lunedì 14 giugno 2010

Considerazioni sul "Movimento ceciliano"

L'articolo sul movimento di rinnovamento musicale all'interno della liturgia vuol essere la spiegazione del retroterra culturale da cui prendeva le mosse la stesura della "Sacrosanctum concilium". Certo è che, se attualmente sono in vigore le norme di questa costituzione concialiare, bisogna pertanto conoscere il movimento suddetto. Tale situazione sarebbe necessaria qualora vi fosse un serio interessamento alla musica sacra all'interno della liturgia, ma così non è.
Infatti, l'aria nuova che veniva dal Concilio è sempre stata interpretata non come un dolce venticello che porta sollievo nella calura, ma come un vento di tempesta che dovesse spazzare tutto quanto gli si parasse contro (vale a dire il patrimonio tradizionale). Di conseguenza, gli organi sono stati o dismessi/venduti o trascurati, mentre altri strumenti più "giovanili", come chitarre, bonghi e tamburelli, hanno avuto campo libero.

Vorrei, anzitutto, soffermarmi su un dettaglio spesso trascurato. I sacerdoti, per divenire tali, entrano in seminario. I laici impegnati nella vita parrocchiale rarissimamente sono preparati in modo serio. Fra questi rientrano i "musicisti". Se la liturgia, allora, è cosa seria, se il sacerdozio è, alla luce delle moderne esegesi, cosa di tutti i fedeli perché è nel battesimo, perché allora non ha spazio una seria formazione dei laici? Perché tutto è affidato alla cialtroneria?

Come ci insegna il movimento, grande preparazione sta alla base di tutto. Il gregoriano e la polifonia rinascimentale sono fulgidi esempi da grandi stagioni musicali, e la seconda è quantomai frutto di seria applicazione. IL movimento ci insegna che la semplicità non è in quello che si esegue ma nel modo in cui si esegue. Le deboli armonie dei nostri giorni molto spesso sono accorpate a tempi che le rendono ineseguibili per un'assemblea che non le abbia mai sentito, cosa che non accade con il gregoriano, per esempio: l'ascoltatore fin dalle prime note indovinerà l'andatura del brano e, tranne qualche piccolo errore, non sbaglierà così spesso come nei pezzi di musica moderna.

E se non bastasse tutto questo (parlo per esperienza, in attesa di trovare qualche fonte scritta che confermi le mie impressioni) si aggiunga il fatto che la nostra musica sacra è di bassa, bassissima qualità. E lo dicono illustri musicisti e grandi direttori d'orchestra. Un tempo si occupava di musica chi ne sapeva, pure fra i religiosi, ora, purtroppo, chi ha vissuto la stagione delle schitarrate di gioventù all'ombra di un concilio...

Certo, i semi del CVII devono vedersi nella chiara volontà di maggior partecipazione da parte dei fedeli e dei laici all'interno della liturgia, ma questo non è di nostra competenza. Questa scelta, peraltro, ha determinato la perdita del primato conferito all'organo, ormai "incalzato" dalle corali. Lo strumento allora diviene sempre di più d'accompagnamento e non "principe" della liturgia.

In base a ciò, quindi, dobbiamo riflettere noi moderni. La costituzione di un genere di musica sacra è finalità lampante che emerge dai documenti presentati a suo tempo su questo blog: ne deriva che la maggior parte della nostra musica "sacra" è totalmente da rifiutare, perché esula da quelle caratteristiche che la renderebbero tale. Finché continueremo sulla vecchia strada, non faremo altro che musica, nulla di più.
In primo luogo, per evitare in avvenire i problemi che noi ora dobbiamo affrontare, sarebbe opportuno metter per iscritto le caratteristiche tecniche che debbono avere gli strumenti da musica sacra, certo facendo riferimenti legati non al contingente, altrimenti nel futuro avremo un canone di strumenti (cosa che condannerebbe i suddetti a morte certa, poichè vincolati solo all'ambito liturgico); bisognerebbe stilare una lista di caratteristiche (come il divieto di strumenti elettrici o a corde) tali da non richiedere un Azzeccagarbugli per esser comprese anche dal più sempliciotto.
In secondo luogo sarebbe cosa ottima che le diocesi prendessero l'incarico di formare gli organisti, cosa fatta in modo serio e da docenti preparati, non dal primo fraticello che accompagna il gregoriano alla tastiera elettrica. Dovrebbe esser un compito della diocesi poichè, all'inizio, gli organisti ben preparati potrebbero esser inferiori, logicamente, al numero delle parrocchie. Devo, però, a questo punto fare un passo indietro. Un organista a parrocchia significherebbe che tutti i sacerdoti sarebbero ben disposti a che fosse suonato questo benedettissimo organo, ma sappiamo bene dalla realtà che non è così. E', dunque, compito del vescovo che si attui questa riforma musicale, che oserei appellare "Neo-ceciliana". Gli abusi sono troppi e solo l'autorità può metter fine alla grande anarchia.
In terzo luogo, sarebbe opportuno che ottimi docenti di materie musicali potessero insegnare nei seminari che , negli stessi, l'aspetto musicale della liturgia non fosse considerato come mero apparato ma parte integrante di un complesso liturgico. Solo quando i singoli sacerdoti potranno gustare la bellezza di una vera musica sacra (che non obbliga all'utilizzo del solo organo) allora potremmo assistere alla tanto attesa riforma "neoceciliana". L'educazione al bello non è indottrinamento, ma compito del docente. "Non è bello ciò che bello, ma è bello ciò che piace": così recita l'adagio popolare, ma non dice che, per questo, chi ha le possibilità non deve conoscere le motivazioni per cui una tal cosa è considerata bella. Quando sarà stato colto il concetto dietro le cose, allora ci sarà una seria riflessione.

Questi soli tre punti, ne sono convinto, potrebbero riuscire a cambiare grandemente le cose, e certamente la liturgia cattolica ne riacquisterebbe di pregio, quel pregio che ormai sembra sempre più scadere verso il basso.

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