Non pensavo, confesso, che la fama potesse esser dannosa, almeno fino a quando mi fu sconsigliato di eseguire il preludio al Te Deum di Charpentier, perché la gente avrebbe potuto pensare alla sigla dell'eurovisione della Rai. Di questo passo, pensai, nemmeno gli accordi saranno più permessi, ché la pubblicità ormai regna sovrana.
Per certo, l'obiezione coglieva nel segno: il limite della fama per la musica da chiesa. Quello che però non condivido è l'adeguamento: se domani il "Christus vincit" diventasse la sigla del TG1, forse che noi non dovremmo più suonarlo? Penso proprio di no. Il caso, poi, di Charpentier e del suo preludio è singolare: il brano è tratto dal "Te Deum", un inno religioso prestato alla televisione; il più delle volte, invece, sentiamo melodie celebri entrare all'interno della liturgia quando nulla hanno a che fare con essa, ma la loro esecuzione è frutto di quella stessa fama che esclude lo Charpentier. Siamo di fronte ad un bivio: alcuni entrano e altri escono solo perché hanno lo "sculo" d'un certo tipo di pubblicità? Se il bivio è questo, direi di tornare indietro e provare a ripercorrere la strada. A mio modo di vedere, quando si oltrepassa la soglia d'una chiesa siamo in un luogo nel mondo e fuori del mondo, in cui vigono regole e tradizioni che possono non aver niente a che fare con quello che c'è al di là del portone d'ingresso.
Tanti sono i brani utilizzati dal mondo della televisione per promuovere prodotti commerciali o televisivi. Tuttavia non dobbiamo dimenticarci che i brani vengon utilizzati e non composti per la televisione: ne consegue che la finalità del pezzo rimane inalterata, malgrado il secondario uso.
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