"Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua."(Mt XVI, 24).
Questo dovrebbe essere il motto di ogni cristiano, certo è che -allo stato attuale dell'arte- trattasi del motto d'ogni organista, un'indelebile frase scritta nelle carni da umiliazioni continue e, sembra, infinite.
Anzitutto bisogna fare una premessa: chi suona l'organo in chiesa non è necessariamente organista. E non lo dico con tono sprezzante di chi studia per diventarlo. Penso, infatti, che quello che distingue un organista (musicista) da un pesta-tasti sia un solo fattore: il quid artistico.
Cos'è il quid artistico? E' la capacità di sentire la musica, di percepire un estro artistico che non sia fine a sé stesso (la vera arte serve gli altri: quando serve chi la "crea" ci troviamo dinanzi a una sega, una masturbazione, d'artista e nulla di più). Se uno ha questo quid va in tasca a tutti e riesce pure laddove non abbia una cultura musicale, con grande fatica, ma ci riuscirà.
Quando ci troviamo dinanzi a queste persone, bisogna inchinarci e render omaggio.
La realtà vuole, ahinoi, che il quid sia oggetto di soventi ricerche presso Chi l'ha visto? (il noto programma televisivo) dacché è piuttosto refrattario nel palesarsi.
Laddove manchi il suddetto quid interviene il fattore culturale a farla da padrone. E finché quest'ultimo sia ancora ben conservato, la mancanza di un artista non si avverte come pressante questione da affrontare. Un buon pesta-tasti è quello che ha una buona cultura musicale.
Ma quando manca pure la cultura musicale? Lino Banfi direbbe che sono "uccelli per diabetici" (la metafora è ovvia). Si dà il caso che la temperie culturale che si respira nella maggior parte delle sagrestie italiche sia questa. Il male è che a dar man forte all'ignoranza vengano l'arroganza e la saccenteria. Un ignorante saccente e ignorante è la peggior cosa (il suo stato di abbrutimento mentale gli fa percorrere a ritroso la catena dell'evoluzione fino a portarlo allo stato di composto chimico e stop) che un organista possa trovare. E visto che certi seminari hanno sfornato questo tipo di figure...beh, c'è da mettersi le mani nei capelli.
Le soluzioni al problema sono due: o fuggire o rimanere. Tertium non datur.
Queste persone, in realtà, sono da compatire. Non riescono a contemplare il Bello (attributo di Dio) perché si sono fatti un idolo e se lo sono messo davanti agli occhi, un idolo chiamato ora "spirito del concilio" ora "segno dei tempo". Non sentirete mai, da queste persone, una frase come "ho sbagliato" o "potremmo fare diversamente". No, nella migliore ottica di diplomazia curiale, non si può mai sottolineare discontinuità col passato, altrimenti sarebbe sottintesto che alcune scelte sono state clamorosamente toppate.
Confesso che la via della fuga è quella più rilassante, più "giusta" verso di noi. Ma se noi ce ne andiamo, chi crescerà le nuove generazioni? che possibilità reali di cambiamento ci sono? Punte, o forse quasi nessuna. Se noi, invece, lottiamo e ingoiamo bocconi amari come il fiele possiamo sempre sperare di far migliorare la situazione a passi piccolissimi ma inevitabili.
Il Creatore ripagherà noi poiché ci saremo così presi cura del suo gregge che, per amor di questo, non ce ne verrà altro che patimenti e dolori e, al contempo, saprà debitamente (lo spero vivamente) ripagare degnamente chi s'è creato l'idolo (le proprie irrinunciabili convinzioni personali) e se l'è messo innanzi agli occhi.
Essere santi combattenti (e non combattenti santi) sia l'imperativo di ciascun organista maltrattato, di ciascun direttore di coro cui tarpano le ali, di ciascun musicista che GRATIS spende del tempo e non ne ricava altro che malumore.
Piccola postilla conclusiva.
Alcuni miei amici mi hanno dato un consiglio prezioso: non poter fare qualcosa non deve precludervi dal non saperlo. Se al vostro parroco non va che suoniate, per esempio, Symbolum '77 ciò non vuol dire che voi non lo sappiate. Mai regolare il proprio repertorio in base all'hic et nunc. I preti, e meno male, passano, è il popolo che resta (e si spera pure noi e il nostro ricordo, e cioè pure cosa abbiamo insegnato).
Forza, dobbiamo resistere. Passerà tutto questo.
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