domenica 6 giugno 2010

Breve storia del "Movimento ceciliano"

Vorrei cominciare questo breve excursus storico facendo un brevissimo preambolo. Il contenuto qui fornito sarà a carattere più divulgatico che scientifico, per due motivi: anzitutto non è la sede adatta per dilungargi in chiacchiere da tecnici (questo blog vuol volare basso ma lontano!),poi non possiedo, lo ammetto, la conoscenza che può avere uno storico della musica. Pertanto, qualsiasi aggiunta, correzione, suggerimento per meglio chiarire certi passaggi son ben accetti!

Il "movimento cecicilano" viene spesso definito anche come "rivoluzione ceciliana": perché? Semplicemente, perché dopo il suo avvento niente sarà più lo stesso nel panorama musicale della Chiesa cattolica. Oso: nel movimento già si avvertono certe tendenze che approderanno alla volontà riformatrice del Concilio Vaticano II, come, ad esempio, la spinta al coinvolgimento dei fedeli all'interno della liturgia, il ritorno "alle origini" [che, a differenza del Concilio, non si trasformò in archeologismo] etc. Il movimento voleva che nelle celebrazioni avessero nuovo spazio e splendore il canto gregoriano e la polifonia rinascimentale, ormai assenti dalla scena da ben quasi due secoli (il movimento nasce a cavallo tra '8-'900), due secoli diventati dominio assoluto della musica operistica.

Vorrei fare un passo indietro. La musica operistica, mi sia consentito il paragone, era la nostra musica pop/rock: era l'invenzione del secolo XVII, forse una di quelle più amate. Per rinnovare il repertorio, per attirare su di loro la attenzioni e la fama, gli organisti del tempo, spinti per certo dalla volontà di coinvolgere maggiormente i fedeli, si attivarono subito per introdurre sempre di più la musica operistica all'interno delle celebrazioni liturgiche. E dietro ad essi vennero gli organari: per questo troviamo registri "da concerto" negli organi ottocenteschi.

Naturalmente una situazione di tal genere rischiava di degenerare nella copiatura spiccicata delle musiche delle opere o di quelle da ballo [entrambe figlie dei medesimi genitori], e infatti così avvenne. Riporto quanto dice Marco Ruggeri sul periodo "operistico" della musica organistica (vedi www.organisti.it):"Oppure, peggio (perché non in concerto, ma all’interno di una Messa), ecco quel che succedeva nel 1889 in una ordinaria funzione domenicale a Venezia nella chiesa di S. Cassiano, ove lo stile e le forme bandistiche avevano veramente invaso il tempio cristiano:

…l'organista, «quantunque mostrasse agilità e pratica, avea scambiato l'organo per un pianoforte, e la chiesa per una sala da ballo. Al Vangelo: Polka, all'Offertorio: Marcia ed assolo di ottavino, all'Elevazione: Marcia funebre o trionfale con tromboncino obbligato, alla Comunione: Polka, quasi Galoppo»
".

Se, dunque, la Chiesa si era piegata ai dettami della moda messi in musica dall'organista sino al calare del secolo XVIII, oramai il clero di più alta caratura intellettuale avverte la sostanziale estraneità di tale prassi organistico-musicale col senso della liturgia cattolica. Ed insieme al clero se ne rende conto tutto quel gruppo di organisti che praticava la musica sacra con impegno e studio critico ( e devozione?). Basterà qui ricordare, per riassumere il movimento ceciliano, i nomi di Tebaldini, Perosi e Papa Pio X.

In risposta al disagio e al cattivo gusto causato dalla musica sacra nei fautori del movimento, essi proposero il ritorno al gregoriano e alla polifonia rinascimentale, con il conseguente "scadimento" di ruolo dell'organo. Lo strumento musicale non sarebbe più risultato il protagonista della liturgia, avrebbe solo accompagnato il tutto e, anche quando avrebbe dovuto suonare senza il canto di accompagnamento, pure allora avrebbe dovuto non pavoneggiarsi. Da tutto questo risultava inutile (e pericolosamente tentatrice) la numerosa serie di registri da concerto, ormai diffusi quasi su ogni strumento di rilievo.

Al grido di aiuto, pertanto, gli organari risposero prontamente. I nuovi strumenti non avevano più la "banda turca" od i "campanelli", niente di tutto ciò! Ora era tempo dei fondi e dei registri violeggianti. In aggiunta a ciò, come ottimamente dice Marco Ruggeri, si andò affermando il concetto di produzione in serie, di fabbrica d'organi, in sostituzione all'idea dell'organo quale opera unica frutto delle botteghe artigiane. E questa modernità si fa largo a colpi di machete nella selva degli organi italiani. Strumenti pregiati sia del passato (Tardo rinascimento e barocco) sia del tempo moderno (secolo XiX) venivano distrutti, subivano il cambiamento di meccanica ( da manuale a pneumatica o elettrica), subivano la cancellazione di intere file di registri, subivano la sostituzione delle canne con alcune nuove fatte di leghe differenti. Pochi strumenti si salvarono. Sì, dico si salvarono, perchè una diversa prassi musicale poteva prender le mosse dalle esecuzioni degli organisti e non dalle profonde alterazioni inflitte agli strumenti da parte degli organari. Organari che in questo periodo, se cavalcarono l'onda della riforma, divennero celeberrimi, come Tamburini, Mascioni e Vegezzi Bossi.

Come farà ogni movimento nel secolo XX, così quello ceciliano si darà un "manifesto": il Motu Proprio "Tra le sollicetudini" di Pio X. Certamente, chiamare manifesto questo documento è un po' azzardato, un po' anacronistico (il primo vero manifesto, quello del futurismo, è del '14, mentre il documento in questione è del 1903) ma ben rende l'idea di carta costitutiva di una linea teorico-musicale. Invero, bisogna altresì riconoscere che le idee avevano gà del tempo alle loro spalle e, pertanto, il Motu proprio ha una singolare natura: carta costitutiva del movimento ceciliano e sua sintesi finale. La nascita e la maturazione al medesimo momento.

Abbimo, infine, già visto gli effetti della mentalità ottocentesca sottesa al suddetto Motu proprio: il passato non ha ragion sufficiente, tutto viene modificato in base ai nuovi dettami liturgico-musicali, ed anche splendide opere (addirittura rinascimentali) vengono sventrate (il verbo non è casuale: tra '8-'900 assistiamo ai grandi sventramenti architettonici delle maggiori città europee).

Ne conseguì che poco patrimonio storico si salvò e che la "caccia alle streghe" -gli organi non ceciliani- produsse, a lungo andare una reazione di rigetto da parte degli organisti. Se, infatti, la riforma avrebbe potuto essere attuata in maniera più morbida (infatti, avrebbe potuto cambiare solo il repertorio degli organisti, senza la manomissione degli strumenti già esistenti), questo non avvenne forse per scarsa empatia fra organisti e riformatori. Non dimentichiamo, poi, un fattore importante: nel nostro angolo di mondo l'organo è quasi esclusivamente strumento liturgico, mentre nei paesi del Nord è anche profano (ometto volontariamente l'esperienza dell'organo suonato ai banchetti od alle feste dell'alta aristocrazia per la scarsa incisività che ebbero tali esecuzioni all'interno del panorama musicale). Pertanto, era logico che l'estro cretivo dell'organista avesse le ali tarpate all'interno della sola liturgia e che avesse tentato di spiccare il volo rivolgendosi alla musica mondana. Vorrei, quindi, osare dedurre una conseguenza di questo movimento ceciliano: che fra musica sacra e profana è doverosa la differna e che è altrettanto doveroso che si diffonda, per evitare strane contaminazioni, anche un uso extr-liturgico dell'organo. Se, infatti, lo strumento viene già sfruttato per musica di piacere e il pubblico ne trae godimento, allora l'assemblea dei fedeli riuniti a messa non potrà pretendere un uso para-liturgico dello strumento!

Quando, pertanto, nasce il disagio di alcuni dinanzi all'ottusità di certe manomissioni, necessariamente l'aria che tira è cambiata. Nel '39 già in Italia si ha la legge sul vincolo normativo per i beni storico-artistici: la carneficina d'organi era ora assai frenata. E in questi anni ('20-'30) assistiamo alla nascita del cosiddetto "movimento organistico", un filone di pensiero che mirava al resturo più filologico possibile degli strumenti storici.

Queste poche righe vogliono essere un breve excursus storico per meglio capire l'azione del movimento ceciliano, sulla cui portata ed attualità bisognerà ancora parlare. La storia, di per sé, non risponde a certi interrogativi.

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