Carissimi Lettori, è da molto tempo che non scrivo. Agli inizi di ottobre mi sono ammalato di mononucleosi e, pur rimanendo in casa, non avevo né la forza né la voglia di scrivere perché tanto la situazione al Conservatorio Cherubini (vedi articolo del 4 ottobre) non era mutata. Poi, d'improvviso la luce.
Allora, dopo giorni e giorni, al Conservatorio ci (= ai dichiarati idonei all'iscrizione) dicono che possono partire le immatricolazioni, ma ad un prezzo: il cambiamento dal Vecchio Ordinamento ai fantomatici Corsi Preaccademici. Apriti cielo! Un putiferio: nel mio caso non sarebbe cambiato pressoché nulla, ma ad altre persone sarebbe accaduto di dover cambiare indirizzo dacché alcuni corsi venivano soppressi. La mia situazione "fortunata", però, non era tale da farmi dimenticare che avrei dovuto studiare 8 lunghi anni per avere un foglio di carta con la dicitura "corso preaccademico"; per fare un paragone, mi sembrava di studiare per la patente per poi avere il patentino. L'amaro in bocca rimaneva.
Poi, il miracolo: il Ministro (?) Gelmini non avrebbe firmato/approvato il nuovo regolamento dei conservatori. O meglio: dalle carte ufficiali scritte in burocratese, non si capisce se è stato il ministro o la conferenza dei direttori di conservatorio a non firmare il documento. Fatto sta che il Cherubini rischiava la paralisi della didattica (lo stop è arrivato a pochissimi giorni dall'avvio delle lezioni) e una mole di ricorsi, sicuramente favorevoli agli allievi gabbati. Il direttore, allora, il M. Paolo Biordi, si è deciso a tirare fuori la bacchetta magica e a fare un bell'incantesimo: magicamente tutti gli immatricolati nei corsi preaccademici sono passati NUOVAMENTE al Vecchio Ordinamento. Che gioia, che felicità! E' vero che dovrei studiare per 10 anni, ma è altrettanto vero che mi ritroverei un diploma, mica un cedolino volante che non è riconosciuto dallo Stato.
Concludo dicendo che bisogna vigilare: mi è stato garantito che le cose, per me non cambieranno, ossia a metà dell'anno, a nuovo regolamento approvato, non possono trasferirmi nei nuovi corsi preaccademici, tuttavia non mi fido; al Conservatorio capita di tutto!
Ringrazio Voi Lettori e i miei insegnanti: il M. Fusaroli (pianoforte), la pro.ssa Lo Paro (Teoria e Solfeggio) e il M. Vallini (Organo).
P.S. A breve tornerò con gli articoli culturali, purtroppo ora non posso perché sono oberato dai compiti sia del conservatorio sia dell'università. A presto!
venerdì 5 novembre 2010
martedì 5 ottobre 2010
Amaro sconforto
Dopo molto tempo di lontananza dal blog, finalmente mi sono deciso a buttar giù qualche parola; devo dire che mi costa tantissimo: non mi manca il tempo, ma la voglia. Ormai è da circa due settimane che, purtroppo, qualsiasi strumento a tastiera mi dà la nausea. Il motivo è che ormai, fino ad un qualche clamoroso evento, gli strumenti a tastiera mi ricordano una fase bruttissima della mia vita: l'ammissione al Conservatorio Cherubini di Firenze.
Per entrare in Conservatorio [spiego la pratica, ché tutti magari non la conoscono] bisogna anzitutto sostenere un'audizione. Se uno ha talento/culo, viene dichiarato "idoneo all'ammissione", ossia non è ancora entrato, ha un piede fuori ed uno dentro. Due (almeno sono quelli che ricordo) i requisiti per l'ammissione: l'età ed il punteggio.
Ebbene, nell'audizione per "Organo e composizione organistica" del Vecchio Ordinamento (poi spiego cosa sia 'sto maleficio) io ero/sono il più giovane e quello, fra gli idonei al primo anno, col punteggio più alto. Insomma, per una volta nella mia vita ho creduto di avercela fatta al primo colpo. Macché!
Per spiegare lo sculo in cui mi sono imbattuto, purtroppo sono costretto a fare un passo indietro. Non so bene da quanto, fatto sta che nei conservatori italiani da qualche tempo ci sono due ordinamenti, quello vecchio e quello nuovo. Quello vecchio prevede anni di studio diversi a seconda dello strumento, rilascia un "semplice" diploma e permette di fare l'università; quello nuovo, invece, dura cinque anni (3+2) per tutti, rilascia una laurea e [dal momento che in Italia e solo qui non puoi fare due diverse facoltà contemporaneamente] ti costringe a non fare l'università. Dettaglio: io faccio il terzo anno di Lettere Antiche a Firenze.
Allora, sentite come un'istituzione pubblica prenda per il culo la nazione. A marzo il Conservatorio decide che non ci dovrà più essere il V[ecchio]O[rdinamento] per l'anno accademico 2010/11 (ossia questo partito a ottobre); continuano, però, a pubblicare i moduli per l'iscrizione al VO.
N.B. DA NESSUNA PARTE, FUORCHE' SU INTERNET, C'ERA SCRITTO CHE FORSE IL VECCHIO ORDINAMENTO SAREBBE PARTITO. In segreteria dicevano solo che era l'utimo anno, niente più.
Riprendiamo. Su internet, per pararsi il culo, scrivono che gli eventuali ammessi , QUALORA fosse stata votata la modifica di ordinamento PER TEMPO, verrano mandati in corsi di base per il Nuovo Ordinamento. Se, però, cercate notizie di questi corsi, sprecate tempo. Allo stato attuale sembra che non esistano, semplicemente perché il Conservatorio sceglie gli allievi del NO colla vecchia pratica dell'audizione, senza svolgere corsi interni alla preparazione della medesima.
Ricapitolando: io faccio l'audizione, ho un buon voto, sono il più giovane, me la godo anche perché la modifica non è stata votata.
Ebbene, a tre giorni dalla pubblicazione ufficiale degli ammessi, compare un comunicato del direttore, il quale sospende tutto (Link documento), fino a data da destinarsi.
Potete immaginare come mi senta. Non solo ho pagato fior di soldi per prepararmi, ma ho anche pagato per fare quella cavolo di domanda; ho passato un'estate intera dietro organo e pianoforte; c'ho perso capelli e buonumore; ho messo a dura prova il rapporto colla mia ragazza (una santa, davvero, visto il mio umore).
E ora sono nel limbo, un luogo talmente stupido che pure la Chiesa lo ha abolito! Il Conservatorio di Firenze, ente statale pagato con i soldi dei contribuenti italiani, se ne sbatte di dare informazioni, se ne frega altamente di usare rispetto verso i probabili allievi, se ne impipa del fatto di essere al servizio della gente, usa atteggiamenti da cancelleria sovietica.
Qualcuno, altresì, potrebbe obbiettare: "Di che ti lamenti? dopotutto puoi sempre fare un corso di base al conservatorio!".Le cose sono un po' più complicate. Non so nulla di questi corsi (chi, dove, quando, come e perché) e non so se possa frequentarli anche se continuo ad essere immatricolato alla Gloriosa Università degli Studi di Firenze. Aggiungo anche che mi scoccerebbe. Benché si siano parati il culo coll'avviso su internet, la contropartita del corso di base non regge di fronte alla possibilità di essere già dentro al Conservatorio e poi il corso non mi rilascia nessun documento di rilievo da inserire nel mio curriculum, il diploma di conservatorio, invece, è una bella carta dal valore legale!
Mentre son qui nell'ambascia (colgo l'occasione per "affanculare" il Cherubini), lo Spirito Santo mi ha fatto una grazia: finalmente, dopo tempo che lo chiedevo, un corettino di bambini verrà a provare con me all'organo. Speriamo bene!
Per entrare in Conservatorio [spiego la pratica, ché tutti magari non la conoscono] bisogna anzitutto sostenere un'audizione. Se uno ha talento/culo, viene dichiarato "idoneo all'ammissione", ossia non è ancora entrato, ha un piede fuori ed uno dentro. Due (almeno sono quelli che ricordo) i requisiti per l'ammissione: l'età ed il punteggio.
Ebbene, nell'audizione per "Organo e composizione organistica" del Vecchio Ordinamento (poi spiego cosa sia 'sto maleficio) io ero/sono il più giovane e quello, fra gli idonei al primo anno, col punteggio più alto. Insomma, per una volta nella mia vita ho creduto di avercela fatta al primo colpo. Macché!
Per spiegare lo sculo in cui mi sono imbattuto, purtroppo sono costretto a fare un passo indietro. Non so bene da quanto, fatto sta che nei conservatori italiani da qualche tempo ci sono due ordinamenti, quello vecchio e quello nuovo. Quello vecchio prevede anni di studio diversi a seconda dello strumento, rilascia un "semplice" diploma e permette di fare l'università; quello nuovo, invece, dura cinque anni (3+2) per tutti, rilascia una laurea e [dal momento che in Italia e solo qui non puoi fare due diverse facoltà contemporaneamente] ti costringe a non fare l'università. Dettaglio: io faccio il terzo anno di Lettere Antiche a Firenze.
Allora, sentite come un'istituzione pubblica prenda per il culo la nazione. A marzo il Conservatorio decide che non ci dovrà più essere il V[ecchio]O[rdinamento] per l'anno accademico 2010/11 (ossia questo partito a ottobre); continuano, però, a pubblicare i moduli per l'iscrizione al VO.
N.B. DA NESSUNA PARTE, FUORCHE' SU INTERNET, C'ERA SCRITTO CHE FORSE IL VECCHIO ORDINAMENTO SAREBBE PARTITO. In segreteria dicevano solo che era l'utimo anno, niente più.
Riprendiamo. Su internet, per pararsi il culo, scrivono che gli eventuali ammessi , QUALORA fosse stata votata la modifica di ordinamento PER TEMPO, verrano mandati in corsi di base per il Nuovo Ordinamento. Se, però, cercate notizie di questi corsi, sprecate tempo. Allo stato attuale sembra che non esistano, semplicemente perché il Conservatorio sceglie gli allievi del NO colla vecchia pratica dell'audizione, senza svolgere corsi interni alla preparazione della medesima.
Ricapitolando: io faccio l'audizione, ho un buon voto, sono il più giovane, me la godo anche perché la modifica non è stata votata.
Ebbene, a tre giorni dalla pubblicazione ufficiale degli ammessi, compare un comunicato del direttore, il quale sospende tutto (Link documento), fino a data da destinarsi.
Potete immaginare come mi senta. Non solo ho pagato fior di soldi per prepararmi, ma ho anche pagato per fare quella cavolo di domanda; ho passato un'estate intera dietro organo e pianoforte; c'ho perso capelli e buonumore; ho messo a dura prova il rapporto colla mia ragazza (una santa, davvero, visto il mio umore).
E ora sono nel limbo, un luogo talmente stupido che pure la Chiesa lo ha abolito! Il Conservatorio di Firenze, ente statale pagato con i soldi dei contribuenti italiani, se ne sbatte di dare informazioni, se ne frega altamente di usare rispetto verso i probabili allievi, se ne impipa del fatto di essere al servizio della gente, usa atteggiamenti da cancelleria sovietica.
Qualcuno, altresì, potrebbe obbiettare: "Di che ti lamenti? dopotutto puoi sempre fare un corso di base al conservatorio!".Le cose sono un po' più complicate. Non so nulla di questi corsi (chi, dove, quando, come e perché) e non so se possa frequentarli anche se continuo ad essere immatricolato alla Gloriosa Università degli Studi di Firenze. Aggiungo anche che mi scoccerebbe. Benché si siano parati il culo coll'avviso su internet, la contropartita del corso di base non regge di fronte alla possibilità di essere già dentro al Conservatorio e poi il corso non mi rilascia nessun documento di rilievo da inserire nel mio curriculum, il diploma di conservatorio, invece, è una bella carta dal valore legale!
Mentre son qui nell'ambascia (colgo l'occasione per "affanculare" il Cherubini), lo Spirito Santo mi ha fatto una grazia: finalmente, dopo tempo che lo chiedevo, un corettino di bambini verrà a provare con me all'organo. Speriamo bene!
mercoledì 8 settembre 2010
L'organo, tesoro della Musica Sacra
Oggi ho creato questo video. Spero che possa piacere. Buona visione e buon ascolto!
martedì 31 agosto 2010
Bernardo Pasquini: un ritratto a brevi pennellate a trecento anni dalla sua scomparsa
Scrisse Francesco Gasparini: "Chi averà ottenuta la sorte di praticare, o studiare sotto la scuola del famosissimo Sig. Bernardo Pasquini in Roma, o chi almeno l’avrà inteso o veduto sonare, avrà potuto conoscere la più vera, bella e nobile maniera di sonare e di accompagnare"
Anzitutto chiedo venia per la latitanza dal blog. Confesso che la promessa di scrivere qualcosa sul Pasquini mi ha un po' intimorito. Che dire di nuovo? Niente! La mia piccola parte sarà quella di dire le cose il più terra terra possibile, in virtù di una facile lettura per tutti, anche per chi non ama la storia della musica.
Bernardo Pasquini nasce a Massa (in Valdinievole, oggi parte della provincia di Pistoia), nel 1637.
Apprende i primi rudimenti musicali da un prete del vicino paese di Uzzano. In giovane età viene condotto a Ferrara da uno zio e là sarà organista presso la celebre "Accademia della morte", presso cui, pochi anni addietro, avevano prestato servizio Girolamo Frescobaldi e Luzzasco Luzzaschi. In seguito (1650) si trasferisce a Roma per completare gli studi con A.Cesti. Nella Città Eterna trovò incarico come organista prima presso Santa Maria in Vallicella poi presso Santa Maria Maggiore e Santa Maria in Ara Coeli (l'incarico presso l'ultima chiesa nominata sarà conservato sino alla morte).
Nella sua vita "romana" il Pasquini si inserisce pienamente nel più grande fenomeno culturale italiano del tempo, l'Accademia dell'Arcadia. Insieme ad Arcangelo Corelli e ad Alessandro Scarlatti, fu il primo musicista a prender parte al fenomeno arcadico. Certo, anche le sue frequentazioni lo ponevano al centro della vita culturale romana: dal 1666 divenne, infatti, cembalista di camera dei principi Borghese e, poi, frequentava i palazzi dei potenti Chigi, degli Ottoboni e dei Pamphilj; a queste frequentazioni si aggiunse anche il servizio presso la regina Cristina di Svezia. Fra i suoi allievi, in ultima analisi, sono dunque ricordati i potenti Giambattista Borghese e Cristina regina di Svezia e i celebri musicisti Francesco Durante, Domenico Zipoli e Domenico Scarlatti.
Non solo nella penisola italiana, ma anche all'estero si diffuse la sua fama: ebbe, infatti, modo di suonare prima per il Re Sole, poi per Leopoldo I d'Austria, che invano lo invitò a trasferirsi alla corte di Vienna; in aggiunta ai sovrani, infine, dobbiamo ricordare l'incontro col Pasquini da parte di Haendel in un suo viaggio a Roma del 1707, durante il quale ebbe modo di frequentare l'ambiente musicale arcadico ( e si ricordino i nomi di Arcangelo Corelli, Bernardo Pasquini e Alessandro Scarlatti). Il celebre musicista spira a Roma nel 1710.
Bernardo Pasquini è ricordato soprattutto per la fama di virtuoso della tastiera e per l'estrema pulizia delle sue composizioni. Il musicista si impegnò in vari genere (cantate, sonate, opere, oratori etc.) E' notevole ricordare che la gran parte dei suoi lavori per tastiera ci è giunta manoscritta, ad eccezione di qualche antologia coeva al Nostro, e che egli è stato colui che ha introdotto il genere della suite in Italia.
Anzitutto chiedo venia per la latitanza dal blog. Confesso che la promessa di scrivere qualcosa sul Pasquini mi ha un po' intimorito. Che dire di nuovo? Niente! La mia piccola parte sarà quella di dire le cose il più terra terra possibile, in virtù di una facile lettura per tutti, anche per chi non ama la storia della musica.
Bernardo Pasquini nasce a Massa (in Valdinievole, oggi parte della provincia di Pistoia), nel 1637.
Apprende i primi rudimenti musicali da un prete del vicino paese di Uzzano. In giovane età viene condotto a Ferrara da uno zio e là sarà organista presso la celebre "Accademia della morte", presso cui, pochi anni addietro, avevano prestato servizio Girolamo Frescobaldi e Luzzasco Luzzaschi. In seguito (1650) si trasferisce a Roma per completare gli studi con A.Cesti. Nella Città Eterna trovò incarico come organista prima presso Santa Maria in Vallicella poi presso Santa Maria Maggiore e Santa Maria in Ara Coeli (l'incarico presso l'ultima chiesa nominata sarà conservato sino alla morte).
Nella sua vita "romana" il Pasquini si inserisce pienamente nel più grande fenomeno culturale italiano del tempo, l'Accademia dell'Arcadia. Insieme ad Arcangelo Corelli e ad Alessandro Scarlatti, fu il primo musicista a prender parte al fenomeno arcadico. Certo, anche le sue frequentazioni lo ponevano al centro della vita culturale romana: dal 1666 divenne, infatti, cembalista di camera dei principi Borghese e, poi, frequentava i palazzi dei potenti Chigi, degli Ottoboni e dei Pamphilj; a queste frequentazioni si aggiunse anche il servizio presso la regina Cristina di Svezia. Fra i suoi allievi, in ultima analisi, sono dunque ricordati i potenti Giambattista Borghese e Cristina regina di Svezia e i celebri musicisti Francesco Durante, Domenico Zipoli e Domenico Scarlatti.
Non solo nella penisola italiana, ma anche all'estero si diffuse la sua fama: ebbe, infatti, modo di suonare prima per il Re Sole, poi per Leopoldo I d'Austria, che invano lo invitò a trasferirsi alla corte di Vienna; in aggiunta ai sovrani, infine, dobbiamo ricordare l'incontro col Pasquini da parte di Haendel in un suo viaggio a Roma del 1707, durante il quale ebbe modo di frequentare l'ambiente musicale arcadico ( e si ricordino i nomi di Arcangelo Corelli, Bernardo Pasquini e Alessandro Scarlatti). Il celebre musicista spira a Roma nel 1710.
Bernardo Pasquini è ricordato soprattutto per la fama di virtuoso della tastiera e per l'estrema pulizia delle sue composizioni. Il musicista si impegnò in vari genere (cantate, sonate, opere, oratori etc.) E' notevole ricordare che la gran parte dei suoi lavori per tastiera ci è giunta manoscritta, ad eccezione di qualche antologia coeva al Nostro, e che egli è stato colui che ha introdotto il genere della suite in Italia.
giovedì 5 agosto 2010
B. Pasquini: Passacagli
A trecento anni dalla morte di un mio illustre concittadino valdinievolino, in attesa di tratteggiarne un buon profilo, voglio proporre questo pezzo di Bernardo Pasquini.
Quando la popolarità fa male, ossia la morte del genio
Non pensavo, confesso, che la fama potesse esser dannosa, almeno fino a quando mi fu sconsigliato di eseguire il preludio al Te Deum di Charpentier, perché la gente avrebbe potuto pensare alla sigla dell'eurovisione della Rai. Di questo passo, pensai, nemmeno gli accordi saranno più permessi, ché la pubblicità ormai regna sovrana.
Per certo, l'obiezione coglieva nel segno: il limite della fama per la musica da chiesa. Quello che però non condivido è l'adeguamento: se domani il "Christus vincit" diventasse la sigla del TG1, forse che noi non dovremmo più suonarlo? Penso proprio di no. Il caso, poi, di Charpentier e del suo preludio è singolare: il brano è tratto dal "Te Deum", un inno religioso prestato alla televisione; il più delle volte, invece, sentiamo melodie celebri entrare all'interno della liturgia quando nulla hanno a che fare con essa, ma la loro esecuzione è frutto di quella stessa fama che esclude lo Charpentier. Siamo di fronte ad un bivio: alcuni entrano e altri escono solo perché hanno lo "sculo" d'un certo tipo di pubblicità? Se il bivio è questo, direi di tornare indietro e provare a ripercorrere la strada. A mio modo di vedere, quando si oltrepassa la soglia d'una chiesa siamo in un luogo nel mondo e fuori del mondo, in cui vigono regole e tradizioni che possono non aver niente a che fare con quello che c'è al di là del portone d'ingresso.
Tanti sono i brani utilizzati dal mondo della televisione per promuovere prodotti commerciali o televisivi. Tuttavia non dobbiamo dimenticarci che i brani vengon utilizzati e non composti per la televisione: ne consegue che la finalità del pezzo rimane inalterata, malgrado il secondario uso.
Per certo, l'obiezione coglieva nel segno: il limite della fama per la musica da chiesa. Quello che però non condivido è l'adeguamento: se domani il "Christus vincit" diventasse la sigla del TG1, forse che noi non dovremmo più suonarlo? Penso proprio di no. Il caso, poi, di Charpentier e del suo preludio è singolare: il brano è tratto dal "Te Deum", un inno religioso prestato alla televisione; il più delle volte, invece, sentiamo melodie celebri entrare all'interno della liturgia quando nulla hanno a che fare con essa, ma la loro esecuzione è frutto di quella stessa fama che esclude lo Charpentier. Siamo di fronte ad un bivio: alcuni entrano e altri escono solo perché hanno lo "sculo" d'un certo tipo di pubblicità? Se il bivio è questo, direi di tornare indietro e provare a ripercorrere la strada. A mio modo di vedere, quando si oltrepassa la soglia d'una chiesa siamo in un luogo nel mondo e fuori del mondo, in cui vigono regole e tradizioni che possono non aver niente a che fare con quello che c'è al di là del portone d'ingresso.
Tanti sono i brani utilizzati dal mondo della televisione per promuovere prodotti commerciali o televisivi. Tuttavia non dobbiamo dimenticarci che i brani vengon utilizzati e non composti per la televisione: ne consegue che la finalità del pezzo rimane inalterata, malgrado il secondario uso.
giovedì 15 luglio 2010
"Maestro di Cappella", prego!
Il titolo vuol essere volutamente provocatorio, ma, alle volte, bisogna anche suscitare gli animi con più forza.
Nel tedesco abbiamo il termine "Kapellmeister" che indica il direttore dei servizi musicali religiosi, in inglese esiste il "Director of Music", che ha lo stesso significato del vocabolo tedesco. Il ruolo di direttore dell'azione musicale liturgica, invero, non è quello dell'organista, tuttavia la prassi è quella di far coincidere le due figure, con notevole complicazione per il secondo: infatti, l'aspetto di direzione è sovente trascurato in chi valuta il lavoro dell'organista. Aggiungo, poi, che chi volesse fregiarsi del titolo di "Maestro di cappella" sarebbe anzitutto dipinto come un pazzo, fino a scadere nei termini più propri del turpiloquio. Tuttavia è innegabile che la maggior parte degli organisti, soprattutto quelli che non lo sono di professione, si vedono moltiplicare, anzi quadruplicare il lavoro da faccende di cui non dovrebbero esser competenti: la direzione di coro e/o altri strumenti musicali richiede una preparazione musicale che un organista tipico non possiede e deve acquisire con gran dispendio di fatiche; inoltre gli eventuali risultati discutibili vengono a costituire prove dell'inefficienza del povero organista (povero anche in senso materiale!permettetemi la boutade).
A questo proposito, vorrei soffermarmi un attimo sull'aspetto di direzione di coro. Prima di tutto bisogna fare una constatazione: se l'organista fa anche il direttore di coro, il direttore di coro fa il disoccupato. A ciascuno il suo! (si diceva un tempo). Se nelle lingue del mondo si hanno due termini per indicare due figure distinte, una ragione più che logica ci sarà: stiamo, appunto, parlando di due figure distinte, non di una che si adegua a jolly della situazione. Dirigere un coro, d'altronde, non è una passeggiata poiché avere l'orecchio per correggere le voci umane è cosa che si apprende col tempo, coll'esperienza e coll'aiuto del buon Dio!
In secondo luogo, a differenza dell'organista ( ma qui si scade nel personale), un bravo direttore di coro si rende subito conto se qualcuno può cantare o meno; l'organista, almeno nel mio caso, spera invece che col tempo...A questo punto mi tocca fare una digressione. Anche per quel che mi riguarda, io all'inizio ero sull'orrendo andante, ma poi mi sono impegnato per migliorare, e credo d'esser su una buona strada, almeno lo credo perché che mi ascolta apprezza e non mi tira ortaggi/uova. Certamente, allora, il tempo e la fiducia sono fattori fondamentali, però non bastano. Se ho del potenziale, questo risalta subito, malgrado gli aborti che possa compiere, altrimenti continuerò solo a fare aborti. Ora così è per i "cantori" parrocchiali.
Ed ecco che arriviamo a parlare delle dolenti note, appunto, i cantori parrocchiali. Costoro sono di tre tipi: i bravi, i migliorabili, gli orridi. Per uno starno scherzo della natura la scala dell'attività e della partecipazione procede dal gradino più basso per giungere a quello più alto. Come dice il mio prof.re d'armonia: "Chi è stonato, non deve cantare!". Purtroppo non è così; il più delle volte, se non ci fossero questi stonati a impegnarsi, non ci sarebbero nemmeno canti. Cosa che potrebbe esser migliore. Purtroppo sarebbe tristissima. Qualcuno dice che l'assemblea non canta perché i cantori sono stonati: frottole, balle! La gente non canta perché gli fa fatica e non vuol impegnarsi, perché se volesse seriamente preoccuparsi della cura musicale liturgica, si adorerebbe in prima persona per migliorare la situazione (mentrel'uso consueto è quello di criticare chi intanto sta facendo qualcosa e stare a vedere, sempre pronti a recriminare!).
Propongo, allora, due accorgimenti per l'annosa questione dei cantori stonati: farli cantare il meno possibile e spingerli a trovare altra gente con cui fare gruppo,un gruppo che non deve sostituirli, ma solo coprirli: a sostituzione di queste persone è sbagliata, perché andremmo a colpire gli spiriti più "impegnati" nella vita parrocchiale, col rischio di perdere, all'interno del coro, un sano spirito all'impegno volto a beneficio della liturgia.
Dopo aver affrontato, con abbastanza parole, un ambito marginale della questione dell'uso del termine "Maestro di cappella", vorrei tornare al nocciolo della questione. Le righe che precedono mostrano quanto poco di organistico ci sia nella gran parte dell'attività dell'organista liturgico, almeno nella gran parte dei casi di coloro che intendono rapportarsi al proprio compito con serietà, se, invece, l'organista, lecitamente, affidata alla cialtroneria e al disimpegno la sua non voluta carica di direttore di coro, allora il discorso non vale. La mia proposta, pertanto, è volutamente provocatoria: chiamare "Maestro di cappella" l'organista liturgico che seriamente si occupa degli uffici musicali. Così facendo, tutt'altra luce si poserà sulla figura dell'organista, troppe volte esposto a critiche che non riguardano prettamente il suo ruolo. Il nuovo appellativo, magari certificato, dovrebbe servire a porsi dinanzi ai servizi musicali liturgici in modo nuovo, perché alla nuova denominazione dovrebbe accompagnarsi una nuova figura con una nuova preparazione musicale.
Vorrei aggiungere che chi ha la fortuna (ovviamente scherzo) di cantare accompagnato da me, canta più che degnamente e si colloca fuori dalla casistica sopra esposta.
Nel tedesco abbiamo il termine "Kapellmeister" che indica il direttore dei servizi musicali religiosi, in inglese esiste il "Director of Music", che ha lo stesso significato del vocabolo tedesco. Il ruolo di direttore dell'azione musicale liturgica, invero, non è quello dell'organista, tuttavia la prassi è quella di far coincidere le due figure, con notevole complicazione per il secondo: infatti, l'aspetto di direzione è sovente trascurato in chi valuta il lavoro dell'organista. Aggiungo, poi, che chi volesse fregiarsi del titolo di "Maestro di cappella" sarebbe anzitutto dipinto come un pazzo, fino a scadere nei termini più propri del turpiloquio. Tuttavia è innegabile che la maggior parte degli organisti, soprattutto quelli che non lo sono di professione, si vedono moltiplicare, anzi quadruplicare il lavoro da faccende di cui non dovrebbero esser competenti: la direzione di coro e/o altri strumenti musicali richiede una preparazione musicale che un organista tipico non possiede e deve acquisire con gran dispendio di fatiche; inoltre gli eventuali risultati discutibili vengono a costituire prove dell'inefficienza del povero organista (povero anche in senso materiale!permettetemi la boutade).
A questo proposito, vorrei soffermarmi un attimo sull'aspetto di direzione di coro. Prima di tutto bisogna fare una constatazione: se l'organista fa anche il direttore di coro, il direttore di coro fa il disoccupato. A ciascuno il suo! (si diceva un tempo). Se nelle lingue del mondo si hanno due termini per indicare due figure distinte, una ragione più che logica ci sarà: stiamo, appunto, parlando di due figure distinte, non di una che si adegua a jolly della situazione. Dirigere un coro, d'altronde, non è una passeggiata poiché avere l'orecchio per correggere le voci umane è cosa che si apprende col tempo, coll'esperienza e coll'aiuto del buon Dio!
In secondo luogo, a differenza dell'organista ( ma qui si scade nel personale), un bravo direttore di coro si rende subito conto se qualcuno può cantare o meno; l'organista, almeno nel mio caso, spera invece che col tempo...A questo punto mi tocca fare una digressione. Anche per quel che mi riguarda, io all'inizio ero sull'orrendo andante, ma poi mi sono impegnato per migliorare, e credo d'esser su una buona strada, almeno lo credo perché che mi ascolta apprezza e non mi tira ortaggi/uova. Certamente, allora, il tempo e la fiducia sono fattori fondamentali, però non bastano. Se ho del potenziale, questo risalta subito, malgrado gli aborti che possa compiere, altrimenti continuerò solo a fare aborti. Ora così è per i "cantori" parrocchiali.
Ed ecco che arriviamo a parlare delle dolenti note, appunto, i cantori parrocchiali. Costoro sono di tre tipi: i bravi, i migliorabili, gli orridi. Per uno starno scherzo della natura la scala dell'attività e della partecipazione procede dal gradino più basso per giungere a quello più alto. Come dice il mio prof.re d'armonia: "Chi è stonato, non deve cantare!". Purtroppo non è così; il più delle volte, se non ci fossero questi stonati a impegnarsi, non ci sarebbero nemmeno canti. Cosa che potrebbe esser migliore. Purtroppo sarebbe tristissima. Qualcuno dice che l'assemblea non canta perché i cantori sono stonati: frottole, balle! La gente non canta perché gli fa fatica e non vuol impegnarsi, perché se volesse seriamente preoccuparsi della cura musicale liturgica, si adorerebbe in prima persona per migliorare la situazione (mentrel'uso consueto è quello di criticare chi intanto sta facendo qualcosa e stare a vedere, sempre pronti a recriminare!).
Propongo, allora, due accorgimenti per l'annosa questione dei cantori stonati: farli cantare il meno possibile e spingerli a trovare altra gente con cui fare gruppo,un gruppo che non deve sostituirli, ma solo coprirli: a sostituzione di queste persone è sbagliata, perché andremmo a colpire gli spiriti più "impegnati" nella vita parrocchiale, col rischio di perdere, all'interno del coro, un sano spirito all'impegno volto a beneficio della liturgia.
Dopo aver affrontato, con abbastanza parole, un ambito marginale della questione dell'uso del termine "Maestro di cappella", vorrei tornare al nocciolo della questione. Le righe che precedono mostrano quanto poco di organistico ci sia nella gran parte dell'attività dell'organista liturgico, almeno nella gran parte dei casi di coloro che intendono rapportarsi al proprio compito con serietà, se, invece, l'organista, lecitamente, affidata alla cialtroneria e al disimpegno la sua non voluta carica di direttore di coro, allora il discorso non vale. La mia proposta, pertanto, è volutamente provocatoria: chiamare "Maestro di cappella" l'organista liturgico che seriamente si occupa degli uffici musicali. Così facendo, tutt'altra luce si poserà sulla figura dell'organista, troppe volte esposto a critiche che non riguardano prettamente il suo ruolo. Il nuovo appellativo, magari certificato, dovrebbe servire a porsi dinanzi ai servizi musicali liturgici in modo nuovo, perché alla nuova denominazione dovrebbe accompagnarsi una nuova figura con una nuova preparazione musicale.
Vorrei aggiungere che chi ha la fortuna (ovviamente scherzo) di cantare accompagnato da me, canta più che degnamente e si colloca fuori dalla casistica sopra esposta.
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giovedì 8 luglio 2010
"Emendamento d'emergenza"
Nell'articolo del 23 giugno, http://http//lorganistaliturgico.blogspot.com/2010/06/bach-e-zipoli-per-non-cadere-in.html, avevo detto che c'erano modi e luoghi per i vari brani.
Ebbene, rileggendo questo anche alla luce della mia esperienza non ho potuto non aggiungere il da me detto "Emendamento d'emergenza": tutte le regole vengono abolite in caso di stretta necessità e fare tutto quando si vuole (si= l'organista).
Un tale "coprifuoco" dovrebbe rispondere ad una situazione di grave emergenza: la mancanza di repertorio adatto alle varie parti della Messa. Infatti, non è facile farsi subito un buon repertorio e sarebbe alquanto orrendo accompagnare certe parti e certe no, a dispetto della dignità complessiva che ha il momento liturgico. Certo, i più intransigenti storceranno il naso di fronte a tale affermazione, ma io sono del pensiero "di necessità virtù": non sempre le cose vanno come si vorrebbe ma si può rimediare.
In aggiunta a quanto detto, c'è anche da ricordare un particolare: il buon gusto dell'organista. Senza questo, breve è la strada anche seguendo il rispetto delle norme. Non sempre ciò che è illecito è bello e ciò che è lecito non è bello; un'accorta mediazione fra il gusto personale e il dovere può portare ad ottimi lavori.
Se, poi, dovessi consigliare qualcosa di specifico, mi permetto di citare qui i "Keybord Works" di H. Purcell: accanto a pezzi di certa difficoltà ce ne sono altri abbastanza semplici e capaci di rendere moltissimo soprattutto con un sapiente gioco di registri e, mi permetto di aggiungere un'eresia -tanto c'è l'emergenza del mio emendamento che mi giustifica!-, se si alternano i tempi: ci sono alcuni minuetti che portati ad un tempo più lento di quello indicato/consueto sembrano i più bei pezzi di Chiesa mai scritti!
Ebbene, rileggendo questo anche alla luce della mia esperienza non ho potuto non aggiungere il da me detto "Emendamento d'emergenza": tutte le regole vengono abolite in caso di stretta necessità e fare tutto quando si vuole (si= l'organista).
Un tale "coprifuoco" dovrebbe rispondere ad una situazione di grave emergenza: la mancanza di repertorio adatto alle varie parti della Messa. Infatti, non è facile farsi subito un buon repertorio e sarebbe alquanto orrendo accompagnare certe parti e certe no, a dispetto della dignità complessiva che ha il momento liturgico. Certo, i più intransigenti storceranno il naso di fronte a tale affermazione, ma io sono del pensiero "di necessità virtù": non sempre le cose vanno come si vorrebbe ma si può rimediare.
In aggiunta a quanto detto, c'è anche da ricordare un particolare: il buon gusto dell'organista. Senza questo, breve è la strada anche seguendo il rispetto delle norme. Non sempre ciò che è illecito è bello e ciò che è lecito non è bello; un'accorta mediazione fra il gusto personale e il dovere può portare ad ottimi lavori.
Se, poi, dovessi consigliare qualcosa di specifico, mi permetto di citare qui i "Keybord Works" di H. Purcell: accanto a pezzi di certa difficoltà ce ne sono altri abbastanza semplici e capaci di rendere moltissimo soprattutto con un sapiente gioco di registri e, mi permetto di aggiungere un'eresia -tanto c'è l'emergenza del mio emendamento che mi giustifica!-, se si alternano i tempi: ci sono alcuni minuetti che portati ad un tempo più lento di quello indicato/consueto sembrano i più bei pezzi di Chiesa mai scritti!
giovedì 24 giugno 2010
Wachet auf, ruft uns die Stimme (BWV 645)
Un ottimo brano suggeritomi dal sacerdote della mia parrocchia (il quale, con l'occasione, ringrazio). Buona esecuzione, peccato il rumore di fondo del filmato.
mercoledì 23 giugno 2010
Bach e Zipoli: per non cadere in contraddizione
Bach e Zipoli sono i primi due nomi che mi sono venuti per rappresentare ambiti diversi della musica sacra: il primo rappresenta il vertice mondiale della musica e della musica sacra riformata, il secondo è un ottimo compositore legato al mondo cattolico. Non me ne voglia il mio amato Zipoli, ma qualsiasi personaggio deve cedere a Bach. I personaggi qui evocati mi servono per rispondere ad una domanda che mi è nata in modo spontaneo: E' lecito suonare musica non cattolica all'interno di celebrazioni cattoliche?
Nell'osservare la domanda già mi rendo conto di un primo errore: musica cattolica. La musica non è un fedele, né tantomeno una confessione; è come la matematica: universale. Certo è che rischierei di cadere in contraddizione con le mie convinzioni filo-tradizionalistiche e, di conseguenza, con gli articoli qui pubblicati se non riesco a formulare una distinzione, una regola per cui alcuni passano e altri restano.
Anzitutto mi soffermerei sul criterio di Musica sacra: si accettano, di preferenza, solo composizioni di musica sacra, sia essa cattolica o meno. Sussistono, però, alcune eccezioni, tutte di due specie: il rifiuto di musica sacra e l'accettazione di musica non sacra. Il primo potrebbe esser motivato dall'eccessiva "lontananza" col sentimento musicale del luogo. La vecchia Europa non può guardare all'America o all'India, ché la cultura musicale tradizionale è troppo distante.Il secondo caso, l'accettazione di musica non sacra, potrebbe avvenire per più motivi: particolare espressività del brano, evidente affinità col gusto musicale della tradizione, chiaro linguaggio classico etc. Certamente, le eccezioni di secondo tipo troveranno il loro luogo in momenti non centrali delle celebrazioni, altrimenti non manterrebbero l'eccezionalità della loro esecuzione.
Successivamente, ma in realtà al pari del primo criterio, porrei l'attenzione sulla tipologia di linguaggio del brano: il barocco o la classica sono ormai patrimonio universale, già così non è per la musica rinascimentale. Dobbiamo interrogarci: risalire a prima del barocco e a dopo il classicismo (anche nelle sue fasi emulative) è possibile? A mio modesto avviso sì, ma con sempre notevole cura.
I disastri del romanticismo sono sotto gli occhi di tutti: occorrerà, pertanto, saper scegliere molto bene e con molto "cervello", senza farsi trascinare da quel cuore che i romantici sanno sapientemente manipolare! Per tutto quel che è prima del barocco invece bisogna operare, a mio avviso, con metodo opposto, ossia affidarsi solo al cuore. Un recupero di musica antica fatto all'insegna di un vano sforzo intellettuale poco produce quando la materia non è di molta qualità. Cosa che vale sempre, e non solo nel suddetto contesto. E la musica del Rinascimento, con le sue differenti armonie, talvolta è lontana dal nostro sentimento musicale, affinato a ben altre caratteristiche. Pertanto, non è vero che tutto quello che ci viene dal passato è "bello" - mi si passi il termine- per le nostre orecchie.
In terzo luogo, come criterio per la scelta di autori non cattolici, porrei l'assoluta e tassativa esclusione delle composizioni corali , ad eccezione delle partiture, solo se queste sono sufficientemente ricche da aver ragione sufficiente anche se non accompagnate da coro. Il motivo di tale netto rifiuto a canti estranei alla tradizione cattolica è che, se la musica è universale, non così sono le parole. E' assolutamente sciocco e ottusamente lobotomizzante eseguire, per esempio, canti della tradizione africana quando non ci sono né africani a cantare né se ne capisce le parole. Qualcuno potrebbe obbietare che pure il latino dei canti tradizionali ai più è incomprensibile. Certo, non tutti capiscono il latino, ma questo, a differenza dei canti bantu, ha solo 2000 anni di storia all'interno della Chiesa! [e poi il latino ecclesiastico è quasi comprensibile da tutti, e ve lo dice uno che traduce greco e latino classico]. Aggiungo poi che il recupero di canti ortodossi nella liturgia "c'entra come il cavolo a merenda": si tratta di una vano archeologismo liturgico che è completamente slegato dal sentire comune musicale (più del così tanto vituperato gregoriano, che è figlio della tradizione bizantina e dunque parente strettissimo di tali canti).
In ultimo luogo vorrei dire che tutto quello che mi son permesso di escludere non è brutto, è solo inadatto alle celebrazioni cattoliche. Non so se in ambito riformato facciano alla stessa maniera, ma, per quel che ne so io, la situazione è diversa: ora siamo passati ad una completa replica delle armonie mondane all'interno delle funzioni. Aspetto repliche da parte di persone più competenti di me in questo settore. So per cero, invece, che questo dobbiamo apprendere, dal mondo dei riformati, ossia che l'organo è strumento musicale anzitutto, e successivamente liturgico per tradizione. Io sono a favore, proprio per evitare di dover fare scelte come quelle suindicate, di un uso extraliturgico dello strumento, dimodoché all'interno delle messe si faccia quello che è proprio della Messa, senza che l'animo dell'organista soffra molto per la poca visibilità poiché può mostrare la propria bravura in un contesto diverso (cosa che ora fa molto poco, legato come è solo all'occasione della celebrazione).
Nell'osservare la domanda già mi rendo conto di un primo errore: musica cattolica. La musica non è un fedele, né tantomeno una confessione; è come la matematica: universale. Certo è che rischierei di cadere in contraddizione con le mie convinzioni filo-tradizionalistiche e, di conseguenza, con gli articoli qui pubblicati se non riesco a formulare una distinzione, una regola per cui alcuni passano e altri restano.
Anzitutto mi soffermerei sul criterio di Musica sacra: si accettano, di preferenza, solo composizioni di musica sacra, sia essa cattolica o meno. Sussistono, però, alcune eccezioni, tutte di due specie: il rifiuto di musica sacra e l'accettazione di musica non sacra. Il primo potrebbe esser motivato dall'eccessiva "lontananza" col sentimento musicale del luogo. La vecchia Europa non può guardare all'America o all'India, ché la cultura musicale tradizionale è troppo distante.Il secondo caso, l'accettazione di musica non sacra, potrebbe avvenire per più motivi: particolare espressività del brano, evidente affinità col gusto musicale della tradizione, chiaro linguaggio classico etc. Certamente, le eccezioni di secondo tipo troveranno il loro luogo in momenti non centrali delle celebrazioni, altrimenti non manterrebbero l'eccezionalità della loro esecuzione.
Successivamente, ma in realtà al pari del primo criterio, porrei l'attenzione sulla tipologia di linguaggio del brano: il barocco o la classica sono ormai patrimonio universale, già così non è per la musica rinascimentale. Dobbiamo interrogarci: risalire a prima del barocco e a dopo il classicismo (anche nelle sue fasi emulative) è possibile? A mio modesto avviso sì, ma con sempre notevole cura.
I disastri del romanticismo sono sotto gli occhi di tutti: occorrerà, pertanto, saper scegliere molto bene e con molto "cervello", senza farsi trascinare da quel cuore che i romantici sanno sapientemente manipolare! Per tutto quel che è prima del barocco invece bisogna operare, a mio avviso, con metodo opposto, ossia affidarsi solo al cuore. Un recupero di musica antica fatto all'insegna di un vano sforzo intellettuale poco produce quando la materia non è di molta qualità. Cosa che vale sempre, e non solo nel suddetto contesto. E la musica del Rinascimento, con le sue differenti armonie, talvolta è lontana dal nostro sentimento musicale, affinato a ben altre caratteristiche. Pertanto, non è vero che tutto quello che ci viene dal passato è "bello" - mi si passi il termine- per le nostre orecchie.
In terzo luogo, come criterio per la scelta di autori non cattolici, porrei l'assoluta e tassativa esclusione delle composizioni corali , ad eccezione delle partiture, solo se queste sono sufficientemente ricche da aver ragione sufficiente anche se non accompagnate da coro. Il motivo di tale netto rifiuto a canti estranei alla tradizione cattolica è che, se la musica è universale, non così sono le parole. E' assolutamente sciocco e ottusamente lobotomizzante eseguire, per esempio, canti della tradizione africana quando non ci sono né africani a cantare né se ne capisce le parole. Qualcuno potrebbe obbietare che pure il latino dei canti tradizionali ai più è incomprensibile. Certo, non tutti capiscono il latino, ma questo, a differenza dei canti bantu, ha solo 2000 anni di storia all'interno della Chiesa! [e poi il latino ecclesiastico è quasi comprensibile da tutti, e ve lo dice uno che traduce greco e latino classico]. Aggiungo poi che il recupero di canti ortodossi nella liturgia "c'entra come il cavolo a merenda": si tratta di una vano archeologismo liturgico che è completamente slegato dal sentire comune musicale (più del così tanto vituperato gregoriano, che è figlio della tradizione bizantina e dunque parente strettissimo di tali canti).
In ultimo luogo vorrei dire che tutto quello che mi son permesso di escludere non è brutto, è solo inadatto alle celebrazioni cattoliche. Non so se in ambito riformato facciano alla stessa maniera, ma, per quel che ne so io, la situazione è diversa: ora siamo passati ad una completa replica delle armonie mondane all'interno delle funzioni. Aspetto repliche da parte di persone più competenti di me in questo settore. So per cero, invece, che questo dobbiamo apprendere, dal mondo dei riformati, ossia che l'organo è strumento musicale anzitutto, e successivamente liturgico per tradizione. Io sono a favore, proprio per evitare di dover fare scelte come quelle suindicate, di un uso extraliturgico dello strumento, dimodoché all'interno delle messe si faccia quello che è proprio della Messa, senza che l'animo dell'organista soffra molto per la poca visibilità poiché può mostrare la propria bravura in un contesto diverso (cosa che ora fa molto poco, legato come è solo all'occasione della celebrazione).
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lunedì 14 giugno 2010
Considerazioni sul "Movimento ceciliano"
L'articolo sul movimento di rinnovamento musicale all'interno della liturgia vuol essere la spiegazione del retroterra culturale da cui prendeva le mosse la stesura della "Sacrosanctum concilium". Certo è che, se attualmente sono in vigore le norme di questa costituzione concialiare, bisogna pertanto conoscere il movimento suddetto. Tale situazione sarebbe necessaria qualora vi fosse un serio interessamento alla musica sacra all'interno della liturgia, ma così non è.
Infatti, l'aria nuova che veniva dal Concilio è sempre stata interpretata non come un dolce venticello che porta sollievo nella calura, ma come un vento di tempesta che dovesse spazzare tutto quanto gli si parasse contro (vale a dire il patrimonio tradizionale). Di conseguenza, gli organi sono stati o dismessi/venduti o trascurati, mentre altri strumenti più "giovanili", come chitarre, bonghi e tamburelli, hanno avuto campo libero.
Vorrei, anzitutto, soffermarmi su un dettaglio spesso trascurato. I sacerdoti, per divenire tali, entrano in seminario. I laici impegnati nella vita parrocchiale rarissimamente sono preparati in modo serio. Fra questi rientrano i "musicisti". Se la liturgia, allora, è cosa seria, se il sacerdozio è, alla luce delle moderne esegesi, cosa di tutti i fedeli perché è nel battesimo, perché allora non ha spazio una seria formazione dei laici? Perché tutto è affidato alla cialtroneria?
Come ci insegna il movimento, grande preparazione sta alla base di tutto. Il gregoriano e la polifonia rinascimentale sono fulgidi esempi da grandi stagioni musicali, e la seconda è quantomai frutto di seria applicazione. IL movimento ci insegna che la semplicità non è in quello che si esegue ma nel modo in cui si esegue. Le deboli armonie dei nostri giorni molto spesso sono accorpate a tempi che le rendono ineseguibili per un'assemblea che non le abbia mai sentito, cosa che non accade con il gregoriano, per esempio: l'ascoltatore fin dalle prime note indovinerà l'andatura del brano e, tranne qualche piccolo errore, non sbaglierà così spesso come nei pezzi di musica moderna.
E se non bastasse tutto questo (parlo per esperienza, in attesa di trovare qualche fonte scritta che confermi le mie impressioni) si aggiunga il fatto che la nostra musica sacra è di bassa, bassissima qualità. E lo dicono illustri musicisti e grandi direttori d'orchestra. Un tempo si occupava di musica chi ne sapeva, pure fra i religiosi, ora, purtroppo, chi ha vissuto la stagione delle schitarrate di gioventù all'ombra di un concilio...
Certo, i semi del CVII devono vedersi nella chiara volontà di maggior partecipazione da parte dei fedeli e dei laici all'interno della liturgia, ma questo non è di nostra competenza. Questa scelta, peraltro, ha determinato la perdita del primato conferito all'organo, ormai "incalzato" dalle corali. Lo strumento allora diviene sempre di più d'accompagnamento e non "principe" della liturgia.
In base a ciò, quindi, dobbiamo riflettere noi moderni. La costituzione di un genere di musica sacra è finalità lampante che emerge dai documenti presentati a suo tempo su questo blog: ne deriva che la maggior parte della nostra musica "sacra" è totalmente da rifiutare, perché esula da quelle caratteristiche che la renderebbero tale. Finché continueremo sulla vecchia strada, non faremo altro che musica, nulla di più.
In primo luogo, per evitare in avvenire i problemi che noi ora dobbiamo affrontare, sarebbe opportuno metter per iscritto le caratteristiche tecniche che debbono avere gli strumenti da musica sacra, certo facendo riferimenti legati non al contingente, altrimenti nel futuro avremo un canone di strumenti (cosa che condannerebbe i suddetti a morte certa, poichè vincolati solo all'ambito liturgico); bisognerebbe stilare una lista di caratteristiche (come il divieto di strumenti elettrici o a corde) tali da non richiedere un Azzeccagarbugli per esser comprese anche dal più sempliciotto.
In secondo luogo sarebbe cosa ottima che le diocesi prendessero l'incarico di formare gli organisti, cosa fatta in modo serio e da docenti preparati, non dal primo fraticello che accompagna il gregoriano alla tastiera elettrica. Dovrebbe esser un compito della diocesi poichè, all'inizio, gli organisti ben preparati potrebbero esser inferiori, logicamente, al numero delle parrocchie. Devo, però, a questo punto fare un passo indietro. Un organista a parrocchia significherebbe che tutti i sacerdoti sarebbero ben disposti a che fosse suonato questo benedettissimo organo, ma sappiamo bene dalla realtà che non è così. E', dunque, compito del vescovo che si attui questa riforma musicale, che oserei appellare "Neo-ceciliana". Gli abusi sono troppi e solo l'autorità può metter fine alla grande anarchia.
In terzo luogo, sarebbe opportuno che ottimi docenti di materie musicali potessero insegnare nei seminari che , negli stessi, l'aspetto musicale della liturgia non fosse considerato come mero apparato ma parte integrante di un complesso liturgico. Solo quando i singoli sacerdoti potranno gustare la bellezza di una vera musica sacra (che non obbliga all'utilizzo del solo organo) allora potremmo assistere alla tanto attesa riforma "neoceciliana". L'educazione al bello non è indottrinamento, ma compito del docente. "Non è bello ciò che bello, ma è bello ciò che piace": così recita l'adagio popolare, ma non dice che, per questo, chi ha le possibilità non deve conoscere le motivazioni per cui una tal cosa è considerata bella. Quando sarà stato colto il concetto dietro le cose, allora ci sarà una seria riflessione.
Questi soli tre punti, ne sono convinto, potrebbero riuscire a cambiare grandemente le cose, e certamente la liturgia cattolica ne riacquisterebbe di pregio, quel pregio che ormai sembra sempre più scadere verso il basso.
Infatti, l'aria nuova che veniva dal Concilio è sempre stata interpretata non come un dolce venticello che porta sollievo nella calura, ma come un vento di tempesta che dovesse spazzare tutto quanto gli si parasse contro (vale a dire il patrimonio tradizionale). Di conseguenza, gli organi sono stati o dismessi/venduti o trascurati, mentre altri strumenti più "giovanili", come chitarre, bonghi e tamburelli, hanno avuto campo libero.
Vorrei, anzitutto, soffermarmi su un dettaglio spesso trascurato. I sacerdoti, per divenire tali, entrano in seminario. I laici impegnati nella vita parrocchiale rarissimamente sono preparati in modo serio. Fra questi rientrano i "musicisti". Se la liturgia, allora, è cosa seria, se il sacerdozio è, alla luce delle moderne esegesi, cosa di tutti i fedeli perché è nel battesimo, perché allora non ha spazio una seria formazione dei laici? Perché tutto è affidato alla cialtroneria?
Come ci insegna il movimento, grande preparazione sta alla base di tutto. Il gregoriano e la polifonia rinascimentale sono fulgidi esempi da grandi stagioni musicali, e la seconda è quantomai frutto di seria applicazione. IL movimento ci insegna che la semplicità non è in quello che si esegue ma nel modo in cui si esegue. Le deboli armonie dei nostri giorni molto spesso sono accorpate a tempi che le rendono ineseguibili per un'assemblea che non le abbia mai sentito, cosa che non accade con il gregoriano, per esempio: l'ascoltatore fin dalle prime note indovinerà l'andatura del brano e, tranne qualche piccolo errore, non sbaglierà così spesso come nei pezzi di musica moderna.
E se non bastasse tutto questo (parlo per esperienza, in attesa di trovare qualche fonte scritta che confermi le mie impressioni) si aggiunga il fatto che la nostra musica sacra è di bassa, bassissima qualità. E lo dicono illustri musicisti e grandi direttori d'orchestra. Un tempo si occupava di musica chi ne sapeva, pure fra i religiosi, ora, purtroppo, chi ha vissuto la stagione delle schitarrate di gioventù all'ombra di un concilio...
Certo, i semi del CVII devono vedersi nella chiara volontà di maggior partecipazione da parte dei fedeli e dei laici all'interno della liturgia, ma questo non è di nostra competenza. Questa scelta, peraltro, ha determinato la perdita del primato conferito all'organo, ormai "incalzato" dalle corali. Lo strumento allora diviene sempre di più d'accompagnamento e non "principe" della liturgia.
In base a ciò, quindi, dobbiamo riflettere noi moderni. La costituzione di un genere di musica sacra è finalità lampante che emerge dai documenti presentati a suo tempo su questo blog: ne deriva che la maggior parte della nostra musica "sacra" è totalmente da rifiutare, perché esula da quelle caratteristiche che la renderebbero tale. Finché continueremo sulla vecchia strada, non faremo altro che musica, nulla di più.
In primo luogo, per evitare in avvenire i problemi che noi ora dobbiamo affrontare, sarebbe opportuno metter per iscritto le caratteristiche tecniche che debbono avere gli strumenti da musica sacra, certo facendo riferimenti legati non al contingente, altrimenti nel futuro avremo un canone di strumenti (cosa che condannerebbe i suddetti a morte certa, poichè vincolati solo all'ambito liturgico); bisognerebbe stilare una lista di caratteristiche (come il divieto di strumenti elettrici o a corde) tali da non richiedere un Azzeccagarbugli per esser comprese anche dal più sempliciotto.
In secondo luogo sarebbe cosa ottima che le diocesi prendessero l'incarico di formare gli organisti, cosa fatta in modo serio e da docenti preparati, non dal primo fraticello che accompagna il gregoriano alla tastiera elettrica. Dovrebbe esser un compito della diocesi poichè, all'inizio, gli organisti ben preparati potrebbero esser inferiori, logicamente, al numero delle parrocchie. Devo, però, a questo punto fare un passo indietro. Un organista a parrocchia significherebbe che tutti i sacerdoti sarebbero ben disposti a che fosse suonato questo benedettissimo organo, ma sappiamo bene dalla realtà che non è così. E', dunque, compito del vescovo che si attui questa riforma musicale, che oserei appellare "Neo-ceciliana". Gli abusi sono troppi e solo l'autorità può metter fine alla grande anarchia.
In terzo luogo, sarebbe opportuno che ottimi docenti di materie musicali potessero insegnare nei seminari che , negli stessi, l'aspetto musicale della liturgia non fosse considerato come mero apparato ma parte integrante di un complesso liturgico. Solo quando i singoli sacerdoti potranno gustare la bellezza di una vera musica sacra (che non obbliga all'utilizzo del solo organo) allora potremmo assistere alla tanto attesa riforma "neoceciliana". L'educazione al bello non è indottrinamento, ma compito del docente. "Non è bello ciò che bello, ma è bello ciò che piace": così recita l'adagio popolare, ma non dice che, per questo, chi ha le possibilità non deve conoscere le motivazioni per cui una tal cosa è considerata bella. Quando sarà stato colto il concetto dietro le cose, allora ci sarà una seria riflessione.
Questi soli tre punti, ne sono convinto, potrebbero riuscire a cambiare grandemente le cose, e certamente la liturgia cattolica ne riacquisterebbe di pregio, quel pregio che ormai sembra sempre più scadere verso il basso.
domenica 6 giugno 2010
Breve storia del "Movimento ceciliano"
Vorrei cominciare questo breve excursus storico facendo un brevissimo preambolo. Il contenuto qui fornito sarà a carattere più divulgatico che scientifico, per due motivi: anzitutto non è la sede adatta per dilungargi in chiacchiere da tecnici (questo blog vuol volare basso ma lontano!),poi non possiedo, lo ammetto, la conoscenza che può avere uno storico della musica. Pertanto, qualsiasi aggiunta, correzione, suggerimento per meglio chiarire certi passaggi son ben accetti!
Il "movimento cecicilano" viene spesso definito anche come "rivoluzione ceciliana": perché? Semplicemente, perché dopo il suo avvento niente sarà più lo stesso nel panorama musicale della Chiesa cattolica. Oso: nel movimento già si avvertono certe tendenze che approderanno alla volontà riformatrice del Concilio Vaticano II, come, ad esempio, la spinta al coinvolgimento dei fedeli all'interno della liturgia, il ritorno "alle origini" [che, a differenza del Concilio, non si trasformò in archeologismo] etc. Il movimento voleva che nelle celebrazioni avessero nuovo spazio e splendore il canto gregoriano e la polifonia rinascimentale, ormai assenti dalla scena da ben quasi due secoli (il movimento nasce a cavallo tra '8-'900), due secoli diventati dominio assoluto della musica operistica.
Vorrei fare un passo indietro. La musica operistica, mi sia consentito il paragone, era la nostra musica pop/rock: era l'invenzione del secolo XVII, forse una di quelle più amate. Per rinnovare il repertorio, per attirare su di loro la attenzioni e la fama, gli organisti del tempo, spinti per certo dalla volontà di coinvolgere maggiormente i fedeli, si attivarono subito per introdurre sempre di più la musica operistica all'interno delle celebrazioni liturgiche. E dietro ad essi vennero gli organari: per questo troviamo registri "da concerto" negli organi ottocenteschi.
Naturalmente una situazione di tal genere rischiava di degenerare nella copiatura spiccicata delle musiche delle opere o di quelle da ballo [entrambe figlie dei medesimi genitori], e infatti così avvenne. Riporto quanto dice Marco Ruggeri sul periodo "operistico" della musica organistica (vedi www.organisti.it):"Oppure, peggio (perché non in concerto, ma all’interno di una Messa), ecco quel che succedeva nel 1889 in una ordinaria funzione domenicale a Venezia nella chiesa di S. Cassiano, ove lo stile e le forme bandistiche avevano veramente invaso il tempio cristiano:
…l'organista, «quantunque mostrasse agilità e pratica, avea scambiato l'organo per un pianoforte, e la chiesa per una sala da ballo. Al Vangelo: Polka, all'Offertorio: Marcia ed assolo di ottavino, all'Elevazione: Marcia funebre o trionfale con tromboncino obbligato, alla Comunione: Polka, quasi Galoppo»".
Se, dunque, la Chiesa si era piegata ai dettami della moda messi in musica dall'organista sino al calare del secolo XVIII, oramai il clero di più alta caratura intellettuale avverte la sostanziale estraneità di tale prassi organistico-musicale col senso della liturgia cattolica. Ed insieme al clero se ne rende conto tutto quel gruppo di organisti che praticava la musica sacra con impegno e studio critico ( e devozione?). Basterà qui ricordare, per riassumere il movimento ceciliano, i nomi di Tebaldini, Perosi e Papa Pio X.
In risposta al disagio e al cattivo gusto causato dalla musica sacra nei fautori del movimento, essi proposero il ritorno al gregoriano e alla polifonia rinascimentale, con il conseguente "scadimento" di ruolo dell'organo. Lo strumento musicale non sarebbe più risultato il protagonista della liturgia, avrebbe solo accompagnato il tutto e, anche quando avrebbe dovuto suonare senza il canto di accompagnamento, pure allora avrebbe dovuto non pavoneggiarsi. Da tutto questo risultava inutile (e pericolosamente tentatrice) la numerosa serie di registri da concerto, ormai diffusi quasi su ogni strumento di rilievo.
Al grido di aiuto, pertanto, gli organari risposero prontamente. I nuovi strumenti non avevano più la "banda turca" od i "campanelli", niente di tutto ciò! Ora era tempo dei fondi e dei registri violeggianti. In aggiunta a ciò, come ottimamente dice Marco Ruggeri, si andò affermando il concetto di produzione in serie, di fabbrica d'organi, in sostituzione all'idea dell'organo quale opera unica frutto delle botteghe artigiane. E questa modernità si fa largo a colpi di machete nella selva degli organi italiani. Strumenti pregiati sia del passato (Tardo rinascimento e barocco) sia del tempo moderno (secolo XiX) venivano distrutti, subivano il cambiamento di meccanica ( da manuale a pneumatica o elettrica), subivano la cancellazione di intere file di registri, subivano la sostituzione delle canne con alcune nuove fatte di leghe differenti. Pochi strumenti si salvarono. Sì, dico si salvarono, perchè una diversa prassi musicale poteva prender le mosse dalle esecuzioni degli organisti e non dalle profonde alterazioni inflitte agli strumenti da parte degli organari. Organari che in questo periodo, se cavalcarono l'onda della riforma, divennero celeberrimi, come Tamburini, Mascioni e Vegezzi Bossi.
Come farà ogni movimento nel secolo XX, così quello ceciliano si darà un "manifesto": il Motu Proprio "Tra le sollicetudini" di Pio X. Certamente, chiamare manifesto questo documento è un po' azzardato, un po' anacronistico (il primo vero manifesto, quello del futurismo, è del '14, mentre il documento in questione è del 1903) ma ben rende l'idea di carta costitutiva di una linea teorico-musicale. Invero, bisogna altresì riconoscere che le idee avevano gà del tempo alle loro spalle e, pertanto, il Motu proprio ha una singolare natura: carta costitutiva del movimento ceciliano e sua sintesi finale. La nascita e la maturazione al medesimo momento.
Abbimo, infine, già visto gli effetti della mentalità ottocentesca sottesa al suddetto Motu proprio: il passato non ha ragion sufficiente, tutto viene modificato in base ai nuovi dettami liturgico-musicali, ed anche splendide opere (addirittura rinascimentali) vengono sventrate (il verbo non è casuale: tra '8-'900 assistiamo ai grandi sventramenti architettonici delle maggiori città europee).
Ne conseguì che poco patrimonio storico si salvò e che la "caccia alle streghe" -gli organi non ceciliani- produsse, a lungo andare una reazione di rigetto da parte degli organisti. Se, infatti, la riforma avrebbe potuto essere attuata in maniera più morbida (infatti, avrebbe potuto cambiare solo il repertorio degli organisti, senza la manomissione degli strumenti già esistenti), questo non avvenne forse per scarsa empatia fra organisti e riformatori. Non dimentichiamo, poi, un fattore importante: nel nostro angolo di mondo l'organo è quasi esclusivamente strumento liturgico, mentre nei paesi del Nord è anche profano (ometto volontariamente l'esperienza dell'organo suonato ai banchetti od alle feste dell'alta aristocrazia per la scarsa incisività che ebbero tali esecuzioni all'interno del panorama musicale). Pertanto, era logico che l'estro cretivo dell'organista avesse le ali tarpate all'interno della sola liturgia e che avesse tentato di spiccare il volo rivolgendosi alla musica mondana. Vorrei, quindi, osare dedurre una conseguenza di questo movimento ceciliano: che fra musica sacra e profana è doverosa la differna e che è altrettanto doveroso che si diffonda, per evitare strane contaminazioni, anche un uso extr-liturgico dell'organo. Se, infatti, lo strumento viene già sfruttato per musica di piacere e il pubblico ne trae godimento, allora l'assemblea dei fedeli riuniti a messa non potrà pretendere un uso para-liturgico dello strumento!
Quando, pertanto, nasce il disagio di alcuni dinanzi all'ottusità di certe manomissioni, necessariamente l'aria che tira è cambiata. Nel '39 già in Italia si ha la legge sul vincolo normativo per i beni storico-artistici: la carneficina d'organi era ora assai frenata. E in questi anni ('20-'30) assistiamo alla nascita del cosiddetto "movimento organistico", un filone di pensiero che mirava al resturo più filologico possibile degli strumenti storici.
Queste poche righe vogliono essere un breve excursus storico per meglio capire l'azione del movimento ceciliano, sulla cui portata ed attualità bisognerà ancora parlare. La storia, di per sé, non risponde a certi interrogativi.
Il "movimento cecicilano" viene spesso definito anche come "rivoluzione ceciliana": perché? Semplicemente, perché dopo il suo avvento niente sarà più lo stesso nel panorama musicale della Chiesa cattolica. Oso: nel movimento già si avvertono certe tendenze che approderanno alla volontà riformatrice del Concilio Vaticano II, come, ad esempio, la spinta al coinvolgimento dei fedeli all'interno della liturgia, il ritorno "alle origini" [che, a differenza del Concilio, non si trasformò in archeologismo] etc. Il movimento voleva che nelle celebrazioni avessero nuovo spazio e splendore il canto gregoriano e la polifonia rinascimentale, ormai assenti dalla scena da ben quasi due secoli (il movimento nasce a cavallo tra '8-'900), due secoli diventati dominio assoluto della musica operistica.
Vorrei fare un passo indietro. La musica operistica, mi sia consentito il paragone, era la nostra musica pop/rock: era l'invenzione del secolo XVII, forse una di quelle più amate. Per rinnovare il repertorio, per attirare su di loro la attenzioni e la fama, gli organisti del tempo, spinti per certo dalla volontà di coinvolgere maggiormente i fedeli, si attivarono subito per introdurre sempre di più la musica operistica all'interno delle celebrazioni liturgiche. E dietro ad essi vennero gli organari: per questo troviamo registri "da concerto" negli organi ottocenteschi.
Naturalmente una situazione di tal genere rischiava di degenerare nella copiatura spiccicata delle musiche delle opere o di quelle da ballo [entrambe figlie dei medesimi genitori], e infatti così avvenne. Riporto quanto dice Marco Ruggeri sul periodo "operistico" della musica organistica (vedi www.organisti.it):"Oppure, peggio (perché non in concerto, ma all’interno di una Messa), ecco quel che succedeva nel 1889 in una ordinaria funzione domenicale a Venezia nella chiesa di S. Cassiano, ove lo stile e le forme bandistiche avevano veramente invaso il tempio cristiano:
…l'organista, «quantunque mostrasse agilità e pratica, avea scambiato l'organo per un pianoforte, e la chiesa per una sala da ballo. Al Vangelo: Polka, all'Offertorio: Marcia ed assolo di ottavino, all'Elevazione: Marcia funebre o trionfale con tromboncino obbligato, alla Comunione: Polka, quasi Galoppo»".
Se, dunque, la Chiesa si era piegata ai dettami della moda messi in musica dall'organista sino al calare del secolo XVIII, oramai il clero di più alta caratura intellettuale avverte la sostanziale estraneità di tale prassi organistico-musicale col senso della liturgia cattolica. Ed insieme al clero se ne rende conto tutto quel gruppo di organisti che praticava la musica sacra con impegno e studio critico ( e devozione?). Basterà qui ricordare, per riassumere il movimento ceciliano, i nomi di Tebaldini, Perosi e Papa Pio X.
In risposta al disagio e al cattivo gusto causato dalla musica sacra nei fautori del movimento, essi proposero il ritorno al gregoriano e alla polifonia rinascimentale, con il conseguente "scadimento" di ruolo dell'organo. Lo strumento musicale non sarebbe più risultato il protagonista della liturgia, avrebbe solo accompagnato il tutto e, anche quando avrebbe dovuto suonare senza il canto di accompagnamento, pure allora avrebbe dovuto non pavoneggiarsi. Da tutto questo risultava inutile (e pericolosamente tentatrice) la numerosa serie di registri da concerto, ormai diffusi quasi su ogni strumento di rilievo.
Al grido di aiuto, pertanto, gli organari risposero prontamente. I nuovi strumenti non avevano più la "banda turca" od i "campanelli", niente di tutto ciò! Ora era tempo dei fondi e dei registri violeggianti. In aggiunta a ciò, come ottimamente dice Marco Ruggeri, si andò affermando il concetto di produzione in serie, di fabbrica d'organi, in sostituzione all'idea dell'organo quale opera unica frutto delle botteghe artigiane. E questa modernità si fa largo a colpi di machete nella selva degli organi italiani. Strumenti pregiati sia del passato (Tardo rinascimento e barocco) sia del tempo moderno (secolo XiX) venivano distrutti, subivano il cambiamento di meccanica ( da manuale a pneumatica o elettrica), subivano la cancellazione di intere file di registri, subivano la sostituzione delle canne con alcune nuove fatte di leghe differenti. Pochi strumenti si salvarono. Sì, dico si salvarono, perchè una diversa prassi musicale poteva prender le mosse dalle esecuzioni degli organisti e non dalle profonde alterazioni inflitte agli strumenti da parte degli organari. Organari che in questo periodo, se cavalcarono l'onda della riforma, divennero celeberrimi, come Tamburini, Mascioni e Vegezzi Bossi.
Come farà ogni movimento nel secolo XX, così quello ceciliano si darà un "manifesto": il Motu Proprio "Tra le sollicetudini" di Pio X. Certamente, chiamare manifesto questo documento è un po' azzardato, un po' anacronistico (il primo vero manifesto, quello del futurismo, è del '14, mentre il documento in questione è del 1903) ma ben rende l'idea di carta costitutiva di una linea teorico-musicale. Invero, bisogna altresì riconoscere che le idee avevano gà del tempo alle loro spalle e, pertanto, il Motu proprio ha una singolare natura: carta costitutiva del movimento ceciliano e sua sintesi finale. La nascita e la maturazione al medesimo momento.
Abbimo, infine, già visto gli effetti della mentalità ottocentesca sottesa al suddetto Motu proprio: il passato non ha ragion sufficiente, tutto viene modificato in base ai nuovi dettami liturgico-musicali, ed anche splendide opere (addirittura rinascimentali) vengono sventrate (il verbo non è casuale: tra '8-'900 assistiamo ai grandi sventramenti architettonici delle maggiori città europee).
Ne conseguì che poco patrimonio storico si salvò e che la "caccia alle streghe" -gli organi non ceciliani- produsse, a lungo andare una reazione di rigetto da parte degli organisti. Se, infatti, la riforma avrebbe potuto essere attuata in maniera più morbida (infatti, avrebbe potuto cambiare solo il repertorio degli organisti, senza la manomissione degli strumenti già esistenti), questo non avvenne forse per scarsa empatia fra organisti e riformatori. Non dimentichiamo, poi, un fattore importante: nel nostro angolo di mondo l'organo è quasi esclusivamente strumento liturgico, mentre nei paesi del Nord è anche profano (ometto volontariamente l'esperienza dell'organo suonato ai banchetti od alle feste dell'alta aristocrazia per la scarsa incisività che ebbero tali esecuzioni all'interno del panorama musicale). Pertanto, era logico che l'estro cretivo dell'organista avesse le ali tarpate all'interno della sola liturgia e che avesse tentato di spiccare il volo rivolgendosi alla musica mondana. Vorrei, quindi, osare dedurre una conseguenza di questo movimento ceciliano: che fra musica sacra e profana è doverosa la differna e che è altrettanto doveroso che si diffonda, per evitare strane contaminazioni, anche un uso extr-liturgico dell'organo. Se, infatti, lo strumento viene già sfruttato per musica di piacere e il pubblico ne trae godimento, allora l'assemblea dei fedeli riuniti a messa non potrà pretendere un uso para-liturgico dello strumento!
Quando, pertanto, nasce il disagio di alcuni dinanzi all'ottusità di certe manomissioni, necessariamente l'aria che tira è cambiata. Nel '39 già in Italia si ha la legge sul vincolo normativo per i beni storico-artistici: la carneficina d'organi era ora assai frenata. E in questi anni ('20-'30) assistiamo alla nascita del cosiddetto "movimento organistico", un filone di pensiero che mirava al resturo più filologico possibile degli strumenti storici.
Queste poche righe vogliono essere un breve excursus storico per meglio capire l'azione del movimento ceciliano, sulla cui portata ed attualità bisognerà ancora parlare. La storia, di per sé, non risponde a certi interrogativi.
lunedì 31 maggio 2010
Ripartire dall'inizio (atto III)
Con quest'articolo voglio terminare la riflessione sul documento cardine del Concilio Vaticano II, la Sacrosanctum Concilium. Leggiamo:
Missione dei compositori
121. I musicisti animati da spirito cristiano comprendano di essere chiamati a coltivare la musica sacra e ad accrescere il suo patrimonio. Compongano melodie che abbiano le caratteristiche della vera musica sacra; che possano essere cantate non solo dalle maggiori « scholae cantorum », ma che convengano anche alle « scholae » minori, e che favoriscano la partecipazione attiva di tutta l'assemblea dei fedeli. I testi destinati al canto sacro siano conformi alla dottrina cattolica, anzi siano presi di preferenza dalla sacra Scrittura e dalle fonti liturgiche.
Anche in questo caso dobbiamo, purtroppo, constatare che la brevità del documento è andata, scusate la rima, a nocumento della materia: infatti, quali sono le caratteristiche della vera musica sacra? E poi, che vuol dire I testi destinati al canto sacro siano conformi alla dottrina cattolica, anzi siano presi di preferenza dalla sacra Scrittura e dalle fonti liturgiche, se la stessa Scrittura è comune a Ebrei, Ortodossi, Luterani, Calvinisti, Anabattisti etc.?
Per quanto concerne l'ultimo interrogativo, sono andato a consultare il testo originale, quello in latino. Volevo vedere se quell'"anzi" fosse stato un banale errore di traduzione. E infatti non lo è. Alla luce di tale minuscola parola, dobbiamo allora riflettere in modo più profondo. Si vuol superare la cattolicità per raggiungere la cristianità? oppure si afferma che la cattolicità è già presente nelle Scritture?
Per quel che vedo io, tutt' e due le domande trovano una risposta positiva. E' innegabile la presenza di canti e musiche, ai giorni nostri, che fanno parte non della nostra tradizione, bensì di quella di altri popoli. Si va dal repertorio delle chiese nere d'America fino a canti ebraici. Inoltre, i canti "più sentiti" prendono le mosse da parafrasi -più o meno libere- della Scrittura.
Tutto questo è molto bello perché permette di aprirsi al mondo, tuttavia è inadatto a certi momenti. Un esempio: non ci sarebbe nulla di male a eseguire un repertorio vasto (dai canti blues agli inni ortodossi) magari ad una celebrazione internazionale, ad un convegno ecumenico, alla GMG. Ma la Santa Messa di tutte le domeniche celebrata nel paesino più sperduto dell'Appennino Centrale come può essere animata dai canti zulù? come può? E' logico e antropologicamente più corretto che le singole comunità non si vergognino a coltivare un proprio modus cantandi , un modus che affonda le sue radici nel patrimonio culturale dei singoli gruppi. E' per questo motivo, allora, che il punto 119, quello sulle missioni, vale per tutto l'Orbe! Come in Amazzonia così in riva al Tirreno ogni comunità ha prodotto una propria tradizione, che, solo per il motivo d'esser giunta ai nostri giorni, merita tutto il rispetto possibile.
Tornando, dunque, a parlare più strettamente del punto 120, la composizione, allora non possiamo non renderci conto che quanto consigliato non è molto applicato. Non esiste più la musica sacra, non esiste un ruolo forte della dottrina cattolica (quante volte si sentono sacerdoti cattolici che abbracciano posizioni dei riformati!), e in conseguenza della mancanza di questi due pilastri, la musica da chiesa degrada verso il basso, tanto che ormai è un vero caos.
Mi si permetta un accenno polemico. Chi ha curato il recente "repertorio nazionale canti per la liturgia" -vedi link http://www.elledici.org/it/libreria/dettaglio.php?AREA=elledici&CODICE=04294 -, non ha mai suonato l'organo. Dico questo perchè il volume organistico ha un formato A4, mentre il formato classico organistico è Album -un A4 rovesiato- poichè gli organi storici, per la gran parte, hanno un leggio basso. Visto che in Italia abbiamo uno splendido e vasto patrimonio di organi storici, anche il più stolto degli stolti avrebbe certamente compreso che il formato Album non solo era più "classico", ma anche più logico!
Messe da parte le polemiche, arriviamo a parlare del caos musicale, in riferimento alla composizione. Tutti, ne sono convinto, si saranno resi conto che la gran parte dei canti maggiormente eseguiti nelle parrocchie italiane ha un andamento, un ritmo e un gusto per certe sonorità che vanno dagli anni '70 agli anni '80, passando per la copia spudorata di qualche melodia celebre "mondana" -pop, rock, etc.. Tranne l'opera di Mons. Frisina (che deve esser rispettato,anche se non piace, in virtù della sua preparazione), questo è quello che gli organisti perlopiù devono suonare.
E' lampante, allora, che chi compone appartiene ad una certa stagione e non vuol andar avanti. Per assurdo, i progressisti sono i più conservatori. Senza le sonorità ed i testi che essi promuovono, la Chiesa, pensano e gridano, tornerà nel più buio Medio Evo!
Secondo me, invece, non accetano di invecchiare e che tutto passa, si modifica, malgrado il nostro volere. La loro contrarietà ha alla base anche il fatto che, se si prendesse in esame un'altra rotta per la musica sacra, vedremmo quanto poco si è fatto sino ad oggi, quanto tanto si è fatto per distruggere ciò che avevamo. Non abbiamo ristrutturato il Tempio, l'abbiamo raso al suolo pensando che la nostra costruzione risultasse più bella solo eliminando quella precedente.
In realtà, abbiamo edificato solo stamberghe fatiscenti, belle, forse, solo quando furon tirate su.
Dobbiamo, allora, insistere sulla preparazione musicale e storico-musicale dei nuovi compositori; dobbiamo valorizzare il nuovo e il vecchio con sentimento di restauratore e non di palazzinaro; dobbiamo impegnarci nella serietà in ciò che facciamo, e non nella serità di ciò che facciamo. Già con questo piccolo cambio di prospettiva, l'individuo si rende conto della natura -più o meno bella- della musica che va fare.
Missione dei compositori
121. I musicisti animati da spirito cristiano comprendano di essere chiamati a coltivare la musica sacra e ad accrescere il suo patrimonio. Compongano melodie che abbiano le caratteristiche della vera musica sacra; che possano essere cantate non solo dalle maggiori « scholae cantorum », ma che convengano anche alle « scholae » minori, e che favoriscano la partecipazione attiva di tutta l'assemblea dei fedeli. I testi destinati al canto sacro siano conformi alla dottrina cattolica, anzi siano presi di preferenza dalla sacra Scrittura e dalle fonti liturgiche.
Anche in questo caso dobbiamo, purtroppo, constatare che la brevità del documento è andata, scusate la rima, a nocumento della materia: infatti, quali sono le caratteristiche della vera musica sacra? E poi, che vuol dire I testi destinati al canto sacro siano conformi alla dottrina cattolica, anzi siano presi di preferenza dalla sacra Scrittura e dalle fonti liturgiche, se la stessa Scrittura è comune a Ebrei, Ortodossi, Luterani, Calvinisti, Anabattisti etc.?
Per quanto concerne l'ultimo interrogativo, sono andato a consultare il testo originale, quello in latino. Volevo vedere se quell'"anzi" fosse stato un banale errore di traduzione. E infatti non lo è. Alla luce di tale minuscola parola, dobbiamo allora riflettere in modo più profondo. Si vuol superare la cattolicità per raggiungere la cristianità? oppure si afferma che la cattolicità è già presente nelle Scritture?
Per quel che vedo io, tutt' e due le domande trovano una risposta positiva. E' innegabile la presenza di canti e musiche, ai giorni nostri, che fanno parte non della nostra tradizione, bensì di quella di altri popoli. Si va dal repertorio delle chiese nere d'America fino a canti ebraici. Inoltre, i canti "più sentiti" prendono le mosse da parafrasi -più o meno libere- della Scrittura.
Tutto questo è molto bello perché permette di aprirsi al mondo, tuttavia è inadatto a certi momenti. Un esempio: non ci sarebbe nulla di male a eseguire un repertorio vasto (dai canti blues agli inni ortodossi) magari ad una celebrazione internazionale, ad un convegno ecumenico, alla GMG. Ma la Santa Messa di tutte le domeniche celebrata nel paesino più sperduto dell'Appennino Centrale come può essere animata dai canti zulù? come può? E' logico e antropologicamente più corretto che le singole comunità non si vergognino a coltivare un proprio modus cantandi , un modus che affonda le sue radici nel patrimonio culturale dei singoli gruppi. E' per questo motivo, allora, che il punto 119, quello sulle missioni, vale per tutto l'Orbe! Come in Amazzonia così in riva al Tirreno ogni comunità ha prodotto una propria tradizione, che, solo per il motivo d'esser giunta ai nostri giorni, merita tutto il rispetto possibile.
Tornando, dunque, a parlare più strettamente del punto 120, la composizione, allora non possiamo non renderci conto che quanto consigliato non è molto applicato. Non esiste più la musica sacra, non esiste un ruolo forte della dottrina cattolica (quante volte si sentono sacerdoti cattolici che abbracciano posizioni dei riformati!), e in conseguenza della mancanza di questi due pilastri, la musica da chiesa degrada verso il basso, tanto che ormai è un vero caos.
Mi si permetta un accenno polemico. Chi ha curato il recente "repertorio nazionale canti per la liturgia" -vedi link http://www.elledici.org/it/libreria/dettaglio.php?AREA=elledici&CODICE=04294 -, non ha mai suonato l'organo. Dico questo perchè il volume organistico ha un formato A4, mentre il formato classico organistico è Album -un A4 rovesiato- poichè gli organi storici, per la gran parte, hanno un leggio basso. Visto che in Italia abbiamo uno splendido e vasto patrimonio di organi storici, anche il più stolto degli stolti avrebbe certamente compreso che il formato Album non solo era più "classico", ma anche più logico!
Messe da parte le polemiche, arriviamo a parlare del caos musicale, in riferimento alla composizione. Tutti, ne sono convinto, si saranno resi conto che la gran parte dei canti maggiormente eseguiti nelle parrocchie italiane ha un andamento, un ritmo e un gusto per certe sonorità che vanno dagli anni '70 agli anni '80, passando per la copia spudorata di qualche melodia celebre "mondana" -pop, rock, etc.. Tranne l'opera di Mons. Frisina (che deve esser rispettato,anche se non piace, in virtù della sua preparazione), questo è quello che gli organisti perlopiù devono suonare.
E' lampante, allora, che chi compone appartiene ad una certa stagione e non vuol andar avanti. Per assurdo, i progressisti sono i più conservatori. Senza le sonorità ed i testi che essi promuovono, la Chiesa, pensano e gridano, tornerà nel più buio Medio Evo!
Secondo me, invece, non accetano di invecchiare e che tutto passa, si modifica, malgrado il nostro volere. La loro contrarietà ha alla base anche il fatto che, se si prendesse in esame un'altra rotta per la musica sacra, vedremmo quanto poco si è fatto sino ad oggi, quanto tanto si è fatto per distruggere ciò che avevamo. Non abbiamo ristrutturato il Tempio, l'abbiamo raso al suolo pensando che la nostra costruzione risultasse più bella solo eliminando quella precedente.
In realtà, abbiamo edificato solo stamberghe fatiscenti, belle, forse, solo quando furon tirate su.
Dobbiamo, allora, insistere sulla preparazione musicale e storico-musicale dei nuovi compositori; dobbiamo valorizzare il nuovo e il vecchio con sentimento di restauratore e non di palazzinaro; dobbiamo impegnarci nella serietà in ciò che facciamo, e non nella serità di ciò che facciamo. Già con questo piccolo cambio di prospettiva, l'individuo si rende conto della natura -più o meno bella- della musica che va fare.
domenica 30 maggio 2010
Ripartire dall'inizio (atto II)
Rileggendo il precedente post, mi è sembrato che l'argomento sia stato impostato bene ma affrontato peggio. Manca un approfondimento dei punti 2 e 3 della "Sacrocanctum Concilium".
Al punto 2) si caldeggia, nella Chiesa latina, il primato dell'organo a canne, tuttavia si ammette anche l'utilizzo di altri strumenti "purché siano adatti all'uso sacro o vi si possano adattare, convengano alla dignità del tempio e favoriscano veramente l'edificazione dei fedeli".M a che significa l'espressione direttamente citata dal testo? O nulla o qualcosa che stride col senso comune di musica di chiesa. Se ammettessimo la prima opzione, peccheremmo di presunzione: ogni singola parola di questo documento è stata frutto di accese discussioni e molto sudore. Quindi, bisogna ammettere la giustezza della seconda possibilità: i Padri Conciliari pensavano che non tutti gli strumenti fossero adatti!
Appurato questo fatto dobbiamo interrogarci su quali strumenti siano inadatti. Il Concilio fu ben attento a non stilare un lista di "strumenti proibiti": ogni epoca, infatti, uccide strumenti e ne produce di nuovi. Purtroppo, lo stesso Concilio, in queste poche parole, risulta un po' troppo generico per chi volesse seriamente applicarne i dettami e allora l'unica pietra di paragone diviene il gusto del sacerdote. Perchè la chitarra dovrebbe essere meno adatta dell'organo? Perchè non potrebbe esser suonato il tamburello?
A mio modestissimo avviso non possiamo risolvere il problema basandosi solo su queste magre parole. Ciò che è dato per scontato, infatti, è stato dimenticato e ora bisogna tentare di ritrovarlo.
Alla base di questo articolo della Costituzione Conciliare v'è la cosiddetta "riforma ceciliana" - della quale parlerò meglio in seguito - nata molto tempo prima del Concilio medesimo. E' solo se facciamo riferimento ai dettami di questa "riforma" che, allora, possiamo comprendere e attuare quanto sopra prescritto.
Questo movimento di rinnovamento musicale voleva riportare la polifonia rinascimentale ed il gregoriano nuovamente in chiesa e voleva, al contempo, che l'assemblea partecipasse col canto, in risposta a due secoli di musica operistica padrona della Santa Messa, un genere che, per sua natura, estrometteva i fedeli e faceva pensare al "mondo" piuttosto che al "cielo".
Se facciamo il paragone con la situazione odierna, scopriamo che anche noi dobbiamo attuare tale riforma: la musica operistica un tempo, infatti, rappresentava la musica mondana, quella del divertimento serale, dei momenti di ritrovo, e tale è la natura prevalente della musica che viene eseguita, oggigiorno, nei luoghi sacri. Quello che manca è una musica che non sia mondana, una musica che vive solo nell'ambito della chiesa. Un genere del genere rappresenta un isolamento non dal mondo, ma dal "mondo", ossia tutte quelle passioni che dovrebbero fermarsi sul sagrato del luogo sacro.
Vedo che anche questo post risulta piuttosto lungo, per questo motivo rimando un più serio esame del punto 3) del documento conciliare ad altro tempo.
Al punto 2) si caldeggia, nella Chiesa latina, il primato dell'organo a canne, tuttavia si ammette anche l'utilizzo di altri strumenti "purché siano adatti all'uso sacro o vi si possano adattare, convengano alla dignità del tempio e favoriscano veramente l'edificazione dei fedeli".M a che significa l'espressione direttamente citata dal testo? O nulla o qualcosa che stride col senso comune di musica di chiesa. Se ammettessimo la prima opzione, peccheremmo di presunzione: ogni singola parola di questo documento è stata frutto di accese discussioni e molto sudore. Quindi, bisogna ammettere la giustezza della seconda possibilità: i Padri Conciliari pensavano che non tutti gli strumenti fossero adatti!
Appurato questo fatto dobbiamo interrogarci su quali strumenti siano inadatti. Il Concilio fu ben attento a non stilare un lista di "strumenti proibiti": ogni epoca, infatti, uccide strumenti e ne produce di nuovi. Purtroppo, lo stesso Concilio, in queste poche parole, risulta un po' troppo generico per chi volesse seriamente applicarne i dettami e allora l'unica pietra di paragone diviene il gusto del sacerdote. Perchè la chitarra dovrebbe essere meno adatta dell'organo? Perchè non potrebbe esser suonato il tamburello?
A mio modestissimo avviso non possiamo risolvere il problema basandosi solo su queste magre parole. Ciò che è dato per scontato, infatti, è stato dimenticato e ora bisogna tentare di ritrovarlo.
Alla base di questo articolo della Costituzione Conciliare v'è la cosiddetta "riforma ceciliana" - della quale parlerò meglio in seguito - nata molto tempo prima del Concilio medesimo. E' solo se facciamo riferimento ai dettami di questa "riforma" che, allora, possiamo comprendere e attuare quanto sopra prescritto.
Questo movimento di rinnovamento musicale voleva riportare la polifonia rinascimentale ed il gregoriano nuovamente in chiesa e voleva, al contempo, che l'assemblea partecipasse col canto, in risposta a due secoli di musica operistica padrona della Santa Messa, un genere che, per sua natura, estrometteva i fedeli e faceva pensare al "mondo" piuttosto che al "cielo".
Se facciamo il paragone con la situazione odierna, scopriamo che anche noi dobbiamo attuare tale riforma: la musica operistica un tempo, infatti, rappresentava la musica mondana, quella del divertimento serale, dei momenti di ritrovo, e tale è la natura prevalente della musica che viene eseguita, oggigiorno, nei luoghi sacri. Quello che manca è una musica che non sia mondana, una musica che vive solo nell'ambito della chiesa. Un genere del genere rappresenta un isolamento non dal mondo, ma dal "mondo", ossia tutte quelle passioni che dovrebbero fermarsi sul sagrato del luogo sacro.
Vedo che anche questo post risulta piuttosto lungo, per questo motivo rimando un più serio esame del punto 3) del documento conciliare ad altro tempo.
sabato 29 maggio 2010
Ripartire dall'inizio
La musica sacra nelle missioni
119. In alcune regioni, specialmente nelle missioni, si trovano popoli con una propria tradizione musicale, la quale ha grande importanza nella loro vita religiosa e sociale. A questa musica si dia il dovuto riconoscimento e il posto conveniente tanto nell'educazione del senso religioso di quei popoli, quanto nell'adattare il culto alla loro indole, a norma degli articoli 39 e 40. Perciò, nella formazione musicale dei missionari si procuri diligentemente che, per quanto è possibile, essi siano in grado di promuovere la musica tradizionale di quei popoli, tanto nelle scuole, quanto nelle azioni sacre.
L'organo e gli strumenti musicali
120. Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l'organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti. Altri strumenti, poi, si possono ammettere nel culto divino, a giudizio e con il consenso della competente autorità ecclesiastica territoriale, a norma degli articoli 22-2, 37 e 40, purché siano adatti all'uso sacro o vi si possano adattare, convengano alla dignità del tempio e favoriscano veramente l'edificazione dei fedeli.
Missione dei compositori
121. I musicisti animati da spirito cristiano comprendano di essere chiamati a coltivare la musica sacra e ad accrescere il suo patrimonio. Compongano melodie che abbiano le caratteristiche della vera musica sacra; che possano essere cantate non solo dalle maggiori « scholae cantorum », ma che convengano anche alle « scholae » minori, e che favoriscano la partecipazione attiva di tutta l'assemblea dei fedeli. I testi destinati al canto sacro siano conformi alla dottrina cattolica, anzi siano presi di preferenza dalla sacra Scrittura e dalle fonti liturgiche.
Il testo qui proposto proviene dalla "Sacrosanctum Conculium", la costituzione conciliare della riforma liturgica della Chiesa Cattolica Romana alla luce del Vaticano II.
La citazione prende le mosse da un riferimento alla musica nelle missioni. Perché? Perchè, a mio avviso, il nocciolo del problema musical-liturgico che investe il nostro tempo è qui esposto. Si dice, infatti, che in alcune regioni la tradizione musicale, per quanto possa aver accompagnato altre liturgie, è connaturata quasi al sentimento religioso e pertanto si consiglia, per meglio evangelizzare, il rispetto e la valorizzazione di questo patrimonio. Ora, se ciò vale per l'amerindio o il polinesiano, quale motivo vieta che il discorso possa applicarsi anche al nostro settore di mondo? Penso nessun motivo! Con questo, non voglio dire che bisogna continuare in perpetuo a cantare i canti d'un tempo, affermo solo che bisogna afferrarne il rapporto che essi avevano con la società. Solo così facendo potremo veramente fare musica sacra, altrimenti faremo solo musica in luoghi sacri.
Tanto è vero questo discorso che al punto successivo i Padri Conciliari affermano:"Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l'organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti". Anch'essi, dunque, erano del parere che il fine della musica è l'elevazione. Come possiamo mai elevarci se ascoltiamo una bella musica ritmata, un giro d'accordi da sballo, un pezzo che ricorda tanto quella canzone che si è ballato la sera prima? Non possiamo rifugiarci nella scusa della semplicità ("bisogna far le cose in modo semplice,vicino alla gente!). Non c'è nulla di male a offrire al proprio Dio la miglior preparazione musicale, le migliori pagine di musica; L'ostentazione di semplicità, che si colora quasi di ridicolo, soffoca il giusto monito all'austerità. Quello che manca da troppo tempo alle parrocchie cattoliche non è un coro di 45 elementi che canti tutta la polifonia Tardo-rinascimentale: quello che manca è gente che sappia leggere uno spartito e abbia voglia di fare altro all'infuori del Gen (Rosso o Verde), senza per questo dover impegnarsi nella "Missa Papae Marcelli" del da Palestrina.
"I testi destinati al canto sacro siano conformi alla dottrina cattolica, anzi siano presi di preferenza dalla sacra Scrittura e dalle fonti liturgiche". Così parlano i Padri Conciliari. Ma con il senno di poi possiamo ben dire che il concilio è rimasto inascoltato. Pochi sono i canti che risultano essere trasposizioni -magari leggermente ritoccate- di testi sacri. Quanti sono, invece, i canti che prendono dalle Scritture solo qualche parola (mare, amore, deserto, locusta, barca) per inserirla in un contesto assolutamente diverso, profondamente alterato!
Spero che la lettura di questo post possa far riflettere qualcuno, tanto da spingerlo a scrivere un commento. Anche le critiche vanno bene, l'importante è la partecipazione!
119. In alcune regioni, specialmente nelle missioni, si trovano popoli con una propria tradizione musicale, la quale ha grande importanza nella loro vita religiosa e sociale. A questa musica si dia il dovuto riconoscimento e il posto conveniente tanto nell'educazione del senso religioso di quei popoli, quanto nell'adattare il culto alla loro indole, a norma degli articoli 39 e 40. Perciò, nella formazione musicale dei missionari si procuri diligentemente che, per quanto è possibile, essi siano in grado di promuovere la musica tradizionale di quei popoli, tanto nelle scuole, quanto nelle azioni sacre.
L'organo e gli strumenti musicali
120. Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l'organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti. Altri strumenti, poi, si possono ammettere nel culto divino, a giudizio e con il consenso della competente autorità ecclesiastica territoriale, a norma degli articoli 22-2, 37 e 40, purché siano adatti all'uso sacro o vi si possano adattare, convengano alla dignità del tempio e favoriscano veramente l'edificazione dei fedeli.
Missione dei compositori
121. I musicisti animati da spirito cristiano comprendano di essere chiamati a coltivare la musica sacra e ad accrescere il suo patrimonio. Compongano melodie che abbiano le caratteristiche della vera musica sacra; che possano essere cantate non solo dalle maggiori « scholae cantorum », ma che convengano anche alle « scholae » minori, e che favoriscano la partecipazione attiva di tutta l'assemblea dei fedeli. I testi destinati al canto sacro siano conformi alla dottrina cattolica, anzi siano presi di preferenza dalla sacra Scrittura e dalle fonti liturgiche.
Il testo qui proposto proviene dalla "Sacrosanctum Conculium", la costituzione conciliare della riforma liturgica della Chiesa Cattolica Romana alla luce del Vaticano II.
La citazione prende le mosse da un riferimento alla musica nelle missioni. Perché? Perchè, a mio avviso, il nocciolo del problema musical-liturgico che investe il nostro tempo è qui esposto. Si dice, infatti, che in alcune regioni la tradizione musicale, per quanto possa aver accompagnato altre liturgie, è connaturata quasi al sentimento religioso e pertanto si consiglia, per meglio evangelizzare, il rispetto e la valorizzazione di questo patrimonio. Ora, se ciò vale per l'amerindio o il polinesiano, quale motivo vieta che il discorso possa applicarsi anche al nostro settore di mondo? Penso nessun motivo! Con questo, non voglio dire che bisogna continuare in perpetuo a cantare i canti d'un tempo, affermo solo che bisogna afferrarne il rapporto che essi avevano con la società. Solo così facendo potremo veramente fare musica sacra, altrimenti faremo solo musica in luoghi sacri.
Tanto è vero questo discorso che al punto successivo i Padri Conciliari affermano:"Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l'organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti". Anch'essi, dunque, erano del parere che il fine della musica è l'elevazione. Come possiamo mai elevarci se ascoltiamo una bella musica ritmata, un giro d'accordi da sballo, un pezzo che ricorda tanto quella canzone che si è ballato la sera prima? Non possiamo rifugiarci nella scusa della semplicità ("bisogna far le cose in modo semplice,vicino alla gente!). Non c'è nulla di male a offrire al proprio Dio la miglior preparazione musicale, le migliori pagine di musica; L'ostentazione di semplicità, che si colora quasi di ridicolo, soffoca il giusto monito all'austerità. Quello che manca da troppo tempo alle parrocchie cattoliche non è un coro di 45 elementi che canti tutta la polifonia Tardo-rinascimentale: quello che manca è gente che sappia leggere uno spartito e abbia voglia di fare altro all'infuori del Gen (Rosso o Verde), senza per questo dover impegnarsi nella "Missa Papae Marcelli" del da Palestrina.
"I testi destinati al canto sacro siano conformi alla dottrina cattolica, anzi siano presi di preferenza dalla sacra Scrittura e dalle fonti liturgiche". Così parlano i Padri Conciliari. Ma con il senno di poi possiamo ben dire che il concilio è rimasto inascoltato. Pochi sono i canti che risultano essere trasposizioni -magari leggermente ritoccate- di testi sacri. Quanti sono, invece, i canti che prendono dalle Scritture solo qualche parola (mare, amore, deserto, locusta, barca) per inserirla in un contesto assolutamente diverso, profondamente alterato!
Spero che la lettura di questo post possa far riflettere qualcuno, tanto da spingerlo a scrivere un commento. Anche le critiche vanno bene, l'importante è la partecipazione!
venerdì 28 maggio 2010
Salve a tutti
Salve a tutti quanti avranno modo di leggere in questo spazio della rete. Ho sentito la necessità di questo blog perchè l'argomento mi sembra serio, ma trascurato. Tutto quello che qui sarà scritto vorrà essere una riflessione sul ruolo della Musica Sacra all'interno della Liturgia ( io faccio riferimento a quella Cattolica Romana, ma esperienze di altre confessioni sono ben accette!), un dialogo con voi tutti. Mi piacerebbe che la gente partecipasse, si confrontasse alla luce delle proprie idee ed esperienze e sapesse condividere tutto quanto con i lettori.
In attesa di qualche articolo, Vi saluto caramente.
In attesa di qualche articolo, Vi saluto caramente.
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