lunedì 2 luglio 2012

L'assurda mutazione genetica dell'Offertorio

E' da tempo che, ogniqualvolta devo scegliere un Offertorio, mi si para di fronte un dilemma: la diversità tra Offertorio pre- e Offertorio post-conciliare affonda le sue radici in qualche profonda e degnissima ragione teologica o è dovuta al fattore "idiozia umana"?
Ho controllato in Sacrosanctum Concilium e in Musicam Sacram. Sembra proprio che, ancora una volta, ci troviamo dinanzi a un monstrum partorito da un'interpretazione fantasiosa dei dettami conciliari.

Qual è, dunque, questa differenza suddetta? L'innegabile tristezza/mestizia dell'Offertorio attuale. Al 90%, infatti, vengon intonati canti dal sapore triste o quuantomeno palloso.
Eppure il momento non è tale,anzi.
L'Offertorio è tout court la cosiddetta "Preparazione dei doni", ossia "all'inizio della Liturgia eucaristica si portano all'altare i doni, che diventeranno il Corpo e il Sangue di Cristo." (OGMR n. 73). come si può, dunque, esser tristi o mesti dinanzi all'offerta? bah, io non lo so.E infatti, se prendete un qualsiasi offertorio pre-conciliare, la gioia che esso sprizza è manifesta pure ai sordi: talvolta c'è così tanto brio che è persino imbarazzante.

Due esempi.


un classico per ogni organista italiano; la gioia che sprizza è misurata e pacata, ma comunque ben percepibile sin dalla battuta d'inizio;


Non fa piangere, ok. Ma l'incipit è tristissimo e l'andamento è mesto. C'è tutto fuorché gioia. Specie nelle versioni parrocchiali.

Parlano tanto di esser gioiosi, ma quando si tratta di esserlo per davvero sono così rincoglioniti da non capirlo. 

Prima sfida dell'organista liturgico: eliminare la tristezza dall'Offertorio. Non garantisco il paradiso, ma la coerenza liturgica sì.

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