima del cattivo gusto del prete) se la riadatta, cambia il ritmo, salta strofe...
In attesa che ritorni il Papa Re con tutta la Corte Pontificia (ah, i bei vecchi tempi!) facciamo una cosa sana: guardiamo chi ha fatto le rivoluzioni prima di noi. I fratelloni protestanti avranno fatto anche loro qualche cavolata di melodia, ma hanno un vantaggio di cinquecento anni rispetto a noi in fatto di distruzione e ricostruzione di un patrimonio. Loro hanno ricostruito, noi abbiamo tirato su baracche giusto per passare la notte (metafora tutta da inserire in contesto musicale, ma se volete anche no!). Non serve tradurre i corali di Bach perché:
1) nonno Giovan Sebastiano non se lo merita, aveva composto in tedesco e la melodia che gli è nata è frutto dell'influenza di quelle precise parole tedesche che ritroviamo nei suoi lavori;
2) i nostri traduttori fanno schifo, lo sanno e quindi riadattano i testi (sfido a dire il contrario, guardatevi come caspita hanno "tradotto" a maiali Adeste, fideles).

Quindi, propongo che nell'interregno, in questa fase di mortorio liturgico-spirituale, i più dotati compositori tornino a scrivere accordandosi su un unico testo. Sarebbe l'ora che la CEI facesse il suo lavoro: proporre una versione ufficiale della Bibbia duratura (c'è già, lo so, ma voi siete così sicuri che fra dieci anni non la riaggiornino?), dire chiaramente che la direzione musical-liturgica deve essere quella sopraddetta e non rompere le tasche mettendo nel mezzo qualche religioso che conosce le note ("perché lui conosce la musica, eh già!"); i religiosi italiani competenti in fatto di musica si contano su una mano e quelli che non siano imbevuti dagli ideali dello "spirito del concilio" (il mitico Poltergeist) forse saranno in vita ancora per pochi anni.

Un esempio di cosa fatta bene:



Una cosa orribile (fatta intorno a un fuoco no, ma in chiesa sì):


N.B.
Non so come mai quest'articolo era sparito dal blog, per cui il link a Pronti. Via! non si apriva. Ho deciso di non intervenire su quanto scritto: quel che ho detto, ho detto.



sabato 5 febbraio 2011

Circa i clavicembalisti all'organo

Con questo articoletto, vorrei esporre i motivi che mi convincono ad eseguire certa musica da clavicembalo sull'organo. Anzitutto, è doverosa una premessa: è chiaro che questo genere di musica non sia in primo luogo sacra e, dunque, è anche chiaro che i momenti per tali "incursioni" clavicembalistiche cadano negli spazi già indicati precedentemente (leggasi il penultimo articolo).
E' innegabile. però, che certi componimenti siano veramente "belli", nel senso che sono capaci dare molto malgrado la diversità dell'occasione dell'esecuzione e dello strumento per cui sono state scritte. Il periodo aureo barocco, quello di Bach e Zipoli, vede una continua osmosi fra organo e clavicembalo: quasi identica è la tecnica per ambedue e l'andamento di certi brani.

Oltre a ciò, dobbiamo anche fare un'altra considerazione, un po' più terra-terra. Sappiamo bene che il clavicembalo necessita di esecuzioni veloci/sostenute e che l'organo, per converso, sa esprimere meglio la propria grandezza su velocità più moderate. Ma non è detto che l'organo non possa sostenere certe velocità (basti pensare alla "Toccata e fuga in re minore" di Bach). Allora, come fare a coniugare questi due aspetti all'insegna del momento liturgico cui facciamo sempre riferimento? Semplicemente "mettendo il pepe"(ossia la velocità) nei momenti d'inizio e di fine, quando c'è il confine fra tempo mondano e tempo liturgico. Lì tutto va bene, altrimenti tutto diventa un po' complicato. Certo è complicato per chi si trova a suonare all'interno di una celebrazione ordinaria (detta Novus Ordo), dove il momento dell'organo solista è limitato. Non è così per chi, invece, partecipa ad una celebrazione liturgica straordinaria (detta Vetus Ordo), dove completamente diverso è l'assetto musicale.

Non ultimo è il fatto che a strumenti diversi corrispondano generi diversi. Tuttavia, ripeto, certe volte possiamo scambiare gli strumenti, consapevoli, certamente, di re-interpretare un pezzo e quindi accettando anche le critiche del caso.

Organo e gregoriano: licet?

Da un po' di tempo medito su una vexata quaestio (questione complessa e controversa): l'accompagnamento organistico del gregoriano.
Anzitutto debbo fare una piccola digressione: il canto gregoriano è necessario e doveroso all'interno delle celebrazioni cattoliche. Tanti archeologi liturgici, che hanno amputato qui e là la liturgia cattolica tridentina in nome di una fantomatica purezza originaria, non si sono resi conto che il gregoriano è stato il primo canto dei Padri della Chiesa. Non si sono resi conto che il gregoriano è fratello dei canti bizantini che si riallacciano alla tradizione orientale. Non si sono resi conto che i canti orientali attali sono così vicini al gregoriano perché queste due tipologie sono imparentate (diciamocelo: non si sono resi conto di una beata mazza!).
Ebbene, stando così le cose, l'organista liturgico deve necessariamente scontrarsi con questo annoso problema dell'accompagnamento al gregoriano.
Chiariamo subito che il gregoriano puro e filologico va contro le basilari nozioni musicali del musicista moderno (p.e. non ha un tempo fisso rispettato, tutto si basa sulla metrica delle parole) e quindi dovrebbe essere impossibile accompagnarlo. Tuttavia, già da tempo il gregoriano viene scritto nelle chiavi moderne, con la notazione moderna (note e tempo) e così cresce la nostra tentazione di accompagnarlo.
Questo, allora, è quello che penso:
1) in presenza di religiosi o laici capaci (=che sappiano cantare) in sufficiente numero da poter dividersi in due voci - una per il solista e una per il responsorio- non si deve assolutamente accompagnare;
2) in presenza di religiosi o laici capaci (=che sappiano cantare) in numero scarso, far fare la voce del solista ai competenti e accompagnare una guida che diriga l'assemblea nei responsori;
3) durante le messe molto affollate, però, pur essendo presenti cantori capaci, è bene però accompagnare i responsori, perché la maggior parte dell'assemblea non li conosce e/o non sa cantare;
4) in presenza di religiosi o laici incapaci (=che non sappiano cantare) accompagnare sempre, ma con leggerezza, con registri dolci, tali da costituire una voce sussurrata che sia in grado di suggerire ma non di primeggiare.

N.B. La purezza del gregoriano primitivo non potrà mai più essere raggiunta. Chi cantava nei primi secoli dell'era cristiana aveva in mente una cultura musicale vicina a quella del modus gregoriano, perciò aveva una naturalezza d'esecuzione che noi, influenzati da secoli di storia musicale, non potremo mai più avere.
Se qualcuno la pensa di versamente accetto critiche...

lunedì 3 gennaio 2011

Quando l'emergenza diventa cosa di tutti i giorni

Salve a tutti! E' da molto tempo che non scrivo sul blog perché mi sembrava di non aver argomenti interessanti da esporre; poi, finalmente ho capito che, per quanto noiosa e strettamente personale possa risultare, la mia esperienza può essere un valido argomento.
Già avevo parlato di  Emendamento d'Emergenza e avevo anche spiegato il limite dello stato di necessità. Tuttavia, ho potuto vedere coi miei occhi che alle volte non c'è assolutamente limite!
Mi spiegherò meglio: quando scrissi il post, ero nella situazione lì descritta, eppure pensavo che le cose sarebbero cambiate; invece non è accaduto. Anzi, per un certo periodo sono stato costretto a dover rimettere nelle mani del parroco il mio incarico. Il problema non stava (potrei però usare anche il presente) in chi suonava, ma in chi avrebbe dovuto cantare: non c'era mai nessuno disponibile a farlo! Ebbene, ora qualcosa si è smosso, però i frutti li vedrò molto, molto più in là nel tempo. Tutto questo parrebbe deviare dall'argomento proprio di questo post, ma non è così, poiché sono ancora nell'emergenza: infatti, ho abolito l'accompagnamento ai canti a tempo indeterminato a causa dell'assenza di un coro e, pertanto, ho dovuto accompagnare con brani autonomi parti della Liturgia che prima erano sostenute dal canto. Debbo dire che si è aggiunto il fatto che ho cominciato a studiare al Conservatorio, che "mangia" moltissimo tempo.
Ho cercato, allora, di poter inserire i pochissimi pezzi che sto studiando per il mio maestro all'interno della Messa. All'Offertorio ora eseguo "Ich ruff zu dirr, Herr Jesu Christ" di J.B.Bach (bellissimo!) e alla Comunione -ma solo quando l'assemblea non è numerosa- il "Preambolo" n1 dei "24 pezzi in stile libero" di Vierne.
Cos'è, allora, quello che voglio dire? Che non esistono limiti all'emergenza; tutto può andare anche peggio di com'è ora. Gli organisti, anche quelli della domenica, che lo fanno per pura passione e dedizione, non si abbattano! Se anche non facciamo tutto quello che dovremmo fare, ricordiamo però che stiamo facendo, che stiamo già rendendo un servizio a Dio e agli uomini quando ci sediamo e cominciamo a suonare. La qualità verrà col tempo.
Certo, e qui concludo, qualsiasi cosa, per quanto poca e semplice possa essere, deve subito esser fatta ottimamente, altrimenti è meglio non suonare. Il mio motto è "poco ma fatto bene". Il "tanto e fatto alla carlona" lasciamolo a chi vuol apparire.

Allego qui i pezzi che ho citato:
e poi: