Dopo attenta riflessione, mi son deciso a cominciare una serie di post intitolata "Catechesi musicale", dove tenterò di spiegare quel che dice la Chiesa e quel che pensa il sottoscritto circa la musica all'interno della liturgia. Perché "catechesi" e non un altro titolo? Perché, malgrado abbia intenzione di inserire alcune mie personali idee, mi sono accorto che spesso le persone si fanno un'idea della musica sacra basata su pareri personali, talvolta risibili, e sulla mancanza di preparazione culturale (musicale, storica, religiosa) e dunque bisogna ripartire dalle basi, da un linguaggio veramente catechetico. Poiché mi sta a cuore (I care) fare chiarezza sulla materia e credo di avere competenze sufficienti da condividere, ho avvertito la stringente necessità di parlare, di comunicare, di aiutare gli altri a conoscere aspetti che sfuggono al grande pubblico; al contempo, c'è la necessità di non esprimersi come avvocati, ossia citando in continuazione documenti, articoli etc. (con buona pace della mia formazione accademica), dacché spesso un tale atteggiamento dai più è percepito come o manifestazione di spocchia o argomentazione noiosa e fumosa oppure come discorso malevolo, che costruisce una muraglia invalicabile di codicilli e latinorum per fregare gli altri: è tempo, pertanto, di usare un linguaggio "da omelia", cioè chiaro, semplice ma non insulso, di modo che tutti possano comprendere ciò che si dice in maniera chiara e limpida. Sta poi all'individuo liberamente scegliere che pensare.
Lutero era solito dire: "Non bisogna lasciare la bella musica al diavolo." Così egli esponeva la ragione per cui nella Chiesa Riformata trovava accoglimento la musica profana; a tutt'oggi, fra i riformati la frase è citata a fondamento delle loro scelte musicali.
L'eretico tedesco ha ragione nel non voler lasciare la bella musica al diavolo, tuttavia non dice quale sia la bella musica: è qui che crolla tutta la costruzione. Quante volte, infatti, abbiamo provato disgusto per una melodia che all'inizio ci pareva bella ma poi ci viene resa odiosa dall'ascoltarla più e più volte? Da dove nasce allora questa sorta di illusione? Perché ci pare che un certo pezzo sia bello per poi riscoprirlo, tempo dopo, orrendo o ridicolo? Tutto ciò avviene perché quella che ci si para davanti è sì bellezza, ma è effimera: dura poco, è fragile, deperisce presto.
Se, pertanto, come ricordano i liturgisti, la Messa è la proclamazione di lode del Signore da parte dell'assemblea dei fedeli riuniti del Suo nome e se questa "attua" la lode donando quanto ha di meglio (esattamente come quando viene a trovarci un caro amico o parente, noi lo riveriamo con quanto di meglio abbiamo), allora come possiamo fare un dono che deperisce subito?come possiamo proclamare una lode effimera, che nemmeno fa in tempo a raggiungere le orecchie del Padre ch'essa è già con le ali spezzate?
A meno di non considerare il Signore come un padre che deve subire l'egoismo dei figli e le loro scelte autoreferenziali, senza esser minimamente considerato per quel che è ma sempre e solo in funzione dei figli stessi, è evidente che così non può andare: a dircelo non è tanto la ragione, quanto il cuore.
Come fare, quindi, a distinguere la musica profana da quella sacra? Anzitutto dobbiamo partire dall'etimologia perché solo il significato autentico delle parole e la loro genesi possono chiarire quello che ormai può risultare un termine logoro, dal valore fumoso, come in questo caso la parola "profano". Etimologicamente parlando, "profano" vuol dire "[che sta] davanti al tempio": di conseguenza, la musica profana è quella che, pur essendo noi fisicamente nel tempio del Signore, spinge la nostra mente e il nostro cuore al di fuori di esso; di contro, "sacro" è ciò che tiene avvinti alla divinità. Se, allora, ne traiamo le estreme conseguenze, la lode al Padre viene inficiata, annullata, nel momento in cui mente e cuore, anziché esser rivolti a Lui, sono rivolti a qualcosa che sta fuori del tempio, ossia a qualcosa di profano.
Sorge, logicamente, una domanda: come deve esser scritta la musica sacra? Certamente non seguendo gli stili profani, e i motivi del "divieto" ormai li conosciamo bene. Però ci viene mossa sovente la madre delle obiezioni: questo tipo di musica è brutto, bisogna fare qualcosa che piaccia alla gente. Anzitutto dobbiamo chiarire che l'antico adagio "non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace" si conferma veritiero. Non potrà mai esistere, se non per casi eccezionali -e sappiamo che l'eccezione conferma la regola-, unanimità di consensi per le forme artistiche e la musica, che ne è una manifestazione, non esula da tutto ciò. Essendo, quindi, il bello/brutto e il piacere/dispiacere concetti soggettivi, ne consegue che fondare, per esempio, un repertorio parrocchiale solo su questi cardini è totalmente sbagliato; bisogna però aggiungere che siamo uomini e quindi siamo portati a semplificare la percezione del mondo che ci circonda e a porci sempre in primo piano, non mettendoci nei panni altrui, per cui il bello e il piacere ci seducono sempre.
A dire il vero questo dovrebbe essere un problema che coinvolge gli specialisti, ossia chi compone musica; chi si limita a suonare/cantare a Messa, magari privo di formazione sia musicale sia liturgica, dovrebbe seguire le norme e affidarsi ai canzonieri approvati dalle autorità ecclesiastiche. Purtroppo, però, vediamo o figure "non professionali" che ardiscono a giudicare forme e stili musicali, senza spesso conoscerle bene e fanno cantare all'assemblea cose assolutamente profane "perché piacciono" (sì, a loro) e di stampo giovanilistico (sulla cui musicalità "giovane" ci sarebbe molto da dire) o persone con una certa cultura che, per difesa e reazione, si arroccano su pozioni uguali e contrarie, ossia sulla scelta di due/tre autori, il cui unico pregio è l'esser morti. Come può esserci, allora, unione nel popolo dei fedeli se coloro che dovrebbero dare l'esempio si fanno la guerra? Come possono aver qualcosa da insegnare le persone di cultura se esse compiono i medesimi errori di quelli non acculturati?
Anzitutto, la divisione non va mai bene, ma bisogna valutare caso per caso; è, però, pure vero che lo scontro ha una sua ragion d'essere solo quando giuste sono le sue fondamenta, ossia l'applicazione di tutte quelle norme che regolano la presenza del canto nella liturgia e parlano di musica sacra. Se, da un lato, il dialogo deve esser sempre perseguito -e, con chi ragiona "di pancia", per meglio raggiunger l'obbiettivo di solito conviene non citare leggi e leggine, ma esporre il motivo a base delle leggi- è comunque fuor di dubbio che bisogna arrivare a un risultato, sennò quello che chiamiamo dialogo è in verità un prendersi in giro. Solo se la persona con cui si dialoga si dimostra intransigente, allora uno scontro potrebbe apparire giustificabile, ma che guadagneremmo? L'unica arma è la perseveranza oppure, se proprio siamo esasperati, andare via ma senza far rumore.
Fermiamoci brevemente su quest'ultima frase: andare via ma senza far rumore. Quante persone non vediamo più nella nostra parrocchia perché, a causa di dissidi, se ne sono andate? Quante se ne vanno sentendosi escluse poiché tutto viene scelto a piacimento di pochi? Come evitare di sbagliare anche noi? La Chiesa s'è rivelata assai saggia: parlando di musica sacra ha tagliato la testa al toro, ossia ha detto che in chiesa, per evitare le divisioni causate dai diversi gusti, si faccia solo un tipo di musica, che sia oggettivamente diversa da quella "mondana", e che come tale sia percepita. E' in questa diversità che spinge l'uomo a concentrarsi tutto su Dio che risiede l'autentica bellezza: solo quando tempo e spazio sembrano annullarsi poiché sostituiti dalla dimensione della lode al Padre (e non vogliamo far altro che stare tutti insieme lì a cantare, pieni di Spirito), allora siamo dinanzi a vera musica sacra, a vera musica bella Solo ricorrendo alla musica sacra, infatti, l'assemblea percepisce che in chiesa non c'è posto per i soggettivismi imperanti di alcuni, ma siamo tutti uniti; ovviamente poi la musica sacra non è tutta uguale, omogenea, dal momento che pure essa risente di stili e mode, ma queste -in tutta franchezza- son finezze che potranno esser acquisite col tempo e su cui, ora come ora, non vale la pena dilungarci.
In conclusione, chi ha compiti che hanno che vedere con la musica nella liturgia, deve anzitutto far uso di tre doti: umiltà, fiducia, pazienza. Umiltà verso chi, pur essendo di diverso parere, spende tempo per la chiesa (magari da più tempo) e verso chi prova a dare mano, malgrado i risultati; fiducia verso il Magistero e i repertori approvati dai vescovi (anche se non sono il massimo sono un buon inizio) poiché ambedue i termini non sono malevoli ma parlano per il bene dei fedeli; pazienza verso chi mette i bastoni fra le ruote e si oppone fortemente a quest'opera di restaurazione liturgica.
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